Sacrario di Caporetto

Era stata una giornata di mezzo autunno, una di quelle che sembrano riportare l’orologio indietro a “quando c’erano le stagioni”. Promossa e organizzata dall’Ambasciata d’Italia in Slovenia si era svolta, il 21 ottobre 2023, l’annuale commemorazione al Sacrario militare italiano di Caporetto (in sloveno Kobarid). Il Sacrario raccoglie i resti dei Caduti italiani (7.014) nelle battaglie combattute su questo fronte del fiume Isonzo (in sloveno Soča) nel corso della Prima guerra mondiale, nel periodo 1915-1917. Presenti le autorità civili e militari italiane e slovene. I discorsi richiamano l’assurdità della guerra e si svolgono a tratti sotto una pioggia battente e fredda. Numerose le associazioni d’arma rappresentate.

La sezione Anpi di Cividale del Friuli partecipa da sempre a questa cerimonia, con il suo vessillo che rappresenta la pace e i rapporti di fratellanza con il popolo sloveno, rinsaldati dalla comune lotta contro il nazifascismo. Esauriti i discorsi, il programma prevedeva il trasferimento nel cimitero di Caporetto, dove è collocato il monumento che ricorda i Caduti partigiani sloveni nella lotta di Liberazione del 1941-1945, molti di loro uccisi dalle truppe del Regio Esercito italiano e, dopo l’8 settembre 1943, dai nazisti appoggiati dalle formazioni collaborazioniste italiane, tra le quali spicca il “Reggimento alpini Tagliamento”. Costituito dopo l’armistizio attingendo ai residui delle Legioni Camicie Nere 55° e 63°, decimate nella disastrosa Campagna di Russia, questo Reggimento si macchiò, in funzione antipartigiana, d’innumerevoli crimini contro la popolazione civile e onestamente di “alpino” aveva ben poco (1).

Panorama di Caporetto (Kobarid)

In questo territorio, martoriato dalle guerre del secolo scorso, la popolazione residente in età di leva, già nel 1914, fu arruolata nell’Imperiale e Regio esercito austro-ungarico. In gran parte questi soldati furono destinati al fronte della Galizia, a combattere contro l’Esercito Imperiale russo. A pochi chilometri di distanza, le minoranze linguistiche slovene delle Valli del Natisone, del Torre, di Resia furono inquadrate invece nel Regio Esercito italiano.

A seguito della vittoria degli eserciti della Triplice Intesa, ai quali si era aggiunto nel 1915 il Regno d’Italia, nel 1920, con il Trattato di Rapallo, il confine venne ridisegnato, segnando l’espansione della sovranità italiana in un territorio abitato quasi esclusivamente da sloveni e croati. Il servizio militare ora si fa nel Regio Esercito italiano. La crescente politica di snazionalizzazione forzata e di oppressione etnica induce però i comandi militari a non fidarsi di queste popolazioni recalcitranti ad accettare la loro cancellazione come comunità nazionale. Gli “alloglotti” vengono perciò inquadrati in Battaglioni speciali collocati lontano dai fronti delle guerre fasciste, privi d’armamento e in gran parte stanziati in Sardegna. L’istituzione di questi Battaglioni speciali aveva come scopo principale quello di allontanare da queste zone i giovani sloveni e croati, per impedire il loro arruolamento nelle file dell’esercito partigiano (2).

Stralcio di una richiesta del 14° Reggimento Genio al Comune di nascita del tenente Macorigh

Il 6 aprile 1941 il Regno d’Italia, insieme alle altre forze dell’Asse, aveva infatti aggredito il Regno di Jugoslavia, rinfocolando le legittime istanze dei popoli jugoslavi: il movimento resistenziale si fa di conseguenza molto più forte. Alla fine i partigiani dell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia libereranno la loro nazione (o meglio le loro nazioni) e fonderanno la Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia.

Un nuovo confine tra Italia e Jugoslavia venne tracciato e sancito dal Trattato di pace di Parigi nel 1947, questa volta a danno dell’Italia, divenuta, da pochi mesi, Repubblica.

FonteWikipedia

La storia di questo nuovo confine, tralasciando qui le date relative ai vari contenziosi (vedasi in calce), accordi e trattati, è ben descritta nella sua sostanza da Rudolf “Rudi” Šimac (3): “Cercherò di dimostrare il mio pensiero con l’aiuto della storia appena trascorsa. Con le opportune semplificazioni posso affermare che questo confine ha conosciuto due fasi: nel periodo postbellico durante il periodo di chiusura del confine il nostro vicino non suscitava il nostro interesse, appunto perché il confine era più o meno chiuso; la seconda fase, quella odierna, è la fase del confine più aperto d’Europa. Il confine, chiuso o aperto, ha caratterizzato la funzione di questi territori. Quando il confine era chiuso ci trovavamo in tutti i sensi ai margini degli eventi e ciò in conformità alla logica poiché vivevamo alla periferia dei nostri rispettivi paesi e stati. Con l’apertura del confine il nostro è diventato il territorio di collegamento tra due stati, due sistemi economici e rappresenta il corridoio dove hanno luogo tutti gli scambi, sia economici sia altri, tra questi due territori” (4).

Ulteriore fase, logica e successiva, di questi rapporti transfrontalieri, è stata l’abolizione, il 21 dicembre 2007, dei controlli di frontiera tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Slovenia (erede degli accordi e dei valichi di frontiera della Federazione jugoslava).

Ma ritorniamo al 21 ottobre 2023: le commemorazioni sono finite, il pomeriggio sono rientrato verso casa a Cividale del Friuli, da Caporetto sono una ventina di chilometri lungo la valle del fiume Natisone, attraversando il valico confinario di Stupizza. Da oltre 16 anni i controlli confinari non ci sono più e si è consolidata l’abitudine di passare il confine senza alcun tipo di impedimento: si tratta di una strada che si percorre ormai liberamente, con i soli vincoli dei rispettivi codici della strada.

Le nuove generazioni sono cresciute senza l’idea di un confine militarizzato, senza i fastidiosi controlli di un confine tra Stati. Quello che mi aspetta però, appena all’ingresso del territorio italiano, sono una serie di cartelli che intimano l’alt, mezzi di polizia e della guardia di finanza, un tendone montato sul piccolo piazzale del confine, un generatore elettrico che fornisce energia anche a una serie di potenti fari che illuminano la strada… a pochi metri da una grande caserma in stato di abbandono costruita pochi anni prima dell’abolizione dei controlli doganali di confine. Proprio il 21 ottobre 2023 l’accordo di Schengen sulla libera circolazione degli individui all’interno dell’Unione Europea veniva sospeso! Davanti a me c’è già un’autovettura ferma, il conducente è invitato a scendere e ad aprire il bagagliaio. Finalmente tocca a me: mi chiedono i documenti, miei e dell’autovettura, e da dove provengo. Qualche sospetto destano le custodie delle bandiere che ho nel bagagliaio, mai poi va tutto bene: posso proseguire.

Questa circostanza è indice di un notevole salto indietro, che proietta il suo effetto sulla percezione di questo confine, un’operazione che piace alla “destra” storicamente schierata nella posizione di non riconoscere il nuovo confine del 1947 e che ha visto nella istituzione del “Giorno del ricordo” l’occasione di rinfocolare le tensioni tanto care ai neofascisti italiani: come Berlino, Gorizia è divisa in due, qui passa ancora oggi la “cortina di ferro”, il pericolo slavo è ancora presente!

Si traccia il nuovo confine. 1947. Fototeca Girardi su concessione

Il 22 novembre 1989 il segretario del Movimento Sociale Italiano, Gianfranco Fini, insieme a un manipolo di fascisti presi dall’euforia per la caduta del muro di Berlino, si recano al confine di Gorizia, di fronte alla stazione ferroviaria della Transalpina di Nova Gorica, per compiere una storica missione: picconare la recinzione (si trattava di un muretto alto una cinquantina di centimetri sormontato da una rete metallica per complessivi circa 1,70 metri) che delimitava il confine tra i due Stati.

Gianfranco Fini e i picconatori della cortina di ferro

Oggi, a sei mesi dalla sospensione di Schengen, circa 350 uomini (tra esercito e polizia) sono stati inviati da altre località d’Italia per coadiuvare i colleghi già presenti sul territorio, per presidiare, con considerevole costo e con discutibili risultati, i principali valichi di frontiera (24 ore su 24) dall’immigrazione clandestina e dal rischio terrorismo (5).

Un segnale questo, concreto, delle politiche di destra di cui si sta pericolosamente nutrendo l’Unione Europea.

Il valico di Stupizza in provincia di Udine, 17 marzo 2024

Nel 2025, Nova Gorica in Slovenia e Gorizia in Italia saranno insieme Capitale europea della cultura. Capitale transfrontaliera, introiettando tutto il vissuto di questo confine.

Si legge su Nuova Gorizia: “Sviluppare una strategia transfrontaliera innovativa, uno spiccato senso di coesione e uno sforzo comune di comunicazione. Due Paesi, due città e molte persone. GO!2025 (questo è il nome dell’iniziativa) supera le barriere fisiche e culturali tra le nostre società, a dimostrazione che una governance transfrontaliera impatta positivamente sulla crescita delle periferie europee, tasselli irrinunciabili del mosaico dell’Unione” (6).

L’inaugurazione avverrà l’8 febbraio 2025, i confini saranno sicuramente aperti, le menti chissà! Due giorni dopo, il 10 febbraio, la giornata del ricordo.

Si spera che le Istituzioni italiane sappiano cogliere lo spirito dell’iniziativa, che pochi giorni prima avranno sicuramente elogiato, prendendo finalmente in carico le risultanze della Commissione storico culturale italo- slovena relativa ai rapporti italo sloveni 1880-1956, esempio di come bisogna affrontare i rapporti conflittuali tra le diverse nazioni in chiave d’integrazione europea. Una lunga strada con buoni precedenti, ma anche con pericolosi cedimenti sul fronte del nazionalismo e della divisione preconcetta. Suonano infatti come macigni le parole pronunciate a Basovizza nel 2019 dal presidente del Parlamento europeo: “Viva Istria e Dalmazia italiane”.

Valico confinario di Casa Rossa a Gorizia, Pasqua 2024

Scrive Giorgio Valussi: “Il termine confine viene spesso confuso con quello affine, ma non coincidente di frontiera, che deriva dal linguaggio militare. Questo secondo temine non indica un fatto lineare statico, ma piuttosto una fascia dinamica, qual è appunto un fronte militare, che ha sempre una certa profondità ed è soggetto a continui movimenti” (7).

È indubbio che il confine, anche se militarizzato, rappresenta una linea di demarcazione tra due Stati con le loro organizzazioni sociali, politiche, culturali, economiche…

Nel caso specifico del confine orientale d’Italia questo è vissuto dai residenti, da decenni, in maniera molto più allargata rispetto alla precisa linea di demarcazione, in virtù di ragioni storiche, di rapporti sociali, famigliari, economici.

Confine Italia-Slovenia

Inoltre la presenza delle minoranze nazionali, da entrambe le parti, ha ulteriormente favorito e incentivato questi scambi. La grande mobilità determinata dagli accordi italo-jugoslavi, che prevedevano particolari facilitazioni ai cittadini di entrambi i Paesi in una fascia su entrambi i lati del confine, è stata uno straordinario motore d’integrazione, scambio e stemperamento dei conflitti tra due Stati che all’epoca facevano riferimento anche a due sistemi sociali radicalmente diversi. Pur esistendo quindi il confine (con tutte le sue implicazioni), in questo caso ha rappresentato anche un’opportunità per approfittare delle diverse disponibilità di merci e di prezzi offerte dai due sistemi economici. In parallelo ai rapporti di tipo economico si sono sviluppati i rapporti sociali e culturali. Il confine fu unanimemente definito come “il confine più aperto d’Europa”.

Ecco l’analisi di Claudio Sambri: “Quando la popolazione delle regioni di frontiera è mistilingue si presentano motivazioni di natura etnico-culturale a sollecitare un movimento transconfinario che può incidere notevolmente sui processi di integrazione nazionale e sulla configurazione dell’opinione pubblica locale. In ogni caso nelle regioni di frontiera risiedono ingenti forze amministrative e militari, le quali, entrando in comunicazione col tessuto popolare, provocano conseguenze di varia natura, che vanno dall’accentuazione dei contrasti fra correnti nazionalisitiche, localiste ed esterofile, fino alla formazione di schieramenti psico-sociali compattamente orientati in senso difensivo della nazione” (8).

Da questo deriva l’interesse della destra nazionalista, xenofoba e “sovranista” a rinfocolare l’idea di frontiera, a militarizzare il confine anche se all’interno dell’Unione Europea.

La maggiore libertà di movimento, sancita dai vari accordi e trattati, fu “compensata” da parte italiana con l’imposizione di pesantissime servitù militari che insistevano su tutto il territorio regionale del Friuli Venezia Giulia e in particolare proprio nella fascia oggetto degli accordi di transito agevolato.

Uno dei cartelli di divieto che costellavano la zona confinaria del Friuli Venezia Giulia con la Jugoslavia

Il confine quindi è vissuto dalle Istituzioni e dai militari secondo quanto descritto da Buzzati nel “Deserto dei Tartari”: una fortezza che si contrapponeva ai due blocchi (Nato – Patto di Varsavia), nonostante la Jugoslavia fosse un Paese neutrale ma col marchio, indelebile, di socialista.

12 aprile 2024, gli atenei per l’amicizia tra popoli. L’università di Trieste ha conferito la laurea honoris causa in giurisprudenza al Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, e al Presidente Emerito di Slovenia Borut Pahor (Imagoeconomica, Francesco Ammendola)

Scrive ancora Giorgio Valussi: “Ogni Stato si preoccupa di controllare gli scambi che avvengono nei punti di intersezione fra le vie di comunicazione e il confine e di difendere il suo territorio; perciò le fasce di frontiera sono sempre organizzate da un apparato burocratico e militare, che ha proprie sedi e proprie installazioni ed è per lo più costituito da elementi estranei alla regione interessata. Ne risente la composizione sociale che si presenta assai più articolata per la presenza di funzionari statali e delle forze armate. Siccome le esigenze burocratiche e militari sono sempre considerate prioritarie rispetto a quelle dell’economia locale, ne derivano acuti contrasti fra gli interessi locali e quelli generali dello Stato, i quali riescono a condizionare ogni processo di sviluppo civile ed economico delle regioni di frontiera” (9).

La Cortina di ferro. Atlante Le Monde Diplomatique-il Manifesto

In effetti la regione Fvg è stata per decenni una regione sottosviluppata e terra di emigrazione. Lo spopolamento delle Valli del Natisone (passate da oltre 20.000 abitanti a circa 5.000) ne è un chiaro esempio. Ora il territorio regionale è cosparso di aree militari dismesse, polveriere, caserme, bunker che generazioni di militari di leva hanno inutilmente presidiato e che restano come cicatrici nel territorio e problemi di grande rilevanza per le amministrazioni locali.

SCHEDA: TRATTATI E ACCORDI ITALO-JUGOSLAVI-SLOVENI

1947 Trattato di pace di Parigi 10 febbraio 1947
1949 Accordo di Belgrado – Legge 10 marzo 1955, n°121
Accordo di Udine – Legge 5 dicembre 1949, n°1141
Accordo di Roma – Decreto Presidente della Repubblica 11 gennaio 1950, n°179
1954 Memorandum di Londra – 5 ottobre 1954
Accordo di Belgrado – Decreto Presidente della Repubblica 10 gennaio 1966, n°575
1957 Convenzione tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Popolare Federale di Jugoslavia in materia di Assicurazioni Sociali – 14 novembre 1957
1965 Accordo di Roma – Decreto Presidente della Repubblica 10 gennaio 1966, n° 575
1968 Accordo di Roma – DPR 22 maggio 1969, n° 830
1975  Trattato di Osimo
1983 Protocollo esecuzione Accordo di Roma 3 luglio 1965 – DPR 28 febbraio 1985, n° 255
1983 Accordo esecuzione Trattato di Osimo
1988 Ratifica ed esecuzione art. 4 Traatato di Osimo Legge 7 novembre 1988, n° 518
1992  Subentro accordi con Repubblica di Slovenia 9 marzo 2009
2007 Memorandum Bruxelles coop. Italia-Slovenia 14 maggio 2007

Luciano Marcolini Provenza, Anpi Cividale del Friuli,  componente Presidenza Anpi provinciale Udine


NOTA

1) Fabio Verardo – Il Reggimento alpini Tagliamento alla sbarra. I processi per collaborazionismo nel dopoguerra – in Storia Contemporanea in Friuli n°53 – Istituto Friulano per la storia del Movimento di Liberazione – 2023;
2) Dorica Makuc – Sardinci, battaglioni speciali in Sardegna – Coop. Goriška Mohorjeva – 2000;
3) Rudolf “Rudi” Šimac (1935-2016) – È stato Sindaco di Nova Gorica dal 1969 al 1974. Membro del Parlamento jugoslavo ha diretto la Commissione affari esteri e difesa. Dal 1974 al 2002 è stato dirigente di varie e importanti aziende slovene. Dal 2002 al 2006 ha ripreso l’attività politica come Consigliere comunale a Nova Gorica. Dal 2007 al 2012 ha ricoperto la carica di Presidente associazioni delle società culturali slovene;
4) in “Atti e documentazione sul Convegno – L’urbanistica nella Mitteleuropa” Gorizia 14-17 novembre 1970 – Tip. Sociale – Gorizia 1971;
5) Video Rainews;
6) Nuova Gorizia;
7) Giogio Valussi – Il confine nordorientale d’Italia – Ed. Lint Trieste – 1972 pag. 11;
8) Claudio Sambri – Una frontiera aperta. Indagini sui valichi italo-jugoslavi – Forni Editore Bologna – 1970, pag. 27;
9) Giorgio Valussi – Il confine nordorientale d’Italia – Ed. Lint Trieste – 1972, pag. 270.