L’esito elettorale del 4 settembre è stato chiaro. Il popolo cileno ha respinto con il 62% dei voti la proposta della nuova Costituzione redatta nei mesi scorsi dalla Convención constitucional che aveva suscitato l’entusiasmo soprattutto degli analisti esteri. Oggi sembrano lontanissime le immagini delle gioiose manifestazioni oceaniche che nei mesi scorsi sembravano preludere a un cambiamento radicale (se non rivoluzionario) della società cilena.
Invece nella regione di Magallanes, nell’estremo sud, dove vive la famiglia di Gabriel Boric, il Rechazo ha raggiunto il 60%: una sconfitta personale per il giovane presidente di sinistra. Al nord, l’Apruebo non ha raggiunto il 35% e nella regione dell’Araucanía, dove vivono la maggior parte delle comunità Mapuche, il Rechazo è stato vicino al 74%. Nemmeno nella grande Santiago o Valparaíso, aree urbane tradizionalmente più soggette al cambiamento e dove sono stati recentemente eletti diversi sindaci di sinistra (compresi i comunisti), hanno ottenuto una maggioranza a favore della nuova Costituzione: l’Apruebo ha raggiunto la maggioranza solo in 8 dei 346 comuni del Paese.
Visto il risultato elettorale rimane in vigore la Costituzione approvata nel 1980 durante la dittatura militare di Augusto Pinochet. Nel corso degli anni il testo è stato riformato quasi sessanta volte e dal 1989, con la fine della dittatura, il riconoscimento dei diritti fondamentali è leggermente migliorato. Inoltre nel 2005 è stata finalmente eliminata la firma del dittatore e il testo è stato aggiornato per includere questioni di base come il giusto processo o la libertà di espressione. Si tratta, quindi, di un documento di origine non democratica che è stato modificato per adattarlo alle esigenze di una società pienamente democratica. Rimane il fatto che la Costituzione in vigore non è il prodotto di un patto sociale, ne consegue che la prospettiva autoritaria è ancora presente in alcuni dei suoi precetti.
Occorre domandarsi come sia stato possibile che nel giro di pochi mesi il presidente Boric e le forze progressiste abbiano perso quell’appeal che dai dati delle precedenti consultazioni elettorali appariva infrangibile, tanto che nel referendum del 25 ottobre 2020 il 78,2% dei cileni aveva votato a favore della stesura di una nuova Costituzione e nel maggio del 2021 aveva confermato questa scelta affidando alle forze di sinistra e centrosinistra la maggioranza dei membri della Convención constitucional.
Una Costituzione troppo progressista
Il fatto che i settori di destra e quelli più conservatori siano stati messi all’angolo, ha permesso alla Convención di scrivere un testo costituzionale progressista, molto avanzato sotto diversi aspetti: si proponeva di porre fine allo Stato sussidiario neoliberista e costruire uno “Stato sociale e democratico di diritto”, solidale e paritario, riconoscendo molteplici diritti fondamentali, comprese le forme di democrazia partecipativa, con uno spazio reale per i beni comuni e le norme per affrontare la crisi climatica. Con una forte presenza di rivendicazioni femministe – come il riconoscimento del lavoro domestico e di cura –, il testo riconosceva anche l’istituzione di un sistema pubblico di sicurezza sociale, la deprivatizzazione dell’acqua, l’esautoramento del Senato per creare una Camera delle Regioni e la creazione (finalmente) di uno Stato plurinazionale, parte integrante delle istanze storiche del popolo Mapuche, e in generale dei popoli indigeni presenti nel territorio. Anche nel campo del diritto del lavoro si prevedeva la contrattazione collettiva per ramo, il diritto allo sciopero effettivo e alla titolarità sindacale, cioè una svolta copernicana rispetto alle attuali normative cilene, generando malcontento nella grande comunità imprenditoriale locale e transnazionale. La nuova Costituzione, ovviamente, non avrebbe smantellato di per sé il neoliberismo, ma avrebbe potuto avviare una nuova stagione di confronto sociale e di rafforzamento dei diritti in ogni campo.
Come ha osservato lo storico Igor Goicovich, il divorzio tra il mondo popolare, il governo e il processo costituzionale è evidente se si analizzano i risultati del 4 settembre. I numerosi temi introdotti nella Convenzione dai movimenti sociali sul femminismo, l’ambientalismo o la plurinazionalità non hanno causato una maggiore adesione nell’elettorato popolare: “In tutti i comuni che gli ambientalisti chiamavano ‘zone di sacrificio’ l’opzione del Rechazo si è largamente imposta (…). Non molto diverso è stato ciò che è accaduto nei comuni della Regione Bio Bío e La Araucanía, orientati preferibilmente allo sfruttamento forestale, in cui il conflitto tra le compagnie di legname e le comunità indigene ha raggiunto dimensioni sempre più radicali. (…) Osservando il comportamento elettorale dei comuni della regione metropolitana, troviamo una tendenza storica: i comuni con i redditi più alti (Las Condes, Lo Barnechea e Vitacura), votano massicciamente per l’opzione del Rechazo. Anche i comuni che riuniscono preferibilmente i settori medi della popolazione, come La Reina, Providencia, Macul, Peñalolén e La Florida, si uniscono al Rechazo, con l’eccezione dei comuni di Maipú e Ñuñoa. Mentre praticamente tutti i comuni operai, tra cui Recoleta, El Bosque, La Pintana, La Granja, Lo Espejo, Cerro Navia, Renca e Independencia, che sono stati bastioni storici della sinistra, hanno anche optato per il Rechazo”. Un altro aspetto fondamentale sottovalutato dalla compagine dell’Apruebo è stato l’obbligo di voto sanzionatorio (utilizzato per la prima volta nella storia cilena), che ha portato ai seggi 4,5 milioni di elettori in più rispetto alle elezioni presidenziali del dicembre 2021.
Cronaca di una morte annunciata
Il trionfo del Rechazo è inappellabile e colpisce un Governo e un presidente della Repubblica che hanno fatto della difesa del progetto costituzionale la loro bandiera principale. Questa scommessa ha portato il referendum a essere vissuto da molti cileni come un plebiscito sull’operato dell’amministrazione di sinistra. Inoltre, secondo l’ex presidente socialista Ricardo Lagos, alle persone il testo proposto dalla Convención non piaceva perché affrontava una serie di argomenti che non erano nel loro normale ordine delle cose. Infatti, dalle prime analisi del voto effettuate dal Centro de Investigación Periodística (Ciper) stanno emergendo le ragioni che hanno convinto i cileni a respingere la nuova Costituzione: la questione dei diritti dei popoli originari, la gestione dei fondi pensionistici, le critiche al presidente Boric e al suo Governo, la non adeguata preparazione dei membri della Convención, la questione dell’interruzione volontaria di gravidanza, il diritto all’identità di genere, e così via.
La “nuova sinistra” cilena non ha saputo intercettare i malumori provenienti dai diversi ambienti della società e dell’economia e il plebiscito è stato l’occasione per fare i conti con i propri limiti, con l’inesperienza. Nonostante la nuova Costituzione presentasse – come si è accennato – dei punti avanzati di tutele sociali, difesa ambientale, protezione economica, tutto il percorso costituente è stato caratterizzato da un deficit di politica, in quanto il testo costituzionale non è stato il prodotto ultimo di incessanti mediazioni politiche, come invece sarebbe auspicabile per qualsiasi riforma della Carta costituzionale. In altre parole, la tattica ha prevalso sulla strategia.
Certo, non è mancata una battente campagna di fake news a opera delle multinazionali del capitalismo cileno e delle opposizioni di destra incentrata su interpretazioni estreme e scenari ipotetici, come ad esempio che i fondi pensione non sarebbero più appartenuti ai lavoratori, non sarebbe stata garantita la proprietà della propria casa, lo Stato avrebbe interrotto il finanziamento delle scuole private sovvenzionate, e così via. Ma è anche vero che questi metodi di comunicazione politica ormai sono prevedibili e fanno parte delle dinamiche elettorali in ogni parte del mondo.
Nei fatti, la società cilena è pronta e chiede una nuova Carta costituzionale e su questa strada dovrà muoversi adesso il presidente Boric per cercare di sfruttare la sconfitta a suo vantaggio per far approvare un nuovo, avanzato, testo costituzionale (Rechazar para renovar).
Per la cruna dell’ago
Sebbene il presidente avesse già preso in considerazione cambiamenti nel suo governo, l’ampia vittoria del Rechazo ha accelerato il processo. In questa profonda riorganizzazione, Boric ha rinunciato ad alcuni membri del suo zoccolo duro per fare spazio a rappresentanti del centrosinistra tradizionale, rispondendo alle richieste dei settori più moderati della coalizione presidenziale. Le due figure uscenti di maggior peso sono il ministro dell’Interno, Izkia Siches, e il segretario della presidenza, Giorgio Jackson, che condividono con Boric la militanza politica fin dai tempi delle manifestazioni studentesche e fanno parte della cerchia più stretta del capo di Stato. I loro sostituti, rispettivamente Carolina Tohá e Ana Lya Uriarte, sono due leader con una vasta esperienza politica, formatisi all’epoca della transizione democratica del 1989, dopo la fine della dittatura Pinochet.
“Questo è ciò che chiedo a questo nuovo gabinetto. Umiltà per ascoltare e capire, convinzione per difendere con fermezza il processo di cambiamento, che è la ragione profonda per cui siamo qui”, ha esortato Boric.
Ma le tensioni sociali restano. Prima dell’annuncio del cambio di gabinetto, un gruppo di studenti delle scuole superiori si è riunito nell’Alameda, il viale principale di Santiago, per ribadire il proprio sostegno a una nuova Costituzione. Cantando y va a caer la Constitución de Pinochet (“e la Costituzione di Pinochet sta per cadere”), circa un migliaio di studenti si sono mobilitati per il centro di Santiago fino in prossimità del palazzo presidenziale La Moneda, prima di scontrarsi con i Carabineros che hanno soffocato la manifestazione.
La sfida che si presenta alla politica cilena è quella di raggiungere un nuovo accordo che consenta finalmente di realizzare un nuovo testo costituzionale con un ampio e trasversale sostegno popolare. Per questo, le forze politiche farebbero bene a ricordare con quanta rapidità il sostegno e la speranza riposti in un processo possono cadere se tali aspettative vengono tradite. Ancora una volta la storia ha dimostrato che la conquista del potere non è condizione sufficiente per un governo per raggiungere riforme socialmente ed economicamente avanzate, bensì è necessario il più ampio patto politico condiviso tra le forze sociali ed economiche del Paese in grado di sorreggere coraggiose scelte rivoluzionarie.
Andrea Mulas, Fondazione Basso
Pubblicato domenica 11 Settembre 2022
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