Tutto inizia il 15 dicembre, con un articolo apparso sul Washington Post. Il luogo è Atlanta (Georgia), sede dei Centers for Disease Control and Prevention, un’importante agenzia sanitaria pubblica statunitense, l’occasione è fornita dall’annuale riunione per la predisposizione del bilancio: una scadenza importante, ma che non fuoriesce dalla normale routine amministrativa. Salvo questa volta, quando agli allibiti funzionari viene comunicato dalla responsabile dell’Ufficio per le risorse finanziarie dei Centers, Alison Kelly, che esiste una lista, di sette parole, che la Casa Bianca “sconsiglia” di usare nei documenti finanziari e programmatici delle agenzie sanitarie: “vulnerable,” “entitlement,” “diversity,” “transgender,” “fetus,” “evidence-based” e “science-based.” Non solo, ma per alcuni dei termini censurati, si suggeriscono delle alternative: così “evidence-based” and “science-based” possono essere sostituiti da un surreale giro di parole che, tradotto, suona «basato sulla scienza in considerazione degli standard e dei desideri della comunità». Per quanto paradossale, la blacklist della Casa Bianca non è un evento isolato; mentre durante la campagna elettorale aveva cercato in vari modi di guadagnarsi il voto delle comunità omosessuali, una volta giunto alla Casa Bianca, Donald Trump ha sposato in pieno la linea dura della destra radicale contro i diritti civili e la tutela delle fasce sociali più deboli (non a caso, appaiono ai primi posti della lista “vulnerable” ed “entitlement”), e molte agenzie federali hanno conseguentemente modificato in profondità il modo in cui gestiscono la comunicazione nei confronti delle persone omosessuali, transgender e bisessuali. Ad esempio, alcuni mesi fa, il Department of Health and Human Services, l’organo federale che vigila su tutte le agenzia sanitarie del Paese, ha rimosso dal proprio sito web tutte le pagine riguardanti i LGTB (lesbian, gay, transgender, bisexual) Americans e i loro familiari, comprese le notizie relative alla protezione delle vittime dello sfruttamento sessuale.
Peraltro, come suggeriscono le autrici dell’articolo del Washington Post, le parole proibite sono tali proprio perché evocano temi e misure della passata amministrazione: diritti civili, orientamento sessuale, identità di genere, diritto di aborto, quest’ultimo, come è noto, ferocemente contrastato, anche mediante la violenza, da numerosi gruppi religiosi integralisti. D’altra parte, che la lista di proscrizione redatta dall’amministrazione Trump costituisca una prosecuzione della campagna contro l’Obamacare, dopo il fallito tentativo di abrogarlo per via legislativa, è fuori di dubbio: basta aprire la front page del sito web della Casa Bianca dedicata alla sanità (Healthcare) per leggervi in apertura un esplicito attacco alla riforma sanitaria della precedente amministrazione che “danneggia le famiglie americane, gli agricoltori e le piccole imprese, portando alle stelle (skyrocketing) i costi dell’assicurazione sanitaria” e in chiusura la notizia che “il Presidente sta utilizzando i suoi poteri (his executive authority) per ridurre le barriere che impediscono l’adozione di opzioni più convenienti per i cittadini e le imprese americane”. Tra queste barriere, evidentemente, devono essere incluse anche le parole incriminate, segno che l’obiettivo non è solo quello di smantellare una riforma che ha garantito una copertura sanitaria a chi ne era privo (mentre contestualmente viene varata una riforma fiscale che favorisce in modo sfacciato i ricchi), ma di entrare fino nei meccanismi più intimi della formazione del senso comune, attraverso la rimozione di un linguaggio che sottende una rete di relazioni sociali e politiche democratiche e aperte: la bestia nera dell’amministrazione del tycoon repubblicano.
La politica sanitaria è un terreno ideale per compiere un’operazione di questo tipo, poiché in essa lo stato sociale entra in contatto con la sfera più intima dei diritti della persona, quelli che attengono alla gestione del proprio corpo e dei tempi e dei modi dell’esistenza fisica, alla dignità individuale insidiata dalla vulnerabilità della malattia, all’orientamento sessuale. Ed è su questo terreno, così insidioso e ricco di contraddizioni, che cercano di giocare una spregiudicata partita i gruppi più conservatori, che, con il pieno sostegno della Casa Bianca, rispolverando gli aspetti deteriori dell’etica religiosa puritana, diffondono un messaggio discriminatorio inteso a respingere ai margini della vita associata tutto ciò che può rappresentare diversità, dissenso o addirittura contestazione nei confronti dell’american way of life. E non si tratta di un’opzione terminologica imputabile a una scelta puramente ideologica: come suggerisce il Washington Post, la censura linguistica potrebbe preludere all’accantonamento di importanti programmi sanitari pubblici, come quelli per il contrasto della diffusione del virus HIV tra le persone transgender o sulla prevenzione delle malformazioni fetali provocate dal virus Zika. Che le persone più deboli e più vulnerabili, dopo essere state idealmente espulse dal vocabolario, vengano emarginate nella vita reale è un rischio più che reale, e tutto questo può rappresentare una sinistra ispirazione per quanti, negli Stati Uniti come in Europa, coltivano l’ideale di una comunità chiusa, omogenea e discriminatoria come via di fuga di fronte alle sfide della globalizzazione e alle mille insicurezze che la crisi di questi anni ha disseminato nelle nostre società.
Pubblicato giovedì 21 Dicembre 2017
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