Costituzione della Repubblica italiana, articolo 2 “La Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Considerato “la chiave di volta dell’intero sistema costituzionale” (Crisafulli), l’art.2 – insieme all’art. 1 (principio democratico) e all’art. 3 (principio di eguaglianza) – definisce le linee dell’ordinamento repubblicano, ponendo tre fondamentali principi: centralità della persona, pluralismo, solidarietà.
Il riconoscimento dei diritti “inviolabili” dell’uomo è il rovesciamento della prospettiva dei regimi autoritari nei quali al centro del sistema è lo Stato, valore primario di fronte al quale i diritti non hanno tutela. L’art.2 segna anche il passaggio dalle Costituzioni liberali alle Costituzioni del secondo dopoguerra, aperte al sociale. I diritti dell’uomo da inserire in Costituzione – chiarisce La Pira in Assemblea Costituente – sono certamente “quelli indicati nella Dichiarazione del 1789”, ma non solo: vi sono anche i “diritti sociali e delle comunità attraverso le quali la persona si integra e si espande”. È una visione nuova, che arricchisce la precedente e pone le basi di una società nella quale la “persona” è considerata nella realtà concreta in cui vive, una realtà che mostra differenze profonde di condizioni di vita e solo teoricamente tutti sono eguali. Su queste premesse si arriverà alla norma successiva, l’art. 3 che al comma 2 impone alla Repubblica di colmare le differenze.
Accanto ai diritti si parla di “solidarietà politica, economica, sociale”, un principio nuovo che riempie di senso la proclamazione dei diritti. Fin dall’inizio i Costituenti hanno sottolineato il legame fra diritti e solidarietà. Già nella Prima Sottocommissione il testo dei relatori La Pira e Basso indica il duplice fine del riconoscimento dei diritti “inalienabili e sacri”: «assicurare l’autonomia e la dignità della persona» e «promuovere ad un tempo la necessaria solidarietà sociale». La Corte costituzionale ha chiarito bene quel legame (sent. 75/1992) ribadendo che la solidarietà è un principio posto dalla Costituzione «tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, tanto da essere solennemente riconosciuto e garantito, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, dall’art. 2 della Carta costituzionale come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente» e fissando in modo sicuro il valore vincolante del principio dell’art. 2. La convivenza sociale deve essere costruita sulla base del principio di “solidarietà”, perché la Costituzione «pone come fine ultimo dell’organizzazione sociale lo sviluppo di ogni singola persona umana» (sentenza n.167/1999).
La “persona” è stata sin dall’inizio il riferimento essenziale per le forze che lavoravano insieme per costruire un sistema nuovo. Dopo l’esperienza del fascismo era unanime l’accordo sull’anteriorità della persona rispetto allo Stato e sulla necessità di rendere i diritti davvero “inviolabili”, sottratti all’arbitrio del legislatore e immodificabili persino mediante il procedimento di revisione costituzionale (art.138). Gruppi diversi per formazione politica e cultura trovarono un punto d’incontro nel valore della persona, patrimonio della tradizione cristiana e della cultura laica, al di là della divergenza sui presupposti – il riferimento alla divinità, alla “radice spirituale e religiosa dell’uomo” (La Pira); o il riferimento alla ragione, alla tradizione di pensiero espressa nella “Dichiarazione” della Francia rivoluzionaria (1789). L’affermazione di Togliatti che il fine di un regime democratico è “garantire un più ampio e più libero sviluppo della persona umana” trovò ampio consenso.
La prospettiva del liberalismo è arricchita: non basta garantire le sole libertà tradizionali; si tratta di assicurare a tutti condizioni minime di vita e di sviluppo per “ricostituire quel minimo di omogeneità della società sottostante allo Stato, cui è legata la vita di ogni regime democratico” (Mortati). Il tessuto sociale in cui la persona si colloca è in primo piano; il richiamo dell’art. 2 alle “formazioni sociali”, espressione del pluralismo che la Costituzione disegna, non solo registra la situazione dell’esistenza reale dove nessuno vive isolato ma è necessariamente inserito nella famiglia, in enti e associazioni di vario tipo, ma garantisce anche i diritti alla persona all’interno stesso delle formazioni sociali che non possono limitarli o sacrificarli.
La centralità della persona conduce al ripristino dello Stato di diritto e del suo principio base – la garanzia dei diritti e delle libertà – insieme a tutti i principi indispensabili a realizzarlo: separazione dei “poteri” contro la concentrazione autoritaria, legalità, subordinazione dell’amministrazione alla “legge”, possibilità per i cittadini di ricorrere in giudizio contro gli atti dei pubblici poteri. Dopo l’esperienza fascista che aveva travolto diritti e principi dello Statuto albertino (1848), era chiaro a tutti che la tutela della persona e delle sue libertà richiedeva garanzie solide, non soltanto “proclamazioni”. Innanzitutto una Costituzione “rigida”, modificabile con un procedimento aggravato (art. 138 Cost.) che include le minoranze, per impedire alla maggioranza di disporre da sola della Costituzione. Una garanzia che per essere effettiva richiede un organo in grado di controllare le leggi e dichiararle illegittime se contrarie ai principi: la Corte costituzionale.
Nemmeno i rimedi giuridici, da soli, sono sufficienti: i diritti non sono davvero effettivi se mancano le condizioni di fatto che ne rendano possibile l’esercizio. Assicurare a tutti le condizioni necessarie per vivere era l’intento fermo dei Costituenti che lo fissarono in primo luogo nei due commi dell’art. 38, assicurando il diritto all’assistenza e alla previdenza in modo da coprire tutte le persone e in varie norme su gli altri diritti sociali. Nessuno deve essere lasciato solo: ma è un orizzonte ormai lontano dalla nostra quotidianità. La stessa dignità della persona è gravemente offesa, nel lavoro su cui la Repubblica è – dovrebbe essere – “fondata” (art. 1 Costituzione), nella scuola dov’è offesa la dignità degli insegnanti e degli studenti; ed è soprattutto offesa la dignità di tutti coloro che vivono senza tutela sotto la soglia di povertà. Eppure si tratta di norme costituzionali vincolanti e la loro violazione comporta l’incostituzionalità delle leggi che le violano. L’unico rimedio è rivendicare i diritti davanti a un giudice affinché possa portare la questione alla Corte costituzionale!
L’art. 2 della Costituzione oltre a garantire i diritti impone anche doveri: la “persona” è collocata in un tessuto sociale, in relazione ad altre “persone”. Ai diritti corrispondono “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, il primo è nell’art. 53: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Le entrate pubbliche costituiscono il mezzo indispensabile per l’esplicazione delle attività dello Stato, senza risorse le istituzioni non fanno fronte ai bisogni. L’evasore fiscale sottrae risorse alla collettività, sfrutta i servizi e le prestazioni pubbliche senza contribuire alle spese: non danneggia lo Stato, un ente estraneo e lontano, danneggia tutti noi. Ma anche qui la realtà è lontana!
Va infine sottolineato che i diritti inviolabili sono costituzionalmente tutelati non solo nei confronti delle istituzioni pubbliche, ma anche nei confronti del potere privato, nei confronti di altri “privati” che, di fatto, si trovino in una posizione dominante che consenta loro di comprimere o condizionare i diritti di persone “deboli” in posizione di soggezione. È importante ricordarlo.
Lorenza Carlassare, professore emerito di Diritto costituzionale nell’Università di Padova
Pubblicato giovedì 2 Febbraio 2017
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