La Costituzione è la Carta fondamentale che determina la struttura portante dello Stato, detta disposizioni di principio e norme anche direttamente precettive; è la base della vita politico-sociale di un Paese e il fondamento stesso della convivenza civile.
Quella italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, a tre anni dalla Liberazione del Paese e dalla fine della seconda guerra mondiale, è una delle più avanzate del mondo, soprattutto perché è costruita in modo da non limitarsi ad elencare i diritti fondamentali, ma dare indicazioni perentorie per la loro effettività e per la loro concreta attuazione.
È una Costituzione profondamente democratica, proprio perché si reagiva ad un ventennio di dittatura e di sacrifici e si intendevano creare le condizioni perché la democrazia riconquistata non potesse più essere messa in pericolo.
Illustrarla articolo per articolo richiederebbe volumi e per ogni norma un’analisi approfondita. Ciò che intendo fare, in questa sede, è soffermarmi soprattutto sui valori fondamentali che emergono dal complesso della Costituzione e che dovrebbero essere quelli cui si ispira tutta la vita politica, economica, sociale del Paese. Non parlo, dunque, di princìpi (che sono regole di carattere generale e di grande importanza, ma pur sempre princìpi, chiaramente definiti soprattutto nella prima parte della Carta, dall’art.1 fino all’art. 54).
Parlo di valori, non sempre esplicitamente dichiarati, ma chiaramente desumibili dal contesto.
Ecco i principali: la persona, il lavoro, la dignità, la libertà e l’uguaglianza, la democrazia, l’etica, la legalità; non dimenticando, peraltro, che nella schiera dei valori vanno considerati anche i doveri (oltreché i diritti); e tra di essi emergono principalmente la solidarietà e la partecipazione (questa intesa come diritto-dovere).
È convinzione comune, e non solo fra i giuristi, che il primo elemento caratterizzante della Costituzione, sul piano dei valori, è la persona umana, con tutti i suoi attributi, i suoi diritti, le sue tutele ed anche la sua dignità.
Su questo, l’intesa nella Costituente fu generale e diffusa, anche perché si usciva da un lungo periodo in cui la persona era stata umiliata e oppressa, in qualche modo calpestata.
Da ciò l’impegno del legislatore costituente per restituirle il valore fondamentale che le spetta: la persona, peraltro, intesa non come individuo singolo ed isolato, ma collocata nella trama dei rapporti sociali, vista nella concretezza della sua vita, della sua situazione sociale, delle sue difficoltà e limitazioni, in un mondo pervaso da disuguaglianze. Una visione della persona non statica ma dinamica, in quanto titolare dei diritti e dei doveri, proiettata verso lo sviluppo, non solo economico, ma sociale e culturale.
Certo, la persona – così intesa – si realizza soprattutto nel lavoro e nel quadro di un sistema che garantisca libertà, uguaglianza e dignità.
Ed ecco il valore del lavoro, come attributo indispensabile della persona, proprio perché essa possa svilupparsi e realizzarsi. Un valore chiaramente espresso nell’art. 1, che fa del lavoro, addirittura, il fondamento della Repubblica. Un lavoro che è considerato in termini generali, come svolgimento di un’attività socialmente utile, ma poi gode di particolari protezioni (artt. 4, 35, 36, 37), quando si tratta di attività svolta in una situazione di dipendenza economica. Perché il lavoro è un valore? Perché consente un naturale sviluppo della persona, perché l’ozio non si addice ad un “cittadino” e perché infine è col lavoro che si acquista la possibilità e il diritto di assicurare a se stesso ed alla propria famiglia un’esistenza “libera e dignitosa” (art. 36) e – più ancora – quello di partecipare alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3).
La persona, però, non può realizzarsi se non in condizione di libertà; ma il valore della libertà (la cui importanza non ha bisogno di essere sottolineata), acquista pienezza e possibilità concreta di realizzazione, solo se è congiunto al concetto di uguaglianza. L’art. 3 della Costituzione, che afferma con forza il principio che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, si preoccupa dell’effettiva realizzabilità di questo valore, collegandolo direttamente ed esplicitamente all’eguaglianza. Lo fa imponendo ai futuri governanti di rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza, “impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Così si valorizza anche il principio del divieto di discriminazione, che non è accettabile per nessun motivo (né per sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni personali e sociali – art. 3).
C’è ancora un valore da sottolineare, quello della dignità della persona, che in un certo modo qualifica tutti gli altri valori e specifica un attributo necessario del lavoro e di qualunque situazione in cui il cittadino possa venire a trovarsi. Dignità non è solo un concetto morale, ma va intesa in un contesto assai più vasto: il lavoro non è tale, così come costituzionalmente concepito, se non è “dignitoso”; chi esercita attività imprenditoriali può farlo solo nel rispetto della sicurezza, della libertà e della dignità umana (art. 41); la retribuzione deve garantire al lavoratore ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa (art. 36).
Procedendo ancora, non si può non sottolineare la scelta che è stata fatta dal legislatore costituente, dichiarando all’art. 1 che l’Italia è una “Repubblica democratica”. Con queste due semplici parole si esplicita una scelta, ma si evidenzia anche un valore, che è quello che poi sta alla base di tutto ed è la democrazia. Ci sono varie definizioni: democrazia è il governo di molti e non di pochi; democrazia è partecipazione; democrazia è il contrario di ogni tipo di autoritarismo; e così via. La nostra si qualifica come parlamentare (che vuol dire strutturata attorno ad un Parlamento, che esprime gli indirizzi generali ed esercita il potere legislativo), ma non esclude, ed anzi esplicitamente prevede anche forme di partecipazione diretta dei cittadini (l’iniziativa popolare delle leggi, il diritto di petizione, il referendum e così via).
La democrazia è il sale, è il contenuto e la finalità, al tempo stesso, della convivenza civile. Un valore da proteggere e tutelare contro ogni attacco e contro ogni rischio, soprattutto in un Paese che ha provato la dittatura e sa quanti lutti, quanta compressione della libertà e della dignità personale ne derivino. La proclamazione di questo valore è di estrema importanza anche per escludere impensabili ritorni al passato, sotto qualsiasi forma.
Gli storici, infatti, ammoniscono che la storia può ripetersi, anche con modalità differenti; e per questo bisogna fare attenzione ai pericoli e tenere sempre conto degli insegnamenti della storia. Il che vuole dire anche coltivare la memoria, che non è solo ricordo, ma è anche conoscenza e riflessione e, come tale, diventa – a sua volta – un valore.
Ho lasciato in fondo l’etica, ma non perché sia meno importante. Nella Costituzione non ricorre questa parola in modo esplicito, ma questo valore è immanente, anche nella parte seconda della Carta costituzionale, perché non è immaginabile un Paese democratico che non si ispiri ad una morale ferrea; altrimenti, la democrazia finirebbe per essere costruita su palafitte, rischiando di essere ingoiata dalle sabbie mobili. Ecco perché, salvo qualche rara eccezione (l’art. 97 prescrive “…il buon andamento e l’imparzialità dell’Amministrazione”; l’art. 54 impone ai cittadini, cui sono affidate funzioni pubbliche, di adempierle con disciplina e onore), di etica non si parla esplicitamente, ma essendo chiaro e pacifico che una democrazia corrotta non è una democrazia e che la caduta dei valori morali incide necessariamente su tutto il sistema delineato dalla Costituzione.
In questo senso, va richiamato – per assonanza – anche il valore della legalità, che non si esprime solo con l’obbligo di rispettare le leggi (art. 54), ma presuppone il “rispetto”, anzitutto, della Costituzione, che è la legge delle leggi; e poi nel concetto di legalità è incluso il dovere di ogni cittadino di comportarsi civilmente, rispettando gli altri soggetti e gli altri valori, ancorché non ci sia un espressa sanzione (“e ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte, che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso”: Pericle, agli ateniesi nel 431 a.c.).
Tutto questo, si collega, infine, con i doveri cui tutti devono attenersi, perché anche in questo è ravvisabile un valore importante.
È per questa via che acquista un valore immenso la solidarietà (pur proclamata, di principio, nell’art 2 in tutte le forme possibili, politiche, economiche e sociali), ma è rilevante anche il civismo, il senso – cioè – della cittadinanza, di appartenenza ad una collettività. Ancora una volta, torna in primo piano il valore della partecipazione, fondamentale – come ho detto – già nei documenti dell’antica Atene, ma tuttora di grande attualità. Il cittadino, non solo deve esercitare la sovranità popolare partecipando alle elezioni (quali che siano le sue scelte), ma poi deve chiedere conto ai suoi “delegati” di ciò che fanno nell’interesse comune, deve far sentire la propria voce, partecipare al dibattito pubblico sulle questioni di fondo, indignarsi per le cose che non vanno, svolgere azioni concrete di volontariato. Questa è la cittadinanza attiva, che alla fine, è il valore più rilevante di ogni altro, non solo perché è il sale della democrazia, ma anche, e soprattutto, perché è la maggior garanzia del rispetto e dell’attuazione di tutti gli altri valori, nel concreto, nella vita pubblica e nella vita quotidiana.
Il distacco, l’indifferenza, non appartengono alla democrazia e non la qualificano; non valorizzano la persona e non ne esaltano la dignità. Dunque l’invito che implicitamente ci rivolge la Carta Costituzionale ad essere cittadini partecipi e consapevoli deve essere raccolto, perché solo nel quadro di una cittadinanza attiva, per tutti, si realizzano concretamente i valori di cui ho detto e si combattono tutti i pericoli a cui sono esposte, sempre, la democrazia e la stessa convivenza civile.
Per concludere sui “valori” della Costituzione è inevitabile confrontarli con quelli sciaguratamente in voga nella fase attuale del nostro Paese, dove imperversa la corruzione, ad ogni livello, dove si scatenano i più biechi razzismi, dove la solidarietà sembra dimenticata, mentre assai spesso è messa in gioco perfino la dignità della persona.
Questo quadro allarmante deve indurci a far emergere più che mai i valori veri, quelli che possono davvero aiutare il Paese a migliorarsi e crescere. Per questo, bisogna conoscere la Costituzione, approfondirne le norme specifiche ed i princìpi, estrarre consapevolmente i valori che essa emana e farli vivere nelle istituzioni, nella politica, nella società, ed anche nei comportamenti quotidiani, convincendosi che anche nei momenti difficili sta nella Costituzione e nei suoi valori, l’unica e vera prospettiva di rinnovamento e di riscatto.
Ma soprattutto bisogna amarla, questa Costituzione: è la base e il fondamento della nostra convivenza civile ed è un documento per ottenere il quale tante donne e tanti uomini hanno sacrificato i propri interessi, la propria famiglia, la propria vita.
Carlo Smuraglia, Presidente dell’ANPI nazionale
Pubblicato venerdì 16 Ottobre 2015
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