Chi ha voluto vigliaccamente imbrattare il monumento alla Resistenza di Ispica, con coscienza o in incoscienza, ha agito violando un simbolo e ha quindi profanato la memoria degli italiani della Liberazione dal nazifascismo. La linea rossa è stata tracciata, con una bomboletta, nel tentativo di cancellare la scritta “alla Resistenza”, incisa alla base del monumento in bronzo realizzato nel 1972 dal famoso scultore Salvo Monica. Il danneggiamento di monumenti, targhe e simboli della Resistenza è un atto di violenza politica. Non è il primo, anzi è l’ennesimo di una lunga serie in Italia, negli anni recenti, da nord a sud.

Una formazione partigiana. La foto è stata scattata al Nord ma furono migliaia i siciliani che operarono nella Resistenza in Alta italia. Erano militari arruolati nell’esercito regolare che all’indomani dell’8 settembre scelsero da che parte stare (Archivio fotografico Anpi nazionale)

Se fosse solo ciò che in molti definiscono superficialmente vandalismo, l’azione di giovani disimpegnati e inconsapevoli di ciò che la Resistenza è stata — del sangue versato da giovani coraggiosi e desiderosi di pace e giustizia — sarebbe l’ulteriore segnale del fallimento delle politiche educative e di conoscenza del Paese. Come è stato possibile recidere così drasticamente, in ottant’anni, il filo della memoria dei fatti che hanno portato alla Liberazione e alla Costituzione? Quante responsabilità ha chi da anni delegittima la portata epica di quegli avvenimenti, riducendola a narrazioni contrapposte? E quante ne ha chi pratica politiche lontane o contrapposte ai valori della Carta costituzionale?

Se invece fosse azione di chi è definito “squilibrato”, è lecito chiedersi se qualcuno può aver suggerito o indotto un atto così razionalmente diretto alla cancellazione di una parola e quindi del suo significato esistenziale e storico? E quali forme di cure e assistenza sono garantite, anche solo per evitare di commettere atti nocivi alla comunità?

Come può poi essere possibile che il danneggiamento di un’opera d’arte patrimonio della comunità ispicese possa essere passato inosservato, nonostante fosse sotto gli occhi di decine di persone? Come possa non aver suscitato l’indignazione più profonda, non essere denunciato per parecchie ore, fino a quando la notizia è stata pubblicata sui social a metà giornata? Come si può rimanere insensibili davanti alla violazione del bene comune?

Se le indagini delle autorità dovessero accertare invece la responsabilità di soggetti che rinnegano la Costituzione e che oltraggiano la Resistenza, che inneggiano al fascismo e al nazismo — e hanno nostalgia di regimi liberticidi al punto da volerli ripristinare in forme nuove — avremmo assistito alla loro ennesima e non necessaria manifestazione. Sarebbe quindi l’esplicita dimostrazione della presenza di militanti e organizzazioni sul territorio, che minano il nostro vivere democratico e attentano alla nostra società, che non può essere tollerata. Che le istituzioni devono perseguire, in tutte le sue forme: dalla mano oscura che ha imbrattato il monumento alla Resistenza ai mandanti politici o ideologici che propagandano quotidianamente la revisione della Storia e la riabilitazione del fascismo, per ridisegnare la memoria collettiva e instaurare politiche autoritarie.

Che la comunità ispicese e ragusana reagisca coraggiosamente e collettivamente alla vile azione, che le istituzioni comunali si impegnino a ripristinare immediatamente il decoro e il valore dell’opera e a tutelare i simboli del più importante patrimonio comune del Paese, ovvero la Resistenza, la Liberazione e la Costituzione.

Presidenza Anpi provinciale Ragusa, presidenza Anpi Ispica