Gli Yazidi sono una piccola popolazione diffusa tra Iraq, Siria, Iran, Turchia, Armenia e Georgia che, pur facendo parte per lingua, storia e tradizione al mondo curdo, mantiene alcuni tratti specifici e peculiari.

Nelle prime ore del 3 agosto 2014, i combattenti dell’ISIS si dirigono rapidamente verso l’altopiano del Sinjar, ossia la “culla” del popolo Yazida. Inizia così, dieci anni fa, uno dei genocidi più “strutturati” della storia moderna. Per i miliziani di al-Baghdadi gli Yazidi sono una minoranza che per sua stessa natura non merita di vivere, a meno che questi non rinneghino la fede e abbraccino l’islam. Per gli uomini la scelta è fra la morte e la conversione, mentre per le donne non esiste scelta: verranno deportate, violentate, ridotte in schiavitù e vendute.

Kayla, 61 anni. Donna Yazida scampata alle violenze di Daesh (ISIS) e rifugiatasi con la famiglia a Dohuk, nell’Iraq settentrionale

Sebbene 100.000 Yazidi oggi siano tornati nel Sinjar (nonostante la mancanza dei servizi vitali come l’assistenza sanitaria e l’istruzione) sono decine di migliaia i sopravvissuti che vivono accampati in campi profughi dislocati tra Erbil, Dohuk e Sulaymanya. Quasi 3.000 donne e ragazze rapite sono ancora disperse e decine di fosse comuni devono ancora essere riesumate.

Tempo dopo, con il supporto di Un Ponte Per e di Emergency ho potuto conoscere quelle persone, fotografarle, raccontare le speranze delle comunità incontrate, focalizzando l’attenzione sui soggetti più vulnerabili.

E ho capito che quella storia di allora ha lasciato ancora oggi un’eredità di lotta resistente indomabile.

Matthias Canapini, scrittore, giornalista e fotografo. Nato a Fano nel 1992, dal 2012 viaggia per il mondo per raccontare storie con taccuino e macchina fotografica. Per Prospero editore è appena uscito il libro “La pelle. Diari dal Kurdistan iracheno”