L’anno 1933 segna un cambiamento di rilievo nella storia di Cuba, nel quale confluiscono la protesta e lo scontento degli anni Venti e la delusione per i risultati dell’indipendenza ottenuta dalla Spagna nel 1898. Ad agosto ci sono le dimissioni forzate del presidente-despota Gerardo Machado (il “Mussolini tropicale”) e la delicata transizione verso il nuovo governo viene gestita dal presidente statunitense Roosevelt tramite l’abile ambasciatore all’Avana, Sumner Wells. Cuba è un quadro desolato e sconcertante: in ogni settore dei servizi pubblici sono in atto massicci scioperi, i giornali hanno sospeso le pubblicazioni, i bar e i caffè sono chiusi per la prima volta nella storia, scarseggiano i beni alimentari e la maggior parte dei negozi rimane chiuso.
Forte della generale frustrazione del popolo cubano, il 4 settembre 1933, un golpe militare denominato la “congiura dei sergenti” rovescia il provvisorio presidente filo Usa Carlos Manuel de Céspedes y Quesada, e dopo pochi giorni la presidenza passa a Ramón Grau San Martín (sostituito dopo soli cento giorni dal colonnello Carlos Mendieta), mentre il sergente stenografo Fulgencio Batista ottiene l’incarico di capo di Stato maggiore dell’esercito, assumendo di fatto il comando della ribellione e diventando l’uomo forte dell’isola, con il sostegno dell’ambasciatore statunitense.
L’autopromosso colonnello Batista, che avrebbe dominato la politica cubana per gran parte dei venticinque anni successivi, in poche settimane manda in frantumi la casta degli ufficiali aprendo il corpo dell’esercito a ufficiali di estrazione popolare (perlopiù mulatti e neri). In un clima di scioperi e occupazioni dei zuccherifici diventa progressivamente il tutore degli interessi economici statunitensi e in un discorso del 6 settembre 1935 chiarisce la linea da seguire garantendo a Washington la stabilità politica dell’isola: “Il movimento trionfante dei soldati e degli alti graduati dell’Esercito e della Marina si è consolidato grazie al comportamento dei cittadini […]. I rappresentanti degli Stati Uniti del Nord America [sic] hanno accettato i fatti e possiamo quindi affermare che non sussiste alcun pericolo di intervento […]. E non esiste neppure un pericolo comunista […]. Soltanto ora è nata una repubblica fondata su basi inamovibili, e la sua formula è dettata dalla libera volontà del Paese. Non sarà una repubblica fascista, né socialista, e neppure comunista, ma avrà l’orientamento che il volere del popolo intenderà darle”.
Il governo Grau non viene riconosciuto dal Dipartimento di Stato e Batista diventa il vero centro del potere a Cuba: non si prendono decisioni se non si consulta preventivamente, non si avvia uno sciopero se non lo approva. Anche attraverso atti violenti, adottati dall’esercito di Batista, il mantenimento dello status quo è la condizione pretesa dal governo statunitense. Riguardo a quei mesi, ha scritto l’inviato de l’Unità, Saverio Tutino nel suo L’ottobre cubano: “Si trattava di impedire che l’anelito democratico del legittimo nazionalismo, combinandosi con la lotta di classe, sprigionasse impulsi rivoluzionari capaci di collegarsi con la rivoluzione sovietica. Occorreva un braccio armato che proteggesse i ‘vicari’ di Wall Street a Cuba”.
Si consolida quindi la tipica economia da dipendenza propria dei “Paesi in via di sviluppo” – le cui origini risalivano al “trattato di reciprocità” siglato nel 1903 – fondata in questo caso sulla monocultura della barbabietola da zucchero, sull’aumento delle esportazioni di prodotti a marchio Usa e sulla predeterminata quantità di questo prodotto, che i cubani possono esportare sul mercato statunitense; inoltre, a seguito del nuovo trattato commerciale del 1934, vengono ridotti i diritti doganali d’importazione su una grande varietà di merci nordamericane e annullate o ridotte le imposte interne cubane sulle stesse merci. Se da un lato questo accordo assicura un mercato stabile per lo zucchero e per il tabacco di Cuba con un aumento delle esportazioni, dall’altro vincola l’isola sempre più strettamente agli Stati Uniti e al consumo di prodotti nordamericani, anziché incoraggiare le manifatture interne. All’indomani del putsch antimachadista, la politica rooseveltiana di fatto rafforza la forma di protettorato sull’isola, che però produce evidenti contraddizioni come il disordinato inurbamento (all’Avana vive quasi un quarto di tutto il Paese), inique sperequazioni, alti indici di povertà, analfabetismo e disoccupazione nonostante gli ingenti investimenti statunitensi e il boom del turismo.
La posizione di Batista si rafforza progressivamente anche grazie all’appoggio dei comunisti e delle organizzazioni operaie, nonostante la crisi economica che attanaglia l’isola, ma questo non basta per fargli guadagnare la maggioranza dei seggi nelle elezioni dell’Assemblea Costituente che si tengono il 15 novembre 1939 a favore, invece, di Grau San Martín. Accettato l’esito elettorale, Batista si dimette da capo di Stato maggiore e nella successiva campagna elettorale per le presidenziali proclama che “Gli Stati Uniti possono fare assegnamento su di noi quale coefficiente nei loro piani per la difesa dei Caraibi”. Gli echi della seconda guerra mondiale sono lontani per il popolo cubano.
La retorica batistiana attira le masse popolari e il 14 luglio 1940 l’ex sergente vince le elezioni presidenziali (le prime con suffragio femminile) alla testa di una vasta coalizione che comprende anche il Partito comunista cubano (in clandestinità fino al 13 settembre 1938), che appoggia con forza la decisione di partecipare alla guerra antifascista e sostiene le riforme in campo sociale, come le politiche di aumento salariale, il blocco dei licenziamenti nell’agricoltura, l’estensione delle leggi a favore della maternità. Il 10 ottobre, nel primo anniversario della sua entrata in carica quale presidente della Repubblica, Batista viene generosamente definito da Juan Marinello, leader del Partito comunista cubano, come il “primo presidente di Cuba che sarebbe stato in grado di affermare, al termine del suo mandato, che le sue promesse elettorali non erano state delle vanterie campate in aria, ma erano sgorgate da un impulso di dedizione al servizio del popolo”.
Ma al contempo, negli anni del conflitto mondiale, le speculazioni del commercio bellico indeboliscono ulteriormente l’economia dell’isola e così, alle elezioni presidenziali del 1944, Saladrigas, il candidato-fantoccio di Batista, nonostante il pieno sostegno del Partito socialista popolare e la promulgazione (10 ottobre 1940) di una nuova Costituzione – considerata tra le più socialmente avanzate del continente – perde clamorosamente contro Grau San Martín, che torna presidente dopo la breve parentesi del ’33.
“Non sono io che assumo la presidenza, bensì il popolo” (Grau, 10 ottobre 1944). Il sessantenne Ramón Grau San Martín impersona le speranze di centinaia di migliaia di cubani che aspirano a un futuro sicuro, a un governo serio e socialmente responsabile, immune da corruzioni. Ma tradisce queste aspettative e trasforma la sua presidenza in un grumo di furti e corruttele che si diffondono nei rivoli della società. Durante il governo Grau (1944-1948) si impone un sistema clientelare anche tramite la violenza di diversi gruppi di azione politica, privi di qualsiasi riferimento ideologico, il cui evento emblematico è l’assassinio del noto leader sindacale dei lavoratori zuccherieri neri Jesús Menéndez, il 22 gennaio 1948, per mano di un capitano dell’esercito. Il corrotto e violento regime di Grau viene sostituito alle elezioni dal presidente Carlos Prío Socarras (1948-1952), che gli ultimi mesi del suo mandato stringe accordi di assistenza militare con gli Stati Uniti per rafforzare il suo debole potere politico.
Il secondo“Batistato”
In primavera sono previste le elezioni politiche, ma un nuovo colpo viene inferto alla democrazia cubana. Il 10 marzo 1952 Batista si autonomina capo di Stato, il golpe viene riconosciuto da Washington una settimana dopo, e di conseguenza anche dai gruppi industriali nordamericani. Ad aprile, per la prima volta, Cuba appare sulla copertina del Time con una raffigurazione fiammeggiante del volto di Batista, con la bandiera cubana spiegata come un’aureola intorno al suo capo, e la luminosa dicitura “Batista porta la democrazia a Cuba”.
Sono gli anni in cui il giovane Fidel Castro inizia le prime mobilitazioni in ambito universitario e sviluppa l’attivismo militante per la causa latinoamericana. In breve tempo diventa una spina nel fianco per le losche manovre governative, tanto che, all’indomani del colpo di Stato, l’avvocato Castro scrive una lettera al Tribunale di suprema garanzia costituzionale per denunciare tutte le violazioni delle norme costituzionali commesse dal generale Batista e dai suoi complici. La sua richiesta viene respinta e Castro si convince che esiste solo un modo per rovesciare l’usurpatore: “Se Batista ha preso il potere con la forza, questo dev’essergli tolto con la forza”. Sono i prodromi della rivoluzione.
Nella seconda presidenza, Batista cambia radicalmente linea politica rispetto alla sua stessa precedente esperienza. Scioglie il Congresso, annulla la Costituzione, vieta il diritto di sciopero, chiude sedi universitarie e adotta una politica repressiva nei confronti delle opposizioni con il ricorso a omicidi mirati e torture. Le due forze politiche principali di opposizione al regime sono il Partido revolucionario cubano (Prc) noto come Partido auténtico, il Partido del pueblo cubano (Ppc), conosciuto come Partido ortodóxo, e il Partido socialista popular (Psp), evoluzione del Partido comunista cubano (Pcc). Nel 1955 Batista istituisce il Buró de represión de actividades comunistas (Brac) che agisce come polizia segreta con la compiacenza del Dipartimento di Stato che offre l’assistenza della Cia per condividere informazioni sulle eventuali attività sovversive comuniste, rompe le relazioni diplomatiche con l’Unione Sovietica e costringe i comunisti alla clandestinità.
“Se il nostro Paese, che è nato con i più generosi ideali democratici in un’eroica lotta contro l’abuso e il dispotismo, ritornerà ai giorni oscuri e tetri del ‘Machadato’, la colpa sarà solo vostra, generale Batista… Io ti accuso, Fulgencio Batista, di essere il grande ostacolo sulla strada della felicità del povero popolo cubano”. Il 14 novembre 1952, Bohemia, uno dei principali quotidiani dell’isola, chiede elezioni immediate e annuncia che Cuba è in pericolo sia dal punto di visto economico che politico. In generale, sin dalle prime settimane del “Batistato”, viene instaurato uno stato di polizia simile a quello che aveva caratterizzato gli ultimi anni di Machado.
Si chiude un ciclo della storia cubana che era iniziato con la rivoluzione del ’33, e nel frattempo Fidel Castro progetta l’insurrezione per rovesciare Batista.
Andrea Mulas, storico Fondazione Basso
Pubblicato martedì 4 Luglio 2023
Stampato il 23/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/a-sud-del-tropico-del-cancro-cuba-come-nasce-una-rivoluzione/