Promulgata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge ordinaria Calderoli, approvata il 17.6.2024 a maggioranza dal Parlamento italiano, si avvia la fase concreta della realizzazione della cosiddetta Autonomia differenziata
Vedremo, già nelle prossime settimane, quante saranno le Regioni a statuto ordinario che si aggiungeranno alle istanze di devoluzione di competenze già avanzate dalla Regione Veneto (sono 23 le materie richieste), dalla Regione Lombardia (20 materie richieste allo Stato per essere devolute), dalla Regione Emilia-Romagna (16 richieste fra cui la materia relativo al sistema di istruzione e formazione professionale “di competenza regionale” secondo l’art. 116 terzo comma e l’art.117 della Costituzione).
La riforma del Titolo quinto della Carta costituzionale nel 2001, votata a maggioranza dal centrosinistra e legittimata dal referendum costituzionale dell’ottobre dello stesso anno, ha introdotto nel nostro ordinamento la possibilità di conferire alle Regioni ordinarie ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell’art. 116 terzo comma e 117 della Costituzione.
Tale modifica, sostenuta allora anche dalle forze progressiste per cercare di contenere l’espansione federalista del leghismo (ricorderete le macroregioni descritte da Gianfranco Miglio che per quanto riguarda il Nord del Paese arrivavano fino alle Marche per ragioni unicamente legate al prodotto interno regionale), nella sua concreta attuazione con la legge Calderoli rischia non solo di aumentare ulteriormente le disuguaglianze fra le Regioni ricche e quelle povere del nostro Paese, ma di violare i principi costituzionali di solidarietà della Repubblica di cui all’art. 2 Cost. di uguaglianza delle prestazioni sociali fornite ai cittadini/e (art. 3), di unità della repubblica (art. 5) e di perequazione economica anche fra territori (art. 119 quarto comma della Cost.). Si pensi per esempio alle norme generali sull’istruzione che la stessa Carta attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato, al tema dell’organizzazione sanitaria e dell’ambiente, della tutela e della sicurezza del lavoro, delle infrastrutture o grandi reti di trasporto e di navigazione, oppure ancora alla distribuzione nazionale dell’energia, alle altre materie di competenza regionale concorrente, cancella l’interesse nazionale come limite generale nel riparto delle competenze.
Per usare le parole di Giuseppe Dossetti, cattolico democratico e regionalista convinto durante i lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, (pag. 39 Tra Eremo e passione civile. Conversazioni, In Dialogo edizioni), “la comunità è fratturata sotto un martello che la sbriciola in componenti sempre più piccole (di qui la fatale progressione localistica) sino alla riduzione al singolo individuo”.
È appunto il singolo ciò su cui aveva costruito tutta la sua dottrina l’ideologo della Lega Gianfranco Miglio: «i diritti sono degli individui, il diritto è solo individuale» (Disobbedienza civile, Mondadori, Milano 1993, p. 24). «E perciò rispetto agli altri non vi possono che essere contratti, in funzione dei rispettivi interessi e del reciproco scambio… Noi stiamo entrando in un’età caratterizzata dal primato del contratto e dall’eclissi del patto di fedeltà… Un’età, dunque, in cui gli ordinamenti federali sono sistemi in cui si tratta e si negozia senza soste» (G.F. Miglio, “Il negoziato permanente”, in MicroMega, 1/94, pagg. 14-15).
La legge Calderoli individua il percorso di trasferimento dallo Stato alle Regioni delle funzioni amministrative e, in una fase successiva delle risorse economiche, nonché la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, Lep, concernenti i diritti civili e sociali che dovrebbero essere garantiti in modo “uniforme”, dice la Corte Costituzionale, su tutto il territorio nazionale (dal fabbisogno standard di un asilo nido ogni 10.000 abitanti, al costo fisso e omogeneo della siringa). La filosofia che la ispira è molto semplice: tramite il residuo fiscale (differenza fra quanto trasferito allo Stato e quanto restituito alla singola Regione), la ricchezza deve restare nei territori dove essa viene prodotta, quantomeno, nei termini dei principali servizi pubblici resi alla collettività.
Il sistema regionale differenziato in tema di organizzazione sanitaria ha dimostrato, nel periodo di emergenza Covid, il suo fallimento: la vergogna della migrazione sanitaria da Regione a Regione per ottenere cure adeguate ne è una testimonianza evidente. Durante il Covid e di fronte a una pandemia che ha riguardato tutto il pianeta, abbiamo assistito anche al tentativo che una singola Regione cercasse di acquistare, per sé stessa, vaccini non autorizzati, come accaduto con il russo Sputnik.
Insomma, venti sistemi sanitari differenti e diversificati.
Oppure pensiamo alla materia della scuola, destinataria potenziale delle richieste regionali di autonomia differenziata: la missione della scuola è consentire a tutti i bambini e poi ai ragazzi di scoprire quale è la magia che hanno dentro sé stessi, limitando se non annullando i divari sociali di partenza. Una scuola così è per definizione nazionale, anzi, potenzialmente europea.
Regionalizzare e portare tutte le Regioni al medesimo costo standard, significa regionalizzare i concorsi (magari fondati sul requisito della residenza anagrafica da più di cinque anni presso la Regione interessata), i programmi scolastici, le risorse economiche sottratte alla contrattazione collettiva con trasferimenti inevitabili da Sud a Nord. Si pensi, per esempio, ai candidati meridionali che vincono un concorso e vanno insegnare al Nord, con retribuzioni basse, e che poi acquisiscono punteggio e ottengono negli anni il rientro, a stipendi lordi sensibilmente più elevati.
E ancora: si pensi, per esempio, alla realizzazione delle infrastrutture necessarie riguardanti lo sviluppo dei trasporti interamente regionalizzati, Ponte dello Stretto o altri interventi infrastrutturali strategici riguardanti la rete stradale.
Che dire, poi, in situazione di crisi energetica determinata da questa schifosa guerra nel cuore dell’Europa, di una distribuzione nazionale e interregionale dell’energia che dovrebbe essere riportata, comunque e diversamente da quanto oggi previsto, alla competenza esclusiva dello Stato.
E infine: conviene al sistema delle imprese e, dunque, in un contesto economico internazionale di competizione globale, un sistema normativo frammentato e parcellizzato per ventitré (23) materie e così concepito?
La risposta di buon senso non può che essere negativa.
Che fare, dunque?
Sicuramente praticabile è la strada del referendum abrogativo della legge ordinaria approvata, auspicabilmente, con uno o più quesiti che sfuggano alla possibile scure del giudizio di ammissibilità della Corte Costituzionale con riferimento alla esclusione delle leggi di bilancio dalle materie soggette a referendum. Anche con più quesiti, come richiesto dalla giurisprudenza del Giudice delle leggi, di abrogazione totale e parziale della legge Calderoli sull’autonomia differenziata.
La raccolta di 500.000 firme valide entro il 30/9/2024 o la promozione del quesito da parte di cinque Consigli Regionali, ai sensi dell’art. 75, possono partire fin da ora. Le due vie, quella delle cinque Regioni e quella delle 500.000 firme (anche tramite spid e in via digitale) non sono alternative e anzi possono essere complementari.
Le Regioni possono, infine, promuovere, ai sensi dell’art. 127, questioni di legittimità costituzionale, in via incidentale e avanti al Giudice delle leggi, entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge ordinaria se ritengano che un atto avente valore di legge dello Stato o di un’altra Regione leda la loro sfera di competenza.
Questo è solo il diritto costituzionale, però.
Per vincere la battaglia politico culturale sui valori e i principi costituzionali, occorre far capire alla maggioranza dei cittadini e cittadine di questo Paese che queste controriforme (aggiungo oltre alla legge sull’autonomia differenziata anche quella legge di revisione costituzionale sul premierato di prossima approvazione, e in prospettiva anche quella preparata sulla separazione delle carriere requirenti e giudicanti dei magistrati) parlano direttamente alla vita delle persone, oltre che ai principi della rappresentanza, dell’eguaglianza, dell’unità, della separazione dei poteri e del pluralismo. Per far questo si sta mobilitando un campo aperto alle forze politiche progressiste, alle forze sociali, associative come l’Anpi (che è parte del Comitato promotore e il 25 luglio in tutta Italia raccoglierà le firme anche durante le Pastasciutte antifasciste) e sindacali che possano farsi carico, anche sotto il profilo organizzativo, di una lunga battaglia di principio, di civiltà giuridica e non nell’interesse particolare di qualcuno ma nell’interesse generale del Paese!
Marco Sereno Dal Toso, avvocato del Foro di Milano
Pubblicato venerdì 19 Luglio 2024
Stampato il 30/10/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/al-via-la-raccolta-firme-contro-autonomia-differenziata/