Per inquadrare il personaggio e il suo pensiero, partiamo da un breve accenno alla sua biografia politica. Alfredo Rocco, già vicino al Partito Radicale Italiano, diventa nazionalista nel 1913, mentre è professore a Padova. Organizza il circolo nazionalista e pubblica nel gennaio 1914 l’opuscolo “Che cosa è il nazionalismo e che cosa vogliono i nazionalisti”, dove presenta il programma del movimento, caratterizzato da forti toni imperialistici e antidemocratici. Nel 1914-15 Rocco è un acceso interventista e durante la guerra è ufficiale del “Servizio P” (propaganda) e uno dei redattori del giornale di trincea “L’Astico”. Nel 1921 è eletto alla Camera dei deputati del Regno d’Italia. Prima della marcia su Roma propone la fusione dell’Associazione Nazionalista Italiana con il Partito Nazionale Fascista, poi siglata nel 1923. Dopo la formazione del governo Mussolini fu più volte sottosegretario dal novembre 1922 al 1924, e il 24 maggio 1924 è eletto Presidente della Camera dei deputati. Dal 1925 al 1932 fu ministro di Grazia e giustizia e affari di culto e promosse la codificazione penale del fascismo, firmando il codice penale e quello di procedura penale del 1930. Si può considerare il teorico dello Stato fascista.
Le riforme costituzionali
La riforma costituzionale dello Stato italiano inizia con la legge 24 dicembre 1925, n. 2263, sulle attribuzioni e le prerogative del Capo del Governo, Primo Ministro e Segretario di Stato; prosegue con la legge 31 gennaio 1926, n. 100, sulla facoltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche e poi ancora con la legge 3 aprile 1926, n. 563, sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi del lavoro, integrata dalle relative Norme di attuazione approvate con regio Decreto 1° luglio 1926, n. 1130, e da quel documento, che non è proprio legislativo, ma che ha altissimo valore politico, cioè la Carta del lavoro del 21 aprile 1927, e si chiude, infine, con la legge 2 settembre 1928, n. 1993, sulla rappresentanza politica e con la legge 9 dicembre 1928, n. 2693, sull’ordinamento del Gran Consiglio. Le prime due leggi segnano la preminenza e il rafforzamento del potere esecutivo, definiti da Rocco “l’espressione più genuina dello Stato, l’organo essenziale e supremo della sua azione”.
Contro il dogma della sovranità popolare
Alfredo Rocco ritiene che “le masse di per se stesse non sono capaci di formare spontaneamente una propria volontà, meno che mai di procedere spontaneamente ad una scelta di uomini”. Non esiste quindi un’astratta volontà delle masse, ma è necessaria una buona scelta degli spiriti dirigenti, ritenendo sbagliato rimetterla completamente nelle mani del corpo elettorale perché significa “abbandonarla nelle mani di pochi intriganti, autodelegatisi a guide e maestri spirituali delle masse”. Per queste ragioni Alfredo Rocco afferma senza mezzi termini che “il fascismo nega il dogma della sovranità popolare” e giunge alla conclusione che “per il contenuto come per la forma esteriore, lo Stato fascista è proprio l’opposto dello Stato liberale democratico, che aveva condotto la Nazione italiana fino all’orlo dell’abisso” . Il fascismo invece poteva creare “uno Stato di autorità veramente sovrano, che domini tutte le forze esistenti nel Paese e che, al tempo stesso, sia in continuo contatto delle masse, guidandone i sentimenti, educandole e curandone gli interessi” .
I fini superiori dello Stato
Rocco ritiene lo Stato liberale responsabile di aver fatto scivolare “la società in un periodo di anarchia, nel quale lo Stato era divenuto l’ombra di sé stesso e dovette assistere impassibile allo scatenarsi delle lotte civili, impotente a frenarle e a dominarle”, perché incapace, spiritualmente e materialmente e di creare uno Stato forte e unito. L’errore della dottrina liberale è, secondo Rocco, di considerare “l’individuo come fine ultimo della società e questa quale semplice somma degli individui, senza scopi suoi propri e diversi da quelli degli individui che la compongono”. Rocco ribadisce che la società ha scopi suoi propri e immanenti di conservazione, espansione e perfezionamento che sono distinti dagli scopi degli individui meri strumenti di cui la società si serve per il raggiungimento di questi suoi fini. Il fascismo ha sostituito al disordine la preminenza della società sull’individuo, in quanto lo Stato è un organismo distinto dai cittadini, ha una sua propria vita e suoi propri fini superiori, ai quali i singoli devono essere subordinati. Lo Stato fascista è dunque lo Stato che realizza “al massimo della potenza e della coesione l’organizzazione giuridica della società”. Per realizzare questi fini suoi superiori, lo Stato deve essere totalitario e veramente sovrano, dominare tutte le forze esistenti nel Paese, coordinarle, inquadrarle, indirizzarle tutte ai fini superiori della vita nazionale.
Critica del regime parlamentare
Secondo Rocco il vero problema della decadenza dello Stato sono i poteri della Camera elettiva a danno dell’Esecutivo. A questo proposito fa presente che nello Statuto albertino l’esercizio della sovranità spettava sempre al potere esecutivo e cioè al Re suo Capo Supremo e che al Parlamento era riservata una “funzione secondaria di collaborazione e di controllo”. Di conseguenza, tutta la legislazione fascista ha avuto come scopo di ricostruire l’unità del potere statuale nella figura del Capo del Governo, perché “chi dirige il Governo deve essere uno solo, non il Consiglio dei Ministri, il quale rimane un mero organo consultivo”.
Liberare l’esecutivo
Rocco rimpiange l’età dell’oro in cui il suffragio era ristretto per censo e lo Stato era governato da alcune minoranze borghesi e intellettuali (il suffragio universale maschile era stato introdotto da Giolitti nel 1912). Con nostalgia ricorda che queste minoranze, che votavano e governavano, costituivano, in sostanza, le sole forze efficienti del Paese e le masse, che definisce “prive di coscienza politica”, erano escluse dalla dialettica politica. Questo mondo ideale governato da èlite fu sconvolto dal suffragio universale, quando le masse chiesero di essere protagoniste nella vita dello Stato. Per Rocco è inconcepibile riconoscere il diritto di voto a coloro che lavorano e producono la ricchezza goduta da pochi e che hanno sofferto nelle trincee per guerre decise da altri. Come dire il destino delle masse è la condanna eterna a lavorare nei campi e nelle fabbriche per far prosperare le classi dominanti e morire in guerra, mai di avere un ruolo nello Stato. Un ragionamento che trova il suo fondamento nel presupposto evidente che gli uomini non sono tutti uguali tanto meno le meno le donne emarginate a priori per il loro sesso.
Nel mondo ipotizzato da Rocco l’umanità è composta da un’élite che ha piena capacità giuridica, potere e i privilegi e dagli altri, quelli che non sono persone. Con evidente disprezzo definisce le Camere elette a suffragio universale una “rappresentanza puramente numerica di elettori portatori di interessi egoistici”. Rocco giunge quindi alla conclusione che è necessario liberare il governo dalla dipendenza da questi gruppi di interessi e quindi dal Parlamento e riconoscere una posizione preminente del potere esecutivo sul Parlamento.
Tutto il potere al Governo
Rocco critica ferocemente i limiti posti all’azione del potere esecutivo negli anni anteriori all’avvento del fascismo e ritiene necessario consentire al governo l’esercizio della sua attività in tutta la società. Su questi presupposti nasce la legge che attribuisce al potere esecutivo la facoltà di emanare norme giuridiche e di esercitare il potere legislativo, anche nel campo normalmente riservato al Parlamento. In tal modo, Rocco riconosce al “Governo il suo carattere di organo, non solo preminente, ma anche permanente dello Stato per assicurare la continuità della vita dello Stato, nei momenti più gravi della vita nazionale”.
Il dogma della sovranità dello Stato
Con lucida chiarezza Rocco dichiara: “la dottrina fascista oppone al dogma della sovranità popolare il dogma della sovranità dello Stato, in quanto organizzazione giuridica della Nazione e strumento delle sue storiche necessità”. Rocco spiega che la “Camera elettiva nel Regime fascista non è più la Camera dei regimi liberali democratici, espressione di una inesistente volontà della massa amorfa e indifferenziata, ma è la Camera uscita dal suffragio organizzato, vicina all’anima del popolo, strumento attivo e consapevole delle fortune della Nazione”.
Su queste basi Rocco costruisce la riforma costituzionale che svuota di significato politico i tradizionali organi fondamentali del vecchio stato liberale e crea nuovi organi nel presupposto ideologico che “lo Stato fascista non è uno Stato democratico”, perché “non dà al popolo la sovranità”. Un’affermazione fondamentale che stigmatizza l’alterità insanabile tra popolo e Stato fascista, che si impone al popolo in modo autoritario e totalitario e non richiede per la propria legittimità né consenso, né partecipazione.
Tra i nuovi organi in primis il Gran Consiglio del Fascismo che rappresenta, per effetto della legge 9 dicembre 1928, n. 2693, uno degli organi fondamentali dello Stato. Presieduto dal Capo del Governo, composto dagli esponenti delle principali organizzazioni del regime ha una posizione eminente, ben distinta da quella del Governo e del Parlamento. Rocco spiega che si tratta di un organo squisitamente politico, che collabora col Governo nelle questioni costituzionali e politiche Al Parlamento riconosce una mera funzione consultiva, facoltativa e senza rilievo giuridico. Una nuova istituzione è altresì il Partito fascista, il cui Statuto è approvato con Decreto Reale e il Segretario è egualmente nominato con Decreto Reale, su proposta del Capo del Governo; fa parte di diritto del Gran Consiglio, del quale è segretario, della Commissione Suprema di Difesa, del Consiglio Superiore dell’Educazione Nazionale, del Consiglio Nazionale delle Corporazioni e del Comitato Centrale corporativo. I membri del Direttorio Nazionale e i segretari federali del Partito sono nominati con decreto del Capo del Governo. Rocco non ha perplessità nell’affermare che “nello Stato fascista non vi è posto per i partiti politici del vecchio stampo” e nel ribadire “il carattere totalitario dello Stato fascista, che si presenta come integrale organizzazione di tutte le forze esistenti nel Paese”.
Tutte queste riforme, spiega ancora Rocco, hanno avuto lo scopo di eliminare la lotta di classe, riportare l’ordine nella società e permettere all’economica di camminare “senza le irrequietezze malsane e da lotte continue fra le classi sociali”, perché il “lavoro operoso, nei campi e nelle officine non è turbato dagli antichi contrasti tra capitale e lavoro”. Segue l’elenco di altre istituzioni: il Consiglio Nazionale delle Corporazioni. che ha lo scopo di unire tutte le attività produttive della Nazione. la Milizia, l’organizzazione militare del popolo, l’Opera Nazionale Balilla, l’organizzazione ricreativa, il dopo-lavoro; l’organizzazione sportiva, le organizzazioni femminili, le organizzazioni assistenziali.
Questo progetto che Rocco afferma orgogliosamente realizza appieno la formula di Mussolini: “Nulla fuori dello Stato, nulla contro lo Stato” e su questo non possiamo che dargli ragione: lo Stato totalitario è Stato realizzato, la timida democrazia liberale è stata spazzata via. Si apre così il periodo più buio e ridicolo della nostra storia fatto di enormi tragedie, sangue e di un impero di cartapesta.
Vinicio Ceccarini
Bibliografia
Pubblicato lunedì 16 Dicembre 2024
Stampato il 16/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/alfredo-rocco-giurista-architetto-dello-stato-fascista/