Il 3 luglio saranno trascorsi cinque mesi da quando il corpo di Giulio Regeni venne ritrovato sull’autostrada Cairo-Alessandria con orribili segni di tortura.
Segni che a noi di Amnesty International e alle organizzazioni per i diritti umani egiziane risultano familiari, avendoli visti, o avendone avuto i resoconti diretti delle vittime, riguardo a migliaia di persone torturate in Egitto dalla “rivoluzione del 25 gennaio” 2011 a oggi.
Questo non deve portarci a concludere che i responsabili della quadruplice violazione dei diritti umani subita dal ricercatore italiano (un arresto arbitrario, una sparizione forzata, la tortura, l’omicidio) abbiano già un nome e un cognome.
La campagna “Verità per Giulio Regeni” è nata con questo obiettivo: spingere le autorità egiziane a dire, chiaramente, cosa è accaduto a Giulio e chi sono i responsabili.
Un’impresa difficile, data la tradizione di coperture, insabbiamenti, mancate indagini e impunità che caratterizzano l’azione giudiziaria e politica delle autorità cairote.
E infatti, una costante è finora emersa dalle ricostruzioni sin qui fornite dalle autorità del Cairo: il tentativo di esonerarsi da ogni responsabilità (un atto contro le buone relazioni tra Italia ed Egitto, un incidente stradale, una festa terminata male, una rissa per motivi personali fino alla banda di criminali xenofobi), col corredo di offese e dileggio nei confronti di Giulio.
L’omicidio di Giulio va inquadrato – almeno questo è evidente – lì dove deve stare: nel contesto di negazione sistematica dei diritti umani in Egitto. Altro che caso isolato, altro che vicenda di cronaca nera…
I dati forniti dal Centro El Nadeem per la riabilitazione delle vittime della violenza e della tortura, una delle più autorevoli organizzazioni egiziane per i diritti umani, attiva dal 1993 e di cui il ministero della Salute ha ordinato recentemente e non casualmente la chiusura, lo confermano.
Secondo El Nadeem, nel 2015 vi sono stati 464 casi di sparizione forzata e 1.176 casi di tortura, quasi 500 dei quali con esito mortale. Quest’anno in un solo mese, quello di febbraio, i casi di tortura sono stati 88, otto dei quali con esito mortale.
Le circostanze e la data della scomparsa (il quinto anniversario della “rivoluzione del 25 gennaio” 2011, coi precedenti segnati da militarizzazione e repressione), i metodi di tortura cui è stato sottoposto (gli stessi usati così spesso dagli apparati di sicurezza), l’indisponibilità a collaborare nella ricerca della verità, l’assegnazione iniziale delle indagini a un funzionario di polizia condannato nel 2003 per un caso di tortura mortale e in seguito accusato di aver torturato, incriminato per false accuse e ucciso manifestanti nel 2011, l’analogo destino cui sono andati incontro due attivisti egiziani scomparsi negli stessi giorni di gennaio: tutto questo ci dice che vi è la possibilità concreta che le forze di sicurezza egiziane siano responsabili dell’omicidio di Giulio Regeni.
“Io so”, scriveva Pasolini il 14 novembre 1974 a proposito di drammatiche vicende italiane. “Noi sappiamo”, in milioni ormai, in Italia e in Egitto.
Ma non basta che noi sappiamo. Lo deve dire, quello che noi sappiamo riferendoci la verità, il governo del Cairo.
Quello che le autorità egiziane vorranno o non vorranno dire all’Italia dipenderà naturalmente da quanto resteranno determinate e nette le richieste e le posizioni del governo di Roma. Il quale necessariamente diventa il secondo interlocutore cui quella richiesta, “Verità per Giulio Regeni” continua a essere rivolta.
Siamo, infatti, di fronte a una situazione di stallo. Alla decisione del ministro degli Esteri di richiamare provvisoriamente l’ambasciatore al Cairo non sono seguiti quei “provvedimenti progressivi” pure annunciati dalla Farnesina. Al contrario, con una fretta del tutto non necessaria, è stato reso noto il nome del nuovo capo della diplomazia italiana in Egitto: un gesto che al Cairo è stato visto come segnale di una volontà di normalizzazione.
E, forse, quella normalizzazione da parte italiana è davvero desiderabile almeno nel lungo periodo.
Già suona strano il fatto che la posizione del governo italiano sia appiattita dietro quelle della Procura di Roma: che sta facendo, insieme agli avvocati italiani ed egiziani della famiglia Regeni, un lavoro straordinario, ma che evidentemente non ha il compito di dettare la linea politica al governo. Una linea che invece il governo dovrebbe assumere, con piena responsabilità, nella consapevolezza che proprio una posizione più netta nei confronti dell’Egitto potrebbe favorire passi avanti nelle indagini.
Passi avanti che, al di là della collaborazione ufficiale da parte delle autorità giudiziarie egiziane, non vediamo ancora.
Nel frattempo, al Cairo, il numero delle persone che si occupano di diritti umani ancora a piede libero diminuisce sempre di più: due consulenti della famiglia Regeni in carcere, un altro storico avvocato per i diritti umani a sua volta in detenzione preventiva, organizzazioni non governative costrette a chiudere o a rischio di chiusura.
Il caso di Giulio Regeni ha costretto il mondo a fare i conti con una realtà, quella delle violazioni dei diritti umani in Egitto, conosciuta ma volutamente ignorata: perché rinunciare a fare affari o a vendere armi quando, in fondo, i morti erano “loro”?
Quello che milioni di egiziani sanno è che dall’esito delle indagini sull’assassinio mediante tortura di Giulio, da quella verità se arriverà o meno, potrà dipendere anche il futuro dei diritti umani in Egitto. Lasciare che perduri l’impunità o lottare perché sia sconfitta è una responsabilità anche italiana. Soprattutto italiana.
Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia
Pubblicato venerdì 17 Giugno 2016
Stampato il 21/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/caso-regeni-lo-stallo-e-la-responsabilita-italiana/