Le relatrici

L’ 8 marzo 2025, Giornata internazionale della Donna, si è svolta a Genova una iniziativa organizzata dalla Sezione Anpi di San Fruttuoso in collaborazione con tante associazioni cittadine: Cgil Genova, Udi Genova, Ora in silenzio per la pace, Suq Genova, Coop Liguria, coro Quattro Canti, ospiti della scuola di musica Music Line e della Direzione del Mercato di Corso Sardegna, area in cui l’iniziativa si è svolta.

Sala gremita per l’incontro

Dopo i ringraziamenti ai presenti e alle associazioni che hanno collaborato la presidente Anpi San Fruttuoso, Arianna Cesarone, ha dato breve lettura del documento del Coordinamento nazionale donne Anpi scritto per l’8 marzo: “Quest’anno è una Festa speciale perché coincide con un anniversario dal grande valore ideale e simbolico (l’80° della Liberazione) e, per scelta, con la prima della due giorni del tesseramento all’Associazione. Libere e partigiane, eredi delle donne che hanno combattuto in mille forme nella Resistenza, proseguiamo l’impegno per la pace, per combattere la violenza, la disparità di genere, per rilanciare e sostenere un modello di servizi pubblici di qualità, capace di garantire piena uguaglianza e universalità dei diritti sociali e civili. Lo facciamo forti della nostra storia e di una determinazione nata dalla lotta vittoriosa contro il nazifascismo”.

Nell’introduzione, la presidente Arianna Cesarone ha ricordato che, in collaborazione con Coop, lei stessa, per Anpi Genova, sta portando in giro per la Provincia (e oltre) la “Storia dell’emancipazione femminile” dalla fine del 1800 a oggi. Si tratta di un breve excursus in cui sono tracciate le principali tappe che hanno visto le donne protagoniste con il raggiungimento di nuovi diritti, nuovi spazi, nuove parole.

Il punto di partenza

Il vero inizio di questo cammino avvenne con la partecipazione delle donne alla Resistenza su un piano di parità con gli uomini, continuò con la partecipazione delle donne al voto e alla nascita della Repubblica, proseguì con l’impegno e il lavoro delle donne nell’Assemblea Costituente nella quale vennero ratificati tanti articoli e tante norme che sanciscono ancora oggi pari dignità e pari diritti tra uomini e donne. Ed è un cammino continuato negli anni successivi del dopoguerra e ancora con le manifestazioni delle femministe degli anni 70 che ha portato a diversi traguardi: dall’abolizione dello ius corrigendi all’approvazione del divorzio, dalla legalizzazione dell’aborto a molte altre leggi in favore delle donne. Questa iniziativa organizzata per l’8 marzo ha lo scopo di analizzare qual è lo stato delle cose, per le donne, nel 2025, sapendo bene che non tutte le norme della Costituzione sono applicate, sulle retribuzioni, a titolo di esempio. Vengono alla luce diversi aspetti in cui le donne fanno la differenza, ma spesso non riescono a emergere o riescono con fatica, confrontandosi spesso con ambienti maschilisti o con ambienti ostili, spesso abitati anche da donne in cui però esiste più una competitività maschile anziché una solidarietà femminile. Sono state invitate a parlare le relatrici che di seguito vengono presentate  caratterizzando i loro interventi secondo i principi fondamentali della Costituzione.

Un’altra immagine della sala dove in tanti e tante sono rimasti in piedi

Il lavoro

Fondamento della Repubblica (art. 1), il lavoro permette di contribuire alla costruzione della società, permette la partecipazione responsabile al bene comune. Chi meglio della Cgil poteva aiutarci a mettere a fuoco i problemi e i passi avanti delle donne in questo campo? Ha affrontato questo tema Vanda Valettini della Camera del Lavoro di Genova, cara compagna che ha già affiancato Anpi in altre manifestazioni con le donne della Cgil e che sta creando in Cgil un coordinamento donne. Le recenti pubblicazioni dell’Inps con il rendiconto di genere 2025 e la pubblicazione del rapporto Istat elaborato dal Cnel, indicano una persistente attualità della penalizzazione delle donne nel mercato del lavoro remunerato: le donne entrano più tardi nel mondo del lavoro rispetto ai maschi, hanno una retribuzione più bassa, non occupano ruoli apicali e sono le più soggette al part-time involontario.

In un campo le donne, risultano le protagoniste ed esattamente in quello dei lavori di cura, che sottraggono tempo ed energie. Le motivazioni di tale primato negativo, vanno ricercate principalmente nel persistere di logiche patriarcali, che sono tanto radicate da essersi fatte ambiente e, in quanto tali, non si vedono e non si percepiscono, ma ci condizionano pesantemente: spesso sono le stesse donne che, accettando inconsapevolmente questo modello sociale, ne diventano autonomamente attrici: dobbiamo avere paura del patriarcato interiorizzato dentro di noi.

(Imagoeconomica, Saverio e Giglio)

Il diritto antidiscriminatorio si è dimostrato uno strumento fondamentale ma insufficiente, il che è certificato sul piano empirico dai persistenti divari che le donne tuttora scontano nell’accesso al lavoro, nei percorsi di carriera e nelle retribuzioni. Preso atto, dunque, della necessità di guardare oltre il diritto antidiscriminatorio, il tema richiede di confrontarsi con le politiche pubbliche e con le loro finalità redistributive, occorre mettere in relazione il concetto di diseguaglianza di genere con la più ampia sfera delle diseguaglianze sociali. Compiere azioni per cambiare la situazione è possibile, con l’individuazione di alcuni punti cruciali sui quali lavorare con la crescita della consapevolezza che le donne debbano lavorare per le donne.

Una foto del 1944, al congresso di fondazione dell’Udi

La società

Per la società la scelta è ricaduta sull’Udi (Unione Donne in Italia) associazione nata dai Gdd alla fine della Resistenza, da sempre impegnata a difendere e sostenere i diritti delle donne nelle principali battaglie sociali italiane. Anche oggi, a 80 anni dalla sua nascita, Udi è un riferimento a livello nazionale per la parità di genere. Ha affrontato il tema la presidente dell’Udi Genova, Teresa Bruneri, cara amica e compagna di tante iniziative e tante manifestazioni. Riguardando le foto del nostro Archivio storico per allestire la mostra a Palazzo Ducale nell’ambito della Storia in Piazza (le piazze della storia), abbiamo letto gli slogan sui cartelli e sugli striscioni che portavamo nelle piazze, dagli anni 60 agli anni 80. Chiedevamo l’applicazione della legge 1971, anche con presidi in piazza De Ferrari, chiedevamo diritto al lavoro, chiedevamo i consultori, chiedevamo libertà di scegliere o no, la maternità. La società, 50 anni dopo, è cambiata e anche la presenza delle donne è cambiata, ma la richiesta perché la vita possa essere migliore e le famiglie possano essere sostenute rimane ancora un obiettivo politico. ll benessere o welfare è in ltalia una protezione sociale (Istat), un soccorso rivolto alla vecchiaia, alla malattia, alle categorie svantaggiate dell’esclusione sociale, ma l’avvio di servizi di prossimità dedicati alle persone si sono fermati. Prima di tutto verso l’infanzia.

La maternità come valore sociale abbiamo detto, decenni fa, e ora sappiamo che i figli sono il valore sociale. Gli asili nido per aiutare soprattutto le donne che al primo anno di vita del bambino ancora si licenziano perché economicamente è un carico impegnativo, ma poi a casa ci rimangono o fanno lavori sottopagati. I consultori che supportano la crescita degli adolescenti, la salute delle donne e la conoscenza del corpo, che non devono essere solo ambulatori ma, con le caratteristiche per cui sono nati: luoghi dove si trovano diverse competenze professionali e dove le famiglie, le coppie, i/le singoli possono trovare aiuto e sostegno alla loro vita e prevenire situazioni gravi e violente nel privato, spesso con oggetto la vita delle donne. ln questi anni, abbiamo mantenute vive queste richieste in modo non continuativo e poco unite. E perciò faccio un appello a ritrovarci e unire le forze. Le istituzioni sono state sorde, e al settore sociale non hanno dedicato energie. Vorremmo che l’amministrazione che verrà metta impegno a mettere al centro i bisogni delle persone. ln questi 80 anni dal dopoguerra, abbiamo lottato e ottenuto molte leggi che garantiscono i diritti civili e di cittadinanza, gli 80 anni della nostra associazione hanno caratterizzato queste battaglie. ll primo diritto rimane il diritto al voto che ha permesso a tutte noi di esprimere la  propria presenza e la propria scelta. Questo diritto va esercitato nella prossima scadenza elettorale per farci sentire.

(Imagoeconomica, Sara Minelli)

L’attività politica

Dovrebbe essere alla base dell’organizzazione della nostra Repubblica. Per parlare del ruolo delle donne si è pensato molto a chi invitare, diverse infatti sono le donne che fanno parte delle istituzioni e delle compagini dei diversi partiti politici della sinistra, alcune ricoprono anche ruoli significativi, ma solo una è segretaria di partito a livello provinciale. Simona Cosso, segretaria provinciale di Sinistra Italiana. Le quote rosa sono servite a poco. Le riforme anche meno. I dati del nuovo rapporto Sesso è Potere 2025, curato da info.nodes. “Il potere in Italia resta saldo nelle mani degli uomini. Non è una sensazione, non è un’opinione, non è una forzatura ideologica. È un dato di fatto. Numeri alla mano, lo squilibrio nei ruoli decisionali attraversa ogni ambito: politica, economia, media, università, ricerca”. Alcuni dati: solo il 15% delle persone che amministrano i Comuni italiani sono donne. In Parlamento la percentuale di deputate e senatrici si ferma al 34%. Nei Consigli regionali va anche peggio: tre quarti dei consiglieri sono uomini. In Liguria le assessore, nelle varie giunte delle amministrazioni della Regione, sono appena 39 su cento. Quasi il 70 per cento sono maschi, così pure tra i sindaci sono uomini l’85,41 per cento. Nei vari Consigli comunali della Liguria il 66,25 % è costituito da uomini contro il 33,75 di colleghe donne. È dunque importante capire quali strategie mettere in campo per accelerare il processo di cambiamento che dovrebbe avvicinare l’Italia e la Liguria all’obiettivo prefissato dai 193 Stati che hanno aderito al progetto Agenda 2030, e attuare concretamente le “pari opportunità” e le “pari condizioni”.

Manifestazione (Archivio fotografico Anpi nazionale)

La rappresentanza nella dirigenza politica 

Prosegue Cosso. Sono segretaria di Sinistra Italiana Genova, unica dirigente politico a livello provinciale, spiega Simona Cosso, come altre donne devo coniugare la vita familiare, il lavoro (sono un’insegnate ) e la Politica, che vivo come una passione e un servizio. Molto spesso mi è capitato di sedermi a tavoli politici, eventi di coalizione progressista, elezioni amministrative in alcuni Comuni, nei quali io sono stata l’unica donna dirigente Nel mio partito le donne hanno un ruolo molto importante e ricoprono le cariche apicali. Voglio sperare che questo modus operandi contamini anche gli altri partiti, perché è la pratica politica, e non le parole, che deve dare l’esempio. Essere una dirigente di sinistra, vuol dire farsi portavoce di temi come il gender gap, il welfare, i servizi sociali ed educativi, diritti sessuali e riproduttivi assumendo tutto il peso di un’identità di genere che va ben oltre le differenze anatomiche. Nella mia formazione il femminismo è stato un motore chiave, così  come la presenza di gruppi femministi di supporto. La gestione del potere. Un tema centrale è il rapporto tra politica e potere: le donne che fanno politica non devono avere paura del potere, ma bisogna comprendere che la questione non è quella di espugnare o di spartire i vertici della politica maschile, ma di cambiarla. Il potere deve essere concepito come verbo servile e non come sostantivo, dobbiamo avere il potere per poter cambiare le cose e, per far questo dobbiamo conquistare una leadership che si basi sulla valorizzazione delle altre donne, sulle decisioni prese insieme incontrandoci con i corpi e scambiandoci le posizioni: questo arricchisce tutti e tutte e fa sì che il potere venga esercitato in maniera “orizzontale“ e non in maniera verticistica. Le donne devono essere consapevoli di voler fare la differenza nella gestione del potere politico e saperlo rigovernare senza appropriarsene, dicendo basta alle decisioni calate dall’alto, basta all’uomo (o ahimè! la donna) solo al comando. Occorre un innovativo approccio al potere tutto al femminile, un approccio che deve avere come sfondo quello di promuovere un linguaggio nuovo. Essere donna in politica vuol dire essere una donna che pratica la pace. Di ispirazione la figura di Lisistrata, il cui nome significa “colei che scioglie la guerra”, donna che concerta con le compagne la strategia per lottare per la giustizia e per la pace. Noi dobbiamo fare come Lisistrata e le compagne, studiare insieme le strategie per rafforzare i diritti di tutti e tutte perché la pace non puo’ esistere senza diritti, senza il lavoro che dà autonomia economica, senza la cura per le persone e per l’ambiente.

La scuola e la formazione

La nostra Costituzione stabilisce che l’istruzione è un diritto per tutti perché serve al pieno sviluppo della persona umana, stabilisce anche che l’insegnamento è libero. Per la scuola in Anpi abbiamo una larga rappresentanza di donne insegnanti, impegnate nelle proprie scuole a portare la conoscenza della Costituzione e a barcamenarsi tra la burocrazia sempre più pressante e le direttive, sempre più assurde dettate da chi, alla scuola, vuole veramente poco bene. È stata invitata, a discutere del ruolo delle donne nella scuola, Paola De Magistris, insegnante liceale, membro del direttivo Anpi San Fruttuoso. Possiamo far risalire la prevalenza femminile nell’insegnamento al periodo successivo all’Unità d’Italia. Già nell’anno scolastico 1895-1896 infatti le maestre erano 32.544 (59,7%) e i maestri 22.000. L’accesso all’insegnamento ha senz’altro rappresentato una delle principali occasioni di riscatto per le donne, che hanno avuto la possibilità di conquistare un ruolo preminente nell’universo scolastico, uscendo dalla condizione di marginalità economica e sociale in cui erano state fino a quel momento relegate. Secondo alcuni dati diffusi da Orizzontescuola e da Invalsi, risulta che attualmente le docenti in servizio alla scuola dell’infanzia sono il 99% del totale, il 96% alla scuola primaria, mentre è solo del 45% tra i dirigenti scolastici.

(Imagoeconomica, Stefano Carofei)

Se rivolgiamo l’attenzione al mondo universitario, tra i professori ordinari le donne rappresentano il 13%, e solo il 39% ricoprono cariche di rilievo. Le rilevazioni Ocse, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, effettuate in più di 80 Paesi indicano che in Italia l’83% dei docenti a tempo indeterminato sono donne, contro il 68% della media Ocse. Per quanto riguarda le studentesse che affrontano un percorso di formazione universitaria in discipline Stem il divario di genere è ancora troppo rilevante: costituiscono solo il 39% del totale. Da una ricerca Ocse la scelta delle studentesse risulta in parte influenzata dalla capacità delle insegnanti di esprimere la propria soddisfazione sul lavoro e mostrarsi consapevoli delle proprie capacità. Sarebbe auspicabile mettere tutte le donne in condizione di mostrare questa “autoefficacia”, garantendo i servizi necessari ad una migliore gestione dei figli piccoli anche a chi non può contare sull’aiuto di nonni disponibili.

Kismet, testa di robot anni novanta realizzata dal Mit

La questione tecnologica

L’articolo 9 della Costituzione stabilisce che “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”. Ma nel campo della tecnologia non è facile ancora oggi trovare donne in ruoli chiave. Anche se la storia della scienza è piena di studiose e di scienziate, che però sono state spesso dimenticate o messe in secondo piano. Ci sono per fortuna delle splendide eccezioni: è stata invitata Georgia Cesarone, ingegnere, presidente del Cti Liguria, esperta di cybersicurezza, di trasformazione digitale, di innovazione tecnologica, membro del comitato scientifico del Clusit, associazione italiana per la sicurezza informatica, consigliera-segretaria dell’Ordine degli Ingegneri di Genova, vicepresidente dell’Istituto Internazionale delle Comunicazioni, vicepresidente di Fidainform, responsabile Innovazione del Centro di Competenza Start 4.0.

(Imagoeconomica)

In genere, il termine “tecnologia” è difficilmente associato al termine “donna”. Questo, se ci pensiamo, è strano: in origine il termine indicava lo studio o il ragionamento sull’arte o sull’abilità manuale e le donne sono sempre state straordinarie in questo. Anche oggi le donne eccellono in queste materie quando sono bambine o giovani ragazze. E allora perché, nonostante l’importanza crescente della tecnologia nel mondo di oggi, la partecipazione femminile al settore tecnologico è ancora troppo bassa? Perché in realtà esiste un sistema di disincentivi culturali unito ad un sistema educativo che, spesso inconsapevolmente, continua a indirizzare le ragazze verso ambiti meno tecnologici. Fin dalle scuole elementari, i modelli culturali influenzano le scelte educative delle bambine. Le materie scientifiche vengono spesso percepite come più adatte ai ragazzi, mentre alle ragazze si riconosce una maggiore predisposizione per discipline umanistiche o sociali. Questo pregiudizio si rafforza nel tempo, portando a una minore presenza femminile nei corsi universitari di ingegneria, informatica, fisica e matematica. Esistono due momenti in cui si verifica un evidente crollo della partecipazione femminile alle materie Stem: quello della scelta della scuola secondaria di secondo grado e quello della scelta dell’università. Quindi, crescendo le ragazze vengono inconsapevolmente disincentivate nella scelta di una strada tecnica. Le donne laureate nelle discipline Stem sono ancora una minoranza. La prima laureata in ingegneria in Italia è stata Emma Strada nel 1908, ma è solo dal 1961 che possiamo parlare di un notevole incremento di laureate in materie scientifiche, grazie anche a figure come Amalia Ercoli Finzi, la prima donna laureata in ingegneria aeronautica. Tuttavia, la crescita è stata molto più lenta rispetto a quella maschile: secondo i dati del ministero dell’Università e della Ricerca, solo il 17% delle donne laureate in Italia sceglie corsi Stem, mentre tra gli uomini la percentuale sale al 36,8%. Eppure, il mondo della tecnologia offre molte più opportunità lavorative rispetto ad altri settori.

Le aziende tecnologiche sono in continua crescita e cercano competenze che spesso non riescono a trovare. La pandemia da Covid-19 ha dimostrato quanto le donne siano più esposte alla perdita del lavoro: secondo l’Istat, tra il 2019 e il 2020 il tasso di occupazione femminile è calato più di quello maschile, proprio perché le donne sono maggiormente impiegate in settori meno digitalizzati e quindi più vulnerabili ai cambiamenti del mercato del lavoro. Anche il gender pay gap è inferiore in alcuni ambiti Stem rispetto ad altri settori e porterebbe ad una maggiore parità, visto che ancora molte sono le discriminazioni nel mondo del lavoro. Secondo il rapporto AlmaLaurea 2022, le donne rappresentano il 60% dei laureati in Italia, ma a cinque anni dal conseguimento del titolo, gli uomini guadagnano in media il 20% in più. Questa disparità è spesso legata alla scelta di percorsi di studio meno remunerativi e alla difficoltà di conciliare carriera e vita familiare che portano a un maggiore abbandono della vita lavorativa; la continua ricerca di competenze Stem potrebbe aiutare le donne al maggior reinserimento e ad una maggior parità salariale. In ogni caso anche nelle materie Stem c’è un divario che si attesta su circa il 10% salariale in meno; quindi, anche in questo settore c’è ancora molto da fare.

(Imagoeconomica, Carino by Ai)

Oggi il lavoro da remoto permette di coniugare meglio vita professionale e familiare, ma senza un’adeguata formazione digitale molte donne rischiano di restare escluse anche da queste opportunità. Secondo uno studio dell’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere, migliorare l’uguaglianza di genere potrebbe portare a un incremento del PIL pro capite dell’Unione Europea fino al 9,6% entro il 2050, con una crescita già visibile del 2% entro il 2030. Purtroppo, siamo molto lontani da questo traguardo: secondo il Digital Decade Report 2024 dell’Unione Europea, l’Italia si colloca al di sotto della media europea per quanto riguarda le competenze digitali di base: solo il 45,8% degli italiani possiede competenze digitali di base, rispetto a una media UE del 55,6% e, per quanto riguarda le donne, la situazione è ancora più critica: solo il 43,1% delle donne italiane possiede competenze digitali di base, rispetto al 52,3% della media europea. La mancanza di competenze digitali può limitare l’accesso delle donne a servizi essenziali riducendo l’autonomia personale e l’indipendenza. La tecnologia, infatti, offre strumenti che facilitano la gestione della vita quotidiana, dalla prenotazione di visite mediche all’accesso a servizi bancari; tuttavia, senza le competenze necessarie, si rischia di dipendere da terzi per operazioni semplici, come l’aggiornamento del proprio dispositivo cellulare o della gestione del conto in banca, oppure della sorveglianza da parte di altri che, ad esempio, condividono la posizione senza essere scoperti, aumentando la vulnerabilità di soggetti già fragili.

Inoltre, come donne stiamo perdendo la possibilità di contribuire in modo significativo nel fornire un altro punto di vista allo sviluppo di tecnologie fondamentali per la società, che grazie ad un punto di vista femminile potrebbero essere diverse. Pensiamo come abbiano influito, soprattutto sulla vita delle donne, l’invenzione della lavatrice o della lavastoviglie che hanno rivoluzionato la gestione domestica, liberando tempo per altre attività. Oppure innovazioni come la mammografia dedicate alla prevenzione al femminile, fino ad arrivare all’importanza di una medicina personalizzata.

(Imagoeconomica, Carino, by Ai Mid)

Partecipare attivamente al mondo tecnologico permette alle donne di influenzare le scelte che modellano la società, garantendo che le loro esigenze siano rappresentate e soddisfatte. Pensiamo alla sicurezza: personalmente supporto la bellissima associazione Save the Woman, nata dall’idea di una cara amica, che ha sviluppato un chatbot da installare nei siti dei centri anti-violenza, addestrato grazie all’aiuto di psicologi e assistenti sociali, che consente alle donne di richiedere informazioni in sicurezza senza che la chat possa essere scoperta da qualcuno che controlla il dispositivo. Ma l’idea è nata perché chi conosce le necessità ha una conoscenza tecnologica che permette di portare allo sviluppo di uno strumento. La mancanza di competenze digitali di base rappresenta un ostacolo significativo e rende le donne più fragili dal punto di vista lavorativo, più dipendenti da chi gestisce le risorse finanziarie o da chi sa controllare i dispositivi tecnologici, esponendole a rischi legati alla sicurezza e alla privacy. La tecnologia è uno strumento fondamentale che garantisce l’indipendenza e migliora la qualità della vita. L’esclusione delle donne dal settore tecnologico impoverisce la società nel suo complesso, ma soprattutto priva le donne di opportunità di crescita personale e professionale. Promuovere l’acquisizione di competenze digitali, incentivare la partecipazione femminile nelle discipline STEM, abbattere le barriere di genere nel campo tecnologico è essenziale per promuovere indipendenza, crescita e autonomia delle donne per garantire una partecipazione attiva nella costruzione del futuro di tutti noi.

La pace

Per la pace la scelta non poteva che ricadere su Norma Bertullacelli che della pace ha fatto una delle sue ragioni di vita. È infatti la referente dell’associazione “Ora in silenzio per la pace” che si riunisce tutti i mercoledì sui gradini di Palazzo Ducale in piazza De Ferrari e che è arrivata alla 1188° ora di protesta in silenzio dove il silenzio è riflessione e denuncia. La nostra Costituzione, all’articolo 11 ripudia la guerra… Un saluto solidale e sincero alle soldatesse israeliane che hanno rifiutato di partecipare al massacro di Gaza: idealmente sorelle delle donne che manifestarono a San Pietroburgo nel 1917 per la fine della guerra, e delle femministe francesi che sostennero chi rifiutava di reprimere la rivolta algerina. Vorrei vedere superato lo stereotipo di moda qualche tempo fa, che voleva le donne “per natura portatrici di pace”. Ma vorrei anche vedere riconosciuta la loro presenza nella società anche attraverso l’intitolazione di vie e piazze. A Genova non abbiamo via Fernenda Pivano, ma abbiamo la rotonda Escrivà de Balaguer…

Gli stereotipi sono spesso ben nascosti. La mamma dei bambini di Mary Poppins viene descritta come una cattiva madre: ha bisogno di una baby sitter perché è una suffragetta e, con altre donne, va a “tirare cose addosso al primo ministro”. E la sua fascia da manifestante finirà attaccata all’aquilone dei figli quando lei, finalmente “rinsavita” riprenderà il suo posto in famiglia. Patria e patriarcato hanno la stessa radice linguistica. Faccio mia la famosa frase di Don Milani “Se voi avete il diritto di dividere il mondo tra italiani e stranieri, vi dirò che nel vostro senso, io non ho patria. E rivendico il diritto di dividere il mondo tra sfruttati e sfruttatori. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri. Asili nido per sostenere le donne, certo. Ma li vogliamo, belli, efficienti, con un giusto rapporto numerico tra bambini ed insegnanti. Ma chi ve l’ha detto che vogliamo gli asili nido solo per lavorare e, fare carriera, essere sul lavoro anche a Natale e a Pasqua, competere come gli uomini, prendere a calci colleghi e colleghe perché c’è “la meritocrazia….”? Vogliamo gli asili per andare a lavorare ma con orari umani: vogliamo anche vederli crescere, i bambini, trascorrere tempo con loro. Non solo: vogliamo anche avere il tempo per cantare, per andare al cinema, per passeggiare. Per fare politica. E per tirare cose (metaforiche, s’intende) addosso al primo ministro.

La solidarietà

Si tratta di uno dei principi fondamentali della Costituzione italiana. All’articolo 2 è citata come un dovere inderogabile. Abbiamo pensato ad una solidarietà fatta di ascolto, di confronto, di tolleranza, di inclusione, tutte attività che passano attraverso le culture, diverse e arricchenti. Che ruolo hanno le donne? Lo abbiamo chiesto a Carla Peirolero, attrice, autrice e regista, fondatrice e animatrice del SUQ Genova. Carla ha creato diverse attività per favorire processi di conoscenza e integrazione attraverso il teatro e l’arte in generale.

(Imagoeconomica, Clemente Marmorino)

Se si cerca il significato della parola solidarietà si trova che è “la coscienza viva e operante di appartenere a una comunità, condividendone le necessità” e anche che “si esprime in un comportamento altruistico volto ad aiutare chi ne ha più bisogno e ad adoperarsi per il suo bene”. Credo che le donne abbiano sviluppato grandi capacità di empatia, allenate da anni e secoli in cui si sono prese cura delle loro famiglie e di quelle degli altri. Ci sono poi dei passaggi della vita, accadimenti, vicini o lontani, in cui le donne, anche di culture e origini diverse, possono sviluppare una naturale solidarietà, penso alla maternità o al movimento donne, vita, libertà. In questi anni di Suq Genova, con il Festival e con gli spettacoli, il legame con le donne migranti e con le artiste dal background migratorio, mi ha fatto capire quanto sia importante creare occasioni di conoscenza, dove poter esprimere i propri bisogni. Nato da due donne (con me Valentina Arcuri) come ribellione ai luoghi teatrali convenzionali, frequentati da una élite colta e bianca, lo spazio del Suq ha saputo generare una comunità interculturale e intergenerazionale in cui lo scambio è stato più facile e la conoscenza dei bisogni anche. Il nostro lavoro aveva radici in un atteggiamento di solidarietà: volere includere fasce di popolazione che chiedevano di avere voce e rappresentazione. Le diseguaglianze culturali colpiscono tanto quanto quelle sociali ed economiche, e le donne spesso ne sono le maggiori vittime. Solidarietà come spinta reciproca alla condivisione, nella comprensione che la qualità della vita di questo si nutre e non della lotta tra appartenenze.

Nella nostra Costituzione la partecipazione è uno dei valori che emerge dai principi fondamentali. L’invito che implicitamente ci rivolge la Carta Costituzionale è quello di essere cittadini partecipi e consapevoli perché solo nel quadro di una cittadinanza attiva si possono  realizzare concretamente i valori della Costituzione e si riescono a combattere tutti i pericoli a cui sono esposte, sempre, la democrazia e la convivenza civile. A parlare di questo valore e dell’importanza delle donne abbiamo chiamato Tiziana Cattani, dirigente di Coop Liguria, responsabile delle politiche sociali per Coop Liguria che è da sempre impegnata nel sociale, nella valorizzazione del territorio e dei suoi prodotti, nella tutela dell’ambiente…

Imagoeconomica, Carlo Carino)

Libertà è partecipazione diceva Gaber, ma oggi la partecipazione è spesso limitata, carente. C’è una responsabilità di tutti noi sul valore della partecipazione. C’è la responsabilità delle Istituzioni, che devono creare ambiti di ascolto vero e non formale e c’è la responsabilità delle nuove generazioni. Partecipare è un impegno, ma  chi lo fa deve avere la consapevolezza che quello che dice verrà preso in considerazione. La democrazia non può prescindere dalla piena partecipazione di tutti i cittadini e la presenza delle donne è un elemento cruciale per garantire una rappresentanza equa e una governance inclusiva. Le donne costituiscono una significativa parte della popolazione e la loro sotto-rappresentazione può portare a decisioni che non tengono pienamente conto delle loro esigenze e preoccupazioni perché la diversità di genere contribuisce a una rappresentazione più completa e bilanciata delle varie prospettive presenti nella società. Una rappresentanza equa riflette la volontà di una varietà più ampia di cittadini. La diversità di pensiero che deriva dalla partecipazione femminile può portare a soluzioni più innovative e comprensive per le sfide della società.

Arianna Cesarone, presidente Anpi San Fruttuoso, vicepresidente Anpi Genova e componente del Comitato nazionale Anpi

Le donne in politica possono svolgere un ruolo cruciale nel plasmare politiche mirate a risolvere tali problematiche e a promuovere l’uguaglianza di genere, con un impatto a lungo termine. C’è la necessità di un diverso approccio culturale. Quando parliamo di partecipazione il piano non è quello della concessione, ma dell’esercizio di un diritto. Occorre mettere al centro una maggior trasparenza ed eticità, di ricostruire legami e relazioni sociali, partecipazione democratica, lotta alle diseguaglianze crescenti, alla mancanza di lavoro dignitoso e al deficit di futuro che colpisce le giovani generazioni. Perché lavorare per sviluppare una maggior coesione sociale e difendere i diritti dei più deboli ha lo stesso valore che impegnarsi per lo sviluppo economico e produttivo, senza perdere mai di vista i principi fondamentali. Far crescere fiducia-credibilità-reputazione è darsi regole chiare che richiamino la responsabilità di ognuno. “In un momento di crisi come quella che stiamo vivendo c’è bisogno di concretezza, bisogna che alle parole seguano immediatamente i fatti, le azioni concrete”. Occorre ripensare al legame con il territorio, perché è sul territorio che si manifestano i bisogni e si cercano risposte, lavorando in rete e dando vita ad un lavoro di squadra perché la collaborazione, l’integrazione è un bene sempre ma soprattutto nei momenti di difficoltà.

Il coro Quattro Canti

La conclusione dell’evento è stata affidata al coro Quattro Canti con il Maestro Gianni Martini. Il coro è nato nel 2003 e da sempre diretto dal Maestro Gianni Martini, musicista di pregio, che ha collaborato con artisti di livello nazionale tra cui Giorgio Gaber, Ivano Fossati, Francesco Guccini…e molti altri… Gianni dirige quattro cori polifonici per i quali è lui stesso a riarrangiare le musiche. Da alcuni anni fa parte della direzione della scuola di musica Music Line. Per rimanere nel tema della giornata di oggi abbiamo dato il titolo donne e musica. Il coro Quattro Canti ha spiegato la scelta delle canzoni.

Nel nome di donna c’è l’orgoglio dell’appartenenza al femminile, a quella parte di umanità per tanto tempo ignorata, oppressa, nascosta. Per molto tempo le donne sono state le mamme, le figlie, le sorelle, quasi sempre, di qualche uomo, come a rimarcare che il loro riconoscimento avvenisse solo ed esclusivamente attraverso la figura maschile. Dopo anni di lotte per l’emancipazione, le donne continuano a essere madri, figlie, sorelle, ma vogliamo che le loro mille sfaccettature risplendano come diamanti e che siano riconosciute attraverso ed esclusivamente attraverso la loro vita. Per questo le canzoni che oggi vi presentiamo hanno già nel loro titolo il nome delle protagoniste, perché le diversissime storie che le hanno ispirate siano di immediato riconoscimento e dedica: Albachiara, Agnese, Aida, Ruby tuesday, Ave Maria; a seguire alcune canzoni indicative del coraggio delle donne che si ribellano a relazioni tossiche o a vite che non vogliono prendendo in mano il proprio destino: Proud Mary, Insieme a te non ci sto più, Hit The road Jack…