«[…] Il destino ha scritto per noi la nostra politica: il commercio mondiale deve essere nostro, e lo sarà».

Albert J. Beveridge, 17 novembre 1898

Il presidente americano James Monroe (in piedi) in un ritratto dell’artista Clyde Osmer De Land

A partire dalla dichiarazione di Monroe del 1823, Washington sembra assumere “responsabilità particolari” rispetto al subcontinente americano. Certo, tale dichiarazione si inserisce nel contesto preciso di una attiva solidarietà antieuropea con le colonie spagnole che stanno via via emancipandosi. L’avvertimento rivolto al Vecchio Mondo resterà un filo conduttore della politica continentale degli Stati Uniti.

Re dollaro (Imagoeconomica, Carlo Carino by Mid Journey)

La dichiarazione di Monroe, integrata dal “corollario Roosevelt” del 1904, che attribuisce a Washington una sorta di diritto di polizia internazionale, non solo considera «un atto di ostilità nei confronti degli Stati Uniti» qualsiasi intervento europeo nell’America spagnola ma, proclamando «l’America agli americani», getta le basi ideologiche del panamericanismo. In virtù di questa visione, già nel 1881 il segretario di Stato Usa, James Blaine, aveva dichiarato che la costruzione del Canale di Panama sostenuta dalla Francia contraddiceva con i dettami della Dottrina Monroe.

(Imagoeconomica, Carlo Carino)

Dai primi del Novecento e fino alla Grande depressione, le relazioni interamericane sono dominate dalla politica arrogante e dominatrice della repubblica imperialista. La politica del big stick (politica del randello) viene affiancata dalla “diplomazia del dollaro”, cioè una intensa politica di promozione ed espansione dell’influenza finanziaria e bancaria degli Stati Uniti. Meno vistosa, ma non meno efficace. I Caraibi e le piccole nazioni dell’America centrale sono le vittime principali, come Panama. Tanto che prima del 1903 gli Stati Uniti erano già intervenuti cinque volte nell’istmo.

L’America colonizza l’America, spesso soppiantando la vecchia Europa. Così, dopo aver ingerito nella conquista dell’indipendenza di Panama dalla Colombia, solo due settimane dopo, il 18 novembre 1903, viene firmato il nuovo trattato Hay-Bunau-Varilla. Questo trattato, firmato tra gli Stati Uniti e Panama, con la mediazione di Philippe Bunau-Varilla (ingegnere capo della società francese che aveva lavorato al progetto del canale), concesse agli Stati Uniti il controllo perpetuo di una zona attraverso l’istmo larga 10 miglia, e in cambio avrebbe pagato subito 10 milioni di dollari, e una rendita annuale pari a 250 mila dollari a cominciare da nove anni dopo.

Il Canale di Panama in una fotografia della Nasa

Sebbene il trattato fosse vantaggioso per gli Stati Uniti, venne criticato per la mancanza di legittimità e il fatto che Panama non fosse rappresentato adeguatamente, dato che il documento fu firmato da un rappresentante panamense senza una vera rappresentanza del nuovo Stato sotto la protezione statunitense. Tanto che il primo documento ufficiale prodotto dalla nuova Repubblica di Panama consistette in un atto approvato dal consiglio municipale lo stesso giorno della dichiarazione di indipendenza (3 novembre), che accettava il protettorato statunitense.

Theodore Roosevelt è stato presidente degli Stati Uniti dal 1901 al 1909

«Noi abbiamo riconosciuto la Repubblica di Panama. Senza sparare un colpo abbiamo evitato la guerra civile. Abbiamo prontamente negoziato un trattato in base al quale ora si sta scavando il canale […]. Si deve rammentare che se io non avessi agito esattamente come agii, ora il canale di Panama non ci sarebbe. È follia affermare la devozione a un fine e al tempo stesso condannare i soli mezzi attraverso i quali quel fine può essere raggiunto». In questi termini perentori il presidente Theodore Roosevelt tornerà anni dopo su quei giorni. In sostanza, la dottrina “che il fine giustifica i mezzi” non era stata mai applicata con maggiore energia. La lezione di Panama fu nel complesso ben capita dall’America centrale. La lista degli interventi diventerà lunga: Haiti, Santo Domingo, Nicaragua, nell’Honduras che sarà occupato ininterrottamente dal 1912 al 1934, o nel Guatemala, dove un intervento punitivo sostenuto dalla superpotenza permetterà nel 1954 l’eliminazione del presidente Jacopo Arbenz, ostile agli interessi della United Fruit company.

Donald Trump (Imagoeconomica)

Ancora oggi il Canale di Panama è una delle vie di comunicazione marittime più strategiche al mondo, con un impatto significativo sul commercio globale, la geopolitica, le relazioni internazionali e l’economia. Con una lunghezza di circa 80 km, questa via d’acqua è fondamentale per il traffico navale internazionale, con milioni di tonnellate di merci che passano annualmente.

(Imagoeconomica)

Il Canale, che consente l’attraversamento di almeno 14.000 navi all’anno, rappresenta il 2,5% del commercio marittimo globale ed è fondamentale per le importazioni statunitensi di automobili e beni commerciali tramite navi portacontainer dall’Asia e per le esportazioni statunitensi di materie prime, tra cui il gas naturale liquefatto. Un’infrastruttura strategica che collega l’Oceano Atlantico e quello Pacifico ed evita alle navi di dover percorrere oltre 11 mila chilometri in più per aggirare Capo Horn, sulla punta meridionale del Sud America.

(Pixabay, Peter Kraayvanger)

Con la vittoria di Trump il mondo assiste a una revanche del panamericanismo. Il presidente Usa, appena insediatosi alla Casa Bianca ha inserito nuovamente Cuba nella lista degli Stati sponsor del terrorismo, e ha ribadito il desiderio che gli Stati Uniti acquisiscano la Groenlandia e il Canale di Panama, definendoli entrambi essenziali per la sicurezza nazionale americana. Ha accusato Panama di applicare delle tariffe eccessive alle navi statunitensi che transitano attraverso il Canale e ha minacciato di riprenderne il controllo, tanto che alla domanda se avrebbe escluso l’uso della forza militare o economica per impossessarsi del territorio autonomo danese o del Canale, ha risposto: «No, non posso assicurarvi su nessuno dei due. Ma posso dire questo, ne abbiamo bisogno per la sicurezza economica», ha ammonito ai giornalisti durante un’ampia conferenza stampa nella sua tenuta di Mar-a-Lago in Florida. Sta di fatto che per Trump il Canale «è vitale per il nostro Paese» anche perché «è gestito dalla Cina». Messaggi, suggestioni, nostalgie imperialiste che rinnegano i trattati negoziati sotto il presidente Jimmy Carter, che a partire dal 1977 hanno gradualmente ceduto la terra al totale controllo della Repubblica di Panama.

José Raul Mulino, presidente di Panama

«Ogni metro quadrato del Canale di Panama e dell’area circostante appartiene a Panama e continuerà ad appartenergli», ha affermato il presidente panamense José Raúl Mulino in una dichiarazione pubblicata su X. Trump ha risposto: «Vedremo!». Un avvertimento di tornare a una bellicosa politica di espansione territoriale per difendere i propri interessi economici che fa ripiombare la storia americana indietro di un secolo.

Andrea Mulas, storico Fondazione Basso, autore di numerosi libri, ultimo in libreria “L’oro introvabile. Saverio Tutino e le vie della rivoluzione”