Gentile imprenditore Oscar Farinetti, ho letto sull’Unità del 30 agosto la Sua lunga lettera a sostegno del Sì al referendum e di forte critica alle posizioni dell’ANPI. Mi permetta di esporLe alcune mie considerazioni in merito.
Lei argomenta che L’ANPI dovrebbe interessarsi di libertà, democrazia, xenofobia, omofobia. Ha ragione. Infatti è quello che facciamo ogni giorno, come può verificare dall’attività delle nostre sezioni, dal sito dell’ANPI nazionale, dal periodico online che ho l’onore di dirigere. Ogni giorno. Con pervicacia, caparbietà, irriducibilità. E perseveranza.
Poi si interroga: ma la posizione del Presidente dell’ANPI sul referendum è determinata dalla convinzione che “sia giusto entrare nelle scelte politiche” oppure perché “si vedono minate libertà e democrazia nel caso di vittoria del Sì”? In entrambi i casi Lei cala la mannaia del giudizio conclusivamente negativo su tali posizioni. Sfugge – mi consenta – la Sua logica. Cambiare la Costituzione non è solo una banale “scelta politica”, e tanto meno un argomento concesso graziosamente in esclusiva al sistema partitico; è viceversa una questione che riguarda il Paese tutto, dunque – ed in specie – riguarda anche un’associazione come la nostra che – Le ricordo – nel suo Statuto scrive (art. 2) che l’ANPI ha lo scopo di “concorrere alla piena attuazione, nelle leggi e nel costume, della Costituzione Italiana, frutto della Guerra di Liberazione, in assoluta fedeltà allo spirito che ne ha dettato gli articoli”.
Minare libertà e democrazia, e – Lei aggiunge dopo – attentare alla Costituzione, riferendosi alle presunte critiche dell’ANPI. Stia sereno: non abbiamo mai usato questo linguaggio. Abbiamo sempre affrontato il merito dei contenuti della riforma (e della legge elettorale) criticandoli anche duramente per un’infinita quantità di ragioni. Accenno ad alcuni titoli: si appanna la divisione dei poteri in mancanza dei giusti contrappesi, di fatto si conferisce un potere molto più rilevante al presidente del Consiglio. Questo non vuol dire “attentare alla democrazia”, ma vuol dire che oggi, davanti al deficit di democrazia che caratterizza il nostro tempo (pensi al fenomeno dell’astensionismo), la risposta non è più rappresentanza, più partecipazione, ma più concentrazione di poteri. Insomma, si conferma e si aggrava un declino, invece di invertire la rotta.
Lei dice: ma se l’ANPI si impegna per il No contro la riforma Renzi, cosa avrebbe dovuto fare quando fu varato il Porcellum? Stupisce che Lei non faccia parola dell’impegno dell’ANPI contro l’altra riforma costituzionale, quella di Berlusconi, che fu bocciata dal referendum del 2006. Anche allora l’ANPI si impegnò. Si legge nel documento politico del 14° Congresso nazionale dell’ANPI (febbraio 2006) della “minaccia di una vera e propria manomissione del regime democratico uscito dalla guerra di Liberazione”, di “ben 55 articoli con dirottamento del potere sui processi formativi delle leggi delle Camere”, e si aggiunge: “L’ANPI dovrà essere in prima fila per opporsi con lo strumento referendario alla riforma della nostra Costituzione”.
Anche allora l’ANPI nazionale raccolse le firme e si impegnò fortemente nella campagna referendaria. E non era Presidente Carlo Smuraglia. Mi dica, per cortesia: va bene la posizione dell’ANPI contro la riforma Berlusconi, ma non va bene contro la riforma Renzi (che fra l’altro cambia 47 articoli)? E perché? Anche allora “si rinnovava”. Il punto, caro Farinetti, è che l’ANPI non ha governi amici. Critica, o apprezza, le cose che fa ciascun governo, specie se tali cose attengono al fondamento su cui si è costruita la Repubblica.
Su qualche argomento Lei entra (un po’) nel merito, per esempio quando, a proposito della riforma, parla di un “percorso di semplificazione intrapreso”. Mi consenta, ma non c’è alcuna “semplificazione”, tutt’altro: c’è una complicazione: legga, per cortesia, il nuovo articolo 70 ove si descrivono i compiti del nuovo Senato (che rimane). Non entro per brevità nel dettaglio.
Afferma poi che con questa riforma “si mette in condizione chi vince di governare”. Perché, scusi, oggi chi vince non è in condizione di governare? A me pare che Renzi governi, eccome (bene o male è questione di opinioni). Le faccio presente altresì che la quasi totalità delle crisi di governo avvenute nella cosiddetta Seconda Repubblica si è realizzata per la rottura della coalizione o per tensioni interne al partito di maggioranza. L’ultimissimo caso – la crisi del governo Letta e il nuovo governo Renzi – è l’esempio più lampante. Dunque il problema non è nella Costituzione, ma nell’attuale sistema partitico.
Con questa riforma si consegna un potere smisurato (54% dei parlamentari della Camera, a fronte di un Senato ridotto a 100 membri e con altri – seppur non ben chiari – compiti) alla lista del Presidente del Consiglio. C’è infatti, grazie all’Italicum, una sproporzione imponente fra la reale rappresentanza elettorale della lista vincitrice e la sua rappresentanza alla Camera. Ciò condizionerà a suo vantaggio l’elezione del Presidente della Repubblica, della Corte costituzionale e del Csm, rafforzando in modo monumentale il potere dell’esecutivo a scapito del legislativo. A ciò si aggiunga che, grazie all’Italicum, i capilista sono “bloccati”, cioè decisi dalle segreterie dei partiti e non sottoposti al voto di preferenza. Ciliegina sulla torta: il nuovo articolo 78: “La Camera dei deputati delibera a maggioranza assoluta lo stato di guerra e conferisce al governo i poteri necessari”. Cioè il governo, che ha già la maggioranza assoluta (il 54%), decide e si conferisce da solo i poteri necessari. Mah!
Meraviglia altresì che Lei non si pronunci sul percorso che ha portato all’approvazione della riforma costituzionale, che è stata approvata, come è noto, a maggioranza, a colpi di fiducia, di emendamenti “canguro” e “supercanguro”, e persino di estromissioni dalla Commissione Affari Costituzionali di due parlamentari che la pensavano diversamente. Mi pare che tutto ciò confligga con lo spirito di una qualsiasi riforma costituzionale, in particolare se di questa portata, perché incide sulla Carta che fissa le ragioni del nostro stare insieme, evoca la coesione sociale, ci fa popolo libero e unito, e perciò abbisogna, nella sua manutenzione, di un tasso di unitarietà, di condivisione e di solidarietà che sicuramente è mancato, per di più in palese contrasto con il Manifesto dei Valori dello stesso Pd, ove si afferma fra l’altro: “Il Partito Democratico si impegna perciò a ristabilire la supremazia della Costituzione e a difenderne la stabilità, a metter fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza”.
Infine. Lei reitera nella sua lettera una serie di critiche, con qualche asprezza, a Carlo Smuraglia, Presidente nazionale dell’ANPI e fa apparire la scelta dell’ANPI nazionale sul referendum come una forzatura, causata da una cattiva “rappresentanza” nazionale dell’ANPI. Liberissimo. Ma mi spieghi come mai le posizioni dell’ANPI nazionale sono state condivise e sostenute dalla stragrande maggioranza dei delegati al Congresso nazionale e dei Congressi provinciali. Certo, c’è una minoranza che ha un’altra (e legittima) opinione. Vivaddio! Si chiama democrazia. A me pare che nell’ANPI – forse diversamente che in diverse circostanze attinenti la vita di tanti partiti – funzioni, mentre trovo francamente irriguardosi gli attacchi (non da parte Sua) che in questi mesi sono stati sferrati contro un distinto e coerente signore di 93 anni, dirigente, partigiano, intellettuale di grande rilievo.
Tutto qui. Tanto per coerenza.
Pubblicato giovedì 8 Settembre 2016
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