I nove giudici della Corte suprema degli Stati uniti, di cui tre sono stati scelti dall’ex presidente Trump. la carica è a vita. Nella foto, prima a sinistra seduta è Sonia Sotomayor, autrice della dissenting opinion sull’immunità concessa all’ex inquilino della Casa Bianca

Quella che vi offiramo è la traduzione — sfrondata dai link agli atti, dalle note e dai riferimenti alla precedente giurisprudenza — della dissenting opinion della giudice Sonia Sotomayor della Corte Suprema americana rispetto alla decisione della maggioranza di accordare all’ex presidente Trump una immunità sostanzialmente illimitata in relazione alle sue responsabilità prima nel tentativo di alterare l’esito delle elezioni presidenziali e poi di istigare una folla di sostenitori all’assalto del Parlamento.

6 gennaio 2021, l’assalto a Capitol Hill

L’immunità, come si comprende dalla lettura, è nella sostanza estesa temporalmente oltre la cessazione dell’ufficio e, quanto alla materia, seppure attraverso lo strumento dell’inutilizzabilità probatoria degli atti, anche alle condotte estranee alle funzioni d’ufficio.

Donald Trump

La motivazione del dissenso suona quasi come un urlo di dolore per l’offesa al principio di uguaglianza imposta da una maggioranza di giudici che versano nel più clamoroso dei conflitti di interesse, essendo stati essi nominati proprio da colui sulla cui vicenda giudiziaria sono stati chiamati a esprimersi.
Alcune considerazioni si impongono quanto alle tendenze in atto nei sistemi democratici e liberali.

(Pixabay, Elisa Riva)

In linea generale, anche questa pronuncia si iscrive in un processo di alterazione degli equilibri tra poteri dello Stato, a tutto vantaggio di quello esecutivo (si legga il punto in cui Sotomayor richiama anche la lesione delle prerogative del Congresso), rispetto alla tradizione di check and balance in cui pure il sistema americano si ritiene maestro. E questa alterazione avviene nel segno della prevalenza delle esigenze di efficienza, rapidità di azione e libertà di decisione, che sarebbero altrimenti impedite dai lacci e laccioli imposti dallo Stato di diritto e dagli organi preposti all’attuazione del diritto oggettivo (e qui in Italia vien da pensare a qualche recente proposta di estensione dell’immunità penale ai presidenti delle Regioni). Il tema, proprio perché globalmente avvertito, offre possibilità di declinazione sia dal punto di vista del sistema costituzionale americano sia di quello italiano.

Scena della firma della Costituzione degli Stati Uniti, dipinto di Howard Chandler Christy

Si legge in filigrana nelle motivazioni di Sotomayor una deferenza quasi religiosa nei confronti del testo costituzionale del 1787 e della saggezza previgente dei padri costituenti. Forse in nessun altro Paese come negli Stati Uniti l’identità nazionale si fonda sulla Costituzione adottata dai Padri Fondatori (da noi, quando l’attuale Costituzione fu redatta e promulgata, un progetto di nazione c’era già, con alla sua base lo Statuto albertino, poi sappiamo come è finita) percepita quasi come sacra, come bastione incrollabile delle libertà individuali; e anche come fondamento di una missione mondiale degli Stati Uniti, del ruolo di potenza egemone (qualcuno direbbe imperiale).

17 settembre 2011, Occupy Wall Street (foto Paul Stein, via Flickr)

Che esista una narrazione progressista, o se vogliamo liberal o anche radical, della Costituzione lo dimostra il fatto che anche Occupy Wall Street avviò la sua occupazione di Zuccotti Park a New York il giorno in cui, duecentoventiquattro anni prima, la Costituzione fu promulgata (17 settembre 2011).

E del resto c’è stata pure un’epoca in cui quella Costituzione serviva a espandere i diritti delle persone e a coltivare il sogno di una società di eguali: questo è quello che successe con la sentenza Brown v. Board of Education, pubblicata il 17 maggio 1954, che dichiarava incostituzionale il sistema di segregazione razziale nelle scuole. Ma proprio questa ideologia del valore imperituro della Costituzione del 1787 ostacola la capacità di storicizzarla e di guardare criticamente quei meccanismi istituzionali che andrebbero modificati per dare nuova linfa alla democrazia americana e combattere vecchi e nuovi autoritarismi; e tra questi meccanismi vi è senz’altro la assai poco repubblicana regola della nomina a vita dei giudici costituzionali; il tutto poi complicato dalla macchinosità del procedimento di modifica della Costituzione, come previsto dall’art. 5 della Costituzione stessa.

(foto Senato)

Sotomayor conclude la sua opinion evocando scenari da incubo di un presidente immune che organizza colpi di stato militari e ordina l’assassinio di avversari. Il ricordo corre alla strategia del terrore, al rapimento e all’assassinio di Aldo Moro, a una minaccia proferita da un Segretario di Stato, da lui sempre negata da altri autorevolmente confermata… Forse quella distopia noi l’abbiamo già vissuta.

(Imagoeconomica, Benvegnù Guaitoli)

Ma anche guardando a casa nostra non c’è da stare tranquilli. L’alterazione del sistema di rappresentanza proporzionale in favore di sistemi elettorali spuri, più o meno dichiaratamente maggioritari, nel nome della stabilità dell’esecutivo, produce effetti anche sulle nomine nelle istituzioni di garanzia, che all’indirizzo politico di governo dovrebbero essere estranee, tra le quali rientra anche la nomina di un terzo dei membri della Corte costituzionale che è effettuata dal Parlamento in seduta comune con una maggioranza dei due terzi dei componenti l’Assemblea e, dopo la terza votazione, dei tre quinti.

24 luglio 2024. Il Presidente Sergio Mattarella in occasione dell’incontro con i vertici dell’Associazione Stampa Parlamentare per la consegna del “Ventaglio” (foto Quirinale)

Succede allora che nel corso della Cerimonia del Ventaglio svoltasi il 24 luglio il Presidente della Repubblica Mattarella solleciti apertamente il Parlamento a procedere alla nomina di un giudice costituzionale, per coprire il posto lasciato vacante da Silvana Sciarra nel novembre scorso (“monito, esortazione, suggerimento, invito”… disse il Presidente). Per spiegare l’insolito ritardo si ipotizza che la maggioranza, non disponendo per pochi voti dei tre quinti del Parlamento, attenda che scadano a dicembre altri tre giudici. Per potere contrattare scambi, concedere qualcosa a qualcuno, prendendo tutto il resto?

Il quirinale il palazzo della Consulta (Imagoeconomica, Carlo Carino)

La cosa ha conseguenze anche sul progetto di riforma costituzionale e sulla connessa legge elettorale, che, negli auspici del governo, deve garantire al premier una maggioranza certa. Si pone il problema della compatibilità costituzionale di una tale legge, alla luce di precedenti della Corte che ritengono illegittimo un premio di maggioranza riconosciuto alla lista di maggioranza relativa, quale che sia la percentuale di voti ottenuti (e quindi anche nel caso di una percentuale esigua) (n. 1/14, 35/17). Secondo il prof. Frosini, audito sul punto dalla Commissione Affari costituzionali della Camera il 30 luglio, l’ostacolo può essere superato. La Corte, infatti, non avrebbe l’obbligo di stare ai precedenti e soprattutto il collegio che giudicherà sarà completamente diverso da quello che si è già pronunciato.

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni (Imagoeconomica, Sara Minelli)

La prima asserzione non tiene conto del fatto che la continuità degli orientamenti della Corte definisce una trama duratura di valori e di criteri di bilanciamento e si pone essa stessa come fattore di certezza del diritto costituzionale, orienta i giudici nella selezione delle questioni da sottoporre al giudizio della Corte, garantisce il carattere non arbitrario dei procedimenti interpretativi delle norne costituzionali e dei test di bilanciamento tra interessi contrapposti. Chi ha esperienza di diritto del lavoro può vedere una applicazione di questa continuità nella serie di sentenze che, dal 1965, si sono occupate della materia dei licenziamenti.

(Imagoeconomica)

Ma soprattutto è il secondo auspicio a destare inquietudine: la Costituzione viene emendata, con l’introduzione di un premier elettivo; la legge elettorale, che gli deve garantire la maggioranza ed è legge ordinaria, è soggetta allo scrutinio della Corte costituzionale, ma una maggioranza della Corte ipoteticamente organica alla maggioranza di governo ne garantisce la salvezza.

Di diverso, rispetto all’esperienza americana, c’è che qui le riforme costituzionali sono all’ordine del giorno delle maggioranze governative.
In comune c’è la crisi del ruolo di terzietà delle Corti supreme.
Poi però, nel nostro caso, il corpo elettorale sarà chiamato a esprimersi, a difesa di una Costituzione che deve restare, citando Lincoln, “of the people, by the people, for the people”.

Mauro Dallacasa, magistrato


La giudice della Corte Suprema Usa Sonia Sotomayor

IL DOCUMENTO

La dissenting opinion della giudice Sonia Sotomayor

Decisione di annullamento con rinvio degli atti alla Corte di Appello degli Stati Uniti del circondario del Distretto di Colombia
Justice Sotomayor al quale si uniscono Justice Kagan a Justice Jackson, dissentendo

La decisione odierna di garantire l’immunità penale agli ex presidenti rimodella l’istituzione della Presidenza. Si fa beffe del principio, fondante della nostra Costituzione e del nostro sistema di governo, secondo cui nessun uomo è al di sopra della legge. Basandosi su poco più che sul proprio fuorviante buon senso sulla necessità di “un’azione coraggiosa e senza esitazione” da parte del presidente, la Corte dà all’ex presidente Trump tutta l’immunità che aveva chiesto e altro ancora. Poiché la nostra Costituzione non tutela un ex presidente dal rispondere di atti criminali e fraudolenti, sono in disaccordo.
L’accusa dipinge il crudo ritratto di un presidente che cerca disperatamente di rimanere al potere.
Nelle settimane precedenti il 6 gennaio 2021, l’allora presidente Trump avrebbe “diffuso menzogne secondo cui c’era stata una frode determinante per l’esito delle elezioni e che egli aveva in realtà vinto”, nonostante fosse stato “ripetutamente informato” dai suoi più stretti consiglieri “che le sue affermazioni erano false”.
Quando decine di tribunali hanno rapidamente respinto queste affermazioni, Trump avrebbe “spinto i funzionari di alcuni stati a ignorare il voto popolare; privare dei diritti civili milioni di elettori; escludere elettori legittimi; e, in definitiva, determinare la certificazione e il voto di elettori illegittimi” a suo favore. Si presume che sia arrivato al punto di minacciare un funzionario elettorale statale di un’azione penale se il funzionario non avesse “’trovato’ 11.780 voti” di cui Trump aveva bisogno per cambiare il risultato elettorale in quello stato. Quando i funzionari statali hanno ripetutamente rifiutato di agire al di fuori della loro autorità legale e di alterare i loro processi elettorali statali, Trump e i suoi co-cospiratori hanno presumibilmente sviluppato un piano per interrompere e sostituire il legittimo processo di certificazione elettorale organizzando liste elettorali fraudolente.
Con l’avvicinarsi della data del procedimento di certificazione, Trump avrebbe anche cercato di “usare il potere e l’autorità del Dipartimento di Giustizia” per rafforzare le sue consapevolmente false accuse di frode elettorale avviando “false indagini sui crimini elettorali” e inviando missive ufficiali “falsamente sostenendo che il Dipartimento di Giustizia aveva identificato significative ragioni di preoccupazione che avrebbero potuto avere un impatto sull’esito elettorale” mentre “presentava falsamente gli elettori fraudolenti come una valida alternativa agli elettori legittimi”. Quando il Dipartimento si è rifiutato di fare ciò che aveva chiesto, Trump si è rivolto al Vicepresidente. Inizialmente, ha cercato di persuadere il vicepresidente “a utilizzare il suo ruolo cerimoniale nella procedura di certificazione del 6 gennaio per alterare fraudolentemente i risultati elettorali”. Fallito il tentativo di persuasione, presumibilmente “ha tentato di utilizzare una folla di sostenitori che aveva radunato a Washington, D.C., per fare pressione sul Vice Presidente affinché alterasse fraudolentemente i risultati elettorali”.
Parlando a quella folla il 6 gennaio, Trump “ha affermato falsamente che, sulla base di una frode, il vicepresidente poteva alterare l’esito dei risultati elettorali”. Quando questa folla poi “ha attaccato violentemente il Campidoglio e ha interrotto la procedura, Trump presumibilmente ritardò nel fare qualsiasi passo per fermare i disordini che aveva scatenato. Invece, in un’ultima disperata mossa per mantenere il potere, secondo quanto allegato “tentò di sfruttare la violenza e il caos in Campidoglio” facendo pressioni sui legislatori affinché ritardassero la certificazione delle elezioni e alla fine lo dichiarassero vincitore. Questo è il contesto in cui il caso giunge alla Corte.
II
La Corte ora affronta una domanda alla quale non ha mai dovuto rispondere nella storia della nazione: se un ex presidente gode dell’immunità dai procedimenti penali federali. La maggioranza pensa che dovrebbe e così inventa un’immunità extra testuale, astorica e ingiustificabile che pone il Presidente al di sopra della legge.
La maggioranza formula tre argomenti che, di fatto, esentano completamente i presidenti da responsabilità penale. In primo luogo, la maggioranza crea un’immunità assoluta per l’esercizio dei “poteri costituzionali fondamentali” da parte del presidente. Questa affermazione non è rilevante in relazione ai capi di accusa, e il tentativo della maggioranza di applicarla ai fatti espande il concetto di poteri fondamentali oltre ogni limite riconoscibile. In ogni caso, essa viene rapidamente oscurata dalla seconda mossa, che consiste nel creare un’immunità espansiva per tutti gli “atti ufficiali”. Sia che venga descritta come presunta o assoluta, secondo il principio affermato dalla maggioranza, l’uso di qualsiasi potere ufficiale da parte di un Presidente per qualsiasi scopo, anche il più corrotto, è immune da procedimenti giudiziari. Questo è in effetti così odioso come appare, ed è infondato. Infine, la maggioranza dichiara che le prove relative ad atti per i quali il Presidente è immune non possono avere alcun ruolo in un procedimento penale contro di lui. Questa decisione, che impedirà al governo di utilizzare gli atti ufficiali di un presidente per dimostrare la consapevolezza o l’intenzione di perseguire offese private, non ha senso.
Argomento dopo argomento, la maggioranza inventa l’immunità attraverso la forza bruta. Sotto esame, le sue argomentazioni crollano. Per cominciare, l’ampia immunità della maggioranza per gli “atti ufficiali” non è coerente con il testo, la storia e la visione consolidata del ruolo del Presidente. Inoltre, è profondamente sbagliata, anche nei suoi stessi termini funzionalisti. Inoltre, l’immunità “fondamentale” della maggioranza è inutile e fuorviante. Altresì, l’illogica regola probatoria della maggioranza non ha precedenti. Infine, il progetto di questa maggioranza avrà conseguenze disastrose per la Presidenza e per la nostra democrazia.
III
Il punto principale della decisione odierna è che tutti gli atti ufficiali di un presidente, definiti senza riguardo al motivo o all’intento, hanno diritto a un’immunità che è “almeno . . . presuntiva” e molto probabilmente “assoluta”. Ogni volta che il Presidente esercita l’enorme potere della sua carica, dice la maggioranza, la legge penale (almeno presuntivamente) non può toccarlo. Questa immunità dagli atti ufficiali non ha “nessuna solida base nel testo costituzionale, nella storia o nei precedenti”. In effetti, quei “fondamenti standard per il processo decisionale costituzionale”, vanno tutti nella direzione opposta. Non importa come la si guardi, l’immunità agli atti ufficiali della maggioranza è assolutamente indifendibile.
A
La maggioranza chiede “un’attenta valutazione della portata del potere presidenziale ai sensi della Costituzione”. Per la maggioranza quella “attenta valutazione” non riguarda il testo della Costituzione. Comincerei da lì.
Il testo della Costituzione non contiene alcuna disposizione sull’immunità dai procedimenti penali per gli ex presidenti. Certo, «il silenzio della Costituzione su questo punto non è conclusivo”. Nella misura in cui la maggioranza si scaglia contro l’idea che sia necessaria una “base testuale specifica”, essa contesta un’argomentazione che non è stata svolta qui. L’omissione nel testo della Costituzione merita però di essere segnalata per almeno tre ragioni.
In primo luogo, i Costituenti sapevano chiaramente come garantire l’immunità dai procedimenti giudiziari. Fornirono una ristretta immunità ai legislatori nella disposizione sui discorsi e sui dibattiti. (“Senatori e rappresentanti… in tutti i casi, eccetto quello di tradimento, crimine e violazione della pace, avranno il privilegio di non essere arrestati durante la loro presenza alla sessione delle rispettive Camere, e nell’andare e tornare dalla stessa e per qualunque discorso o dibattito nell’una o nell’altra Camera, non potranno essere interrogati in nessun’altra sede”). Non hanno esteso la stessa o simile immunità ai presidenti.
In secondo luogo, “alcune costituzioni statali al momento della scrittura della Costituzione prevedevano specificatamente ‘immunità penali espresse’ ai governatori in carica”. I Costituenti hanno scelto di non includere una simile espressione nella Costituzione per rendere immune il Presidente. Se i Costituenti “avessero voluto creare qualche privilegio costituzionale per proteggere il Presidente. . . da un’accusa penale”, avrebbero potuto farlo. Non l’hanno fatto.
In terzo luogo, nella misura in cui la Costituzione affronta questa questione, di fatto contempla una qualche forma di responsabilità penale per gli ex presidenti. La maggioranza respinge correttamente la tesi di Trump secondo cui un ex presidente non può essere perseguito a meno che non sia stato messo sotto accusa dalla Camera e condannato dal Senato per la stessa condotta. La maggioranza ignora, tuttavia, che la Impeachment Judgment Clause va contro la sua stessa posizione. Tale disposizione presuppone la disponibilità su tali basi di un processo penale stabilendo che un funzionario accusato e condannato dal Senato “sarà comunque responsabile e soggetto ad accusa, processo, giudizio e punizione, secondo la legge”. Tale disposizione prevede chiaramente che un ex presidente possa essere soggetto a procedimento penale per la stessa condotta che ha portato (o avrebbe potuto portare) a una sentenza di impeachment, inclusa una condotta come la “corruzione”, che implica atti ufficiali quasi per definizione.
B
Consapevole della mancanza di supporto testuale, la maggioranza sottolinea che questa Corte ha “riconosciuto immunità e privilegi presidenziali ‘radicati nella tradizione costituzionale della separazione dei poteri e sostenuti dalla nostra storia’”. Questo è vero, fino ad un certo punto. Niente nella nostra storia, tuttavia, supporta l’immunità del tutto nuova della maggioranza dai procedimenti penali per atti ufficiali.
Le prove storiche esistenti sull’immunità presidenziale dai procedimenti penali sono decisamente contrarie a tale affermazione. Ad esempio, Alexander Hamilton ha scritto che gli ex presidenti sarebbero “perseguibili e puniti secondo la legge ordinaria”. Per Hamilton, questa era un’importante distinzione tra “il re di Gran Bretagna”, che era “sacro e inviolabile”, e il “presidente degli Stati Uniti”, che “sarebbe suscettibile di punizione personale e disonore”. A differenza del re, il presidente dovrebbe essere soggetto alla “responsabilità personale” delle sue azioni, “essendo su un terreno non più favorevole di quello di un governatore di New York, e su un terreno non meno favorevole di quello dei governatori del Maryland e del Delaware”, le cui Costituzioni statali concedevano loro una certa immunità.
Alla Convenzione costituzionale, James Madison, che era consapevole che alcune costituzioni statali garantivano l’immunità dei governatori, propose che la Convenzione “considerasse quali privilegi dovrebbero essere concessi all’esecutivo”. Non c’è traccia di alcuna discussione del genere. Il delegato Charles Pinckney spiegò in seguito che “la Convenzione che ha steso la Costituzione sapeva bene” che “nessun argomento era stato più abusato del privilegio”, e quindi “ha deciso di . . . limitare il privilegio a ciò che era necessario, e niente di più”. “Nessun privilegio . . . era destinato all’esecutivo”.
Altri commentatori dell’epoca dell’indipendenza osservarono che i funzionari federali non godevano di immunità dai procedimenti giudiziari, senza fare eccezione per il Presidente. James Wilson ha riconosciuto che gli ufficiali federali che usano i loro poteri per commettere crimini “possono essere processati dal loro paese; e se la loro responsabilità penale sarà accertata, la legge li punirà. Potrebbe formarsi un grand jury, una giuria ordinaria potrebbe condannarli e i giudici determineranno la pena”. Alcuni decenni dopo, Justice Story sostenne la stessa tesi. Spiegò che, quando un funzionario federale commette un crimine nell’esercizio delle sue funzioni, “è indispensabile che sia garantita la libertà dei tribunali comuni di giustizia di esercitare la giurisdizione sul reato, allo scopo di applicare le medesime pene applicabili ad offensori privi di qualifiche pubbliche”. Senza un processo penale, ha spiegato, “i peggiori offensori investiti di pubbliche funzioni potrebbero sfuggire a qualunque sanzione sostanziale, anche per crimini che sottoporrebbero i loro concittadini alla pena capitale”.
Questa evidenza storica rafforza il fatto che, fin dall’inizio, in questa Nazione è sempre stato presunto che nessun uomo fosse libero di infrangere la legge penale. La maggioranza non riesce ad ammettere o a confrontarsi con la mancanza di prove storiche a sostegno della sua nuova immunità. Senza nulla a suo supporto, il massimo che la maggioranza può fare è affermare che le prove storiche sono una sciocchezza. Essa sostiene che la Corte ha in precedenza descritto le “prove storiche rilevanti sulla questione dell’immunità presidenziale” come “frammentarie” e non degne di considerazione. Eppure la Corte ha descritto come “frammentarie” solo le prove riguardanti “l’immunità del Presidente dalla responsabilità per danni” (il corsivo è mio). Inoltre, lungi dal respingere tale prova come irrilevante, la Corte nel caso Fitzgerald è stata attenta a notare che “la migliore prova storica supportava chiaramente” l’immunità dalla responsabilità per danni da essa riconosciuta, e si è basata in parte su tale prova storica per superare la mancanza di qualsiasi base testuale per la sua immunità. La maggioranza ignora questa connessione. Sembra che la storia conti per questa Corte solo quando è conveniente.
C
La storia del nostro Paese indica anche una consapevolezza consolidata, condivisa sia dai presidenti che dal Dipartimento di Giustizia, secondo cui gli ex presidenti sono responsabili davanti alla legge penale per i loro atti ufficiali. (“Una prassi consolidata può avere ‘grande peso in una corretta interpretazione delle disposizioni costituzionali”). Consideriamo ad esempio il Watergate. Dopo che i nastri del Watergate rivelarono l’abuso di potere da parte del presidente Nixon per ostacolare le indagini del Federal Bureau of Investigation sul furto con scasso al Watergate, il presidente Ford perdonò Nixon. Sia la grazia di Ford che l’accettazione della grazia da parte di Nixon necessariamente “si basavano sulla consapevolezza che l’ex presidente doveva affrontare una potenziale responsabilità penale”.
Anche le successive indagini di commissioni d’inchiesta speciali e consulenti indipendenti hanno operato partendo dal presupposto che il governo possa perseguire penalmente gli ex presidenti per i loro atti ufficiali, laddove violino la legge penale. (“Perché un Presidente, e certamente un Presidente cessato, è soggetto a procedimento giudiziario . . . la condotta del Presidente Reagan nella questione Iran/Contra è stata esaminata da una commissione di inchiesta con riguardo agli statuti applicabili. Si è concluso che la [sua] condotta era ben al di sotto di un crimine che poteva essere perseguito con successo”).
In effetti, gli stessi avvocati di Trump durante il suo secondo processo di impeachment hanno assicurato ai senatori che rifiutarsi di mettere sotto accusa Trump per la sua condotta relativa al 6 gennaio non lo avrebbe lasciato “in alcun modo al di sopra della legge”. Hanno insistito sul fatto che un ex presidente “è come qualsiasi altro cittadino e può essere processato in un tribunale” (l’avvocato di Trump per l’impeachment afferma che “nessun ex funzionario è immune” dal processo giudiziario “per indagini, procedimenti giudiziari e punizioni”); (il consulente a difesa di Trump per l’impeachment afferma: “Se i miei colleghi da questa parte della Camera pensano davvero che il presidente Trump abbia commesso un reato penale… dopo che è fuori carica, vai e arrestalo”). Ora che Trump si trova ad affrontare accuse penali per tali atti, però, la situazione è cambiata. Essere trattati “come qualsiasi altro cittadino” non sembra più così allettante.
In sintesi, la maggioranza oggi sostiene una visione espansiva dell’immunità presidenziale che fino ad ora non è mai stata riconosciuta dai Padri Costituenti, da nessun presidente in carica, dal ramo esecutivo e nemmeno dagli avvocati del presidente Trump. In questo caso, le interpretazioni consolidate della Costituzione sono di scarsa utilità per la maggioranza, che quindi le ignora.
IV
A
Mettendo da parte questa prova, la maggioranza afferma che gli ex presidenti sono “assolutamente”, o “almeno. . . presuntivamente”, immuni da procedimenti penali per tutti i loro atti ufficiali. La maggioranza pretende di lasciarci nell’incertezza se questa immunità è assoluta o presunta, ma rinuncia presto al gioco. Spiega che “quantomeno, il Presidente deve . . . essere immune da azioni penali per un atto ufficiale a meno che il Governo non possa dimostrare che l’applicazione di un divieto penale a quell’atto non porrebbe “pericoli di intrusione nell’autorità e nelle funzioni del potere esecutivo”.” Nessun pericolo, assolutamente nessuno. È difficile immaginare un procedimento penale per gli atti ufficiali di un presidente che non comporti alcun pericolo di intrusione nell’autorità presidenziale agli occhi della maggioranza. Né dovrebbe essere questo lo standard. Sicuramente alcune intrusioni nell’Esecutivo possono essere “giustificate da un’esigenza prevalente di perseguire obiettivi rientranti nell’autorità costituzionale del Congresso”. Altre intrusioni possono essere giustificate dal “dovere costituzionale primario del potere giudiziario di fare giustizia nei procedimenti penali”. Secondo la maggioranza, tuttavia, ogni incursione nel potere esecutivo è eccessiva. Quando l’immunità presunta è così assoluta, l’indecisione della maggioranza su “se l’immunità [degli atti ufficiali] debba essere assoluta” o se, invece, “l’immunità presunta sia sufficiente”, poco importa.
Forse qualche futura opinione di questa Corte deciderà che l’immunità presunta è “sufficiente” e sostituirà la ferrea presunzione della maggioranza con una che renda significativa la differenza tra immunità presunta e assoluta. La Corte odierna, tuttavia, ha sostituito la presunzione di uguaglianza davanti alla legge con la presunzione che il Presidente sia al di sopra della legge per tutti i suoi atti ufficiali.
Subito dopo aver annunciato questa sorprendentemente ampia immunità per gli atti ufficiali, la maggioranza ci assicura che un ex presidente può ancora essere perseguito per “atti non ufficiali”. Certo che può. Nessuno ha messo in dubbio la possibilità di perseguire un ex presidente per atti non ufficiali (diversamente detti atti privati). Persino Trump non ha rivendicato l’immunità per tali atti e, come riconosce la maggioranza, tale immunità non potrebbe essere compatibile con la pronuncia in Clinton v. Jones. Questa irrilevante affermazione non costituisce un vero limite alla decisione odierna. Ciò non nasconde l’adesione della maggioranza alla più estesa visione dell’immunità presidenziale che possa essere offerta.
Infatti, la linea di demarcazione della maggioranza tra comportamenti “ufficiali” e “non ufficiali” restringe quasi a nulla i comportamenti considerati “non ufficiali”. Dice che ogni volta che il presidente agisce in un modo che “non è manifestamente o patentemente al di là della [sua] autorità”, sta intraprendendo un’azione ufficiale. Poi fa un ulteriore passo avanti: “Nel distinguere la condotta ufficiale da quella non ufficiale, i tribunali non possono indagare sulle motivazioni del presidente”. Una cosa è dire che il movente è irrilevante per le questioni riguardanti l’ambito della responsabilità civile, un’altra cosa è renderlo irrilevante per le questioni riguardanti la responsabilità penale. Secondo tale regola, qualsiasi uso del potere ufficiale per qualsiasi scopo, anche lo scopo più corrotto reso evidente da prove oggettive dei motivi e degli intenti più corrotti, rimane ufficiale e immune. Secondo il test della maggioranza, se tale può essere definito, la categoria dell’azione presidenziale che può essere considerata “non ufficiale” è destinata a essere incredibilmente ridotta.
Alla fine, la maggioranza aderisce formalmente all’idea che “[il] presidente, incaricato di far rispettare le leggi penali federali, non è al di sopra di loro”, ma poi procede a collocare gli ex presidenti al di là della portata delle leggi penali federali per qualsiasi abuso di potere.
B
Allora come fa la maggioranza ad arrivare a questa conclusione? Con il testo, la storia e l’interpretazione consolidata che pesano contro di essa, la maggioranza rivendica solo una freccia nella sua faretra: il test di equilibrio in Nixon v. Fitzgerald. Eppure anche quel test va contro di essa. La maggioranza conclude che l’immunità per gli atti ufficiali “è necessaria per salvaguardare l’indipendenza e l’effettivo funzionamento del potere esecutivo”, respingendo le allegazioni dello stesso esecutivo secondo cui tale immunità non è affatto richiesta e potrebbe essere in fatto dannosa. In tal modo, decontestualizza il linguaggio di Fitzgerald, ignora importanti precisazioni e raggiunge un risultato che la Corte di Fitzgerald non avrebbe mai approvato.
Nel caso Fitzgerald, il querelante A. Ernest Fitzgerald fece causa all’allora ex presidente Nixon per danni. Affermò che, mentre era in carica, Nixon era stato coinvolto nel licenziarlo illegittimamente dal suo lavoro governativo. La questione per la Corte era se un ex presidente avesse l’immunità da una simile causa civile. La Corte ha spiegato che “è legge consolidata che la dottrina della separazione dei poteri non impedisce ogni esercizio di giurisdizione sul Presidente degli Stati Uniti”. Per determinare se un particolare tipo di causa contro un presidente (o ex presidente) possa essere trattata, un tribunale “deve bilanciare il peso costituzionale dell’interesse da tutelare con i pericoli di intrusione nell’autorità e nelle funzioni del potere esecutivo”. La Corte ha spiegato che, “[quando] l’azione giudiziaria è necessaria per servire interessi pubblici ampi – come quando la Corte agisce, non in deroga alla separazione dei poteri, ma per mantenere il loro giusto equilibrio, o per rivendicare l’interesse pubblico ad un procedimento penale in corso – l’esercizio della giurisdizione è stato ritenuto giustificato”.
Sui fatti sottoposti alla Corte, la Corte ha concluso che una “mera causa privata per danni basata su atti ufficiali del Presidente” non serviva tali interessi. La Corte ha argomentato che “la visibilità dell’ufficio [del Presidente] e l’effetto delle sue azioni su innumerevoli persone” lo hanno reso un facile bersaglio per cause civili che “spesso potrebbero distrarlo dai suoi compiti pubblici”. L’interesse pubblico per tali cause civili private, ha concluso la Corte, era comparativamente ridotto. (“[L]’interesse pubblico nelle azioni di risarcimento civile è minore che, ad esempio, nei procedimenti penali”). Pertanto, la Corte ha ritenuto che un ex presidente fosse immune da tali azioni.
Nell’ambito di un procedimento penale federale contro un presidente cessato, il pericolo per il funzionamento dell’esecutivo è tuttavia molto ridotto. Inoltre, come ha riconosciuto ogni membro della Corte Fitzgerald, l’interesse pubblico ad un procedimento penale è molto più importante. Applicando qui il bilanciamento di interessi applicato nel caso Fitzgerald si dovrebbe ottenere il risultato opposto. Invece, la maggioranza elude ogni differenza tra immunità civile e penale, garantendo a Trump la stessa immunità dai procedimenti penali di cui Nixon ha goduto a seguito di una causa per licenziamento illegittimo. Questo è chiaramente sbagliato.
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La maggioranza si affida quasi interamente alla propria visione del pericolo di intrusione nell’esecutivo, escludendo l’altro lato del test comparativo. La sua analisi si basa su una concezione discutibile del Presidente come incapace di affrontare le difficili decisioni che il suo lavoro richiede rimanendo entro i limiti della legge. Ignora anche il fatto che riceve una solida assistenza legale sulla legittimità delle sue azioni.
La maggioranza afferma che il pericolo “di intrusione nell’autorità e nelle funzioni del potere esecutivo” rappresentato da un procedimento penale nei confronti di un ex presidente per condotta tenuta nell’esercizio delle sue funzioni “è simile, anzi maggiore, di ciò che ci ha portato a riconoscere l’assoluta immunità presidenziale” dalla responsabilità per danni civili – che il Presidente si sentirebbe dissuaso dall’intraprendere ‘l’azione coraggiosa e senza esitazione’ richiesta a un esecutivo indipendente”. Naturalmente è importante che il Presidente sia in grado di “affrontare senza paura e in modo imparziale” i doveri del suo ufficio.’” Se ogni azione intrapresa dal Presidente lo espone personalmente a vessatorie controversie private, la possibilità di ostacolare il processo decisionale presidenziale è molto forte. Eppure ci sono molti aspetti della responsabilità penale, che la maggioranza ignora, che rendono meno probabile che essa ostacoli l’azione presidenziale quanto la minaccia di un contenzioso civile.
Innanzitutto, in termini di probabilità, la minaccia di responsabilità penale è molto minore. Nel caso Fitzgerald, la minaccia di vessatorie controversie civili incombeva in misura rilevante. La Corte ha osservato che, data la “visibilità del suo ufficio e l’effetto delle sue azioni su innumerevoli persone, il Presidente sarebbe un bersaglio facilmente identificabile per azioni di risarcimento civile”. Anche se “’l’effetto delle azioni [del Presidente] su innumerevoli persone potrebbe comportare un numero incalcolabile di querelanti privati che intentano azioni legali per danni sulla base di un numero qualsiasi di atti presidenziali” nel contesto civile, il rischio in un contesto penale è “solo che un ex presidente affronti un procedimento giudiziario federale, davanti a una sola autorità giudiziaria, per ogni reato presumibilmente commesso mentre era in carica”. La semplice affermazione della maggioranza secondo cui il peso dell’esposizione a un procedimento penale federale è più limitativa per un presidente rispetto all’onere dell’esposizione a cause civili non la rende vera, e non è convincente.
In secondo luogo, i procedimenti penali federali richiedono “solide garanzie procedurali” che non si trovano nelle cause civili. Il sistema di giustizia penale dispone di livelli di protezione che “filtrano pretese legali inconsistenti”, mentre il contenzioso civile è privo di “controlli analoghi”. Per cominciare, le linee di azione del Dipartimento di Giustizia richiedono un’imputazione penale scrupolosa e imparziale, fondata sia sui fatti che sulla legge. Il grand jury fornisce un ulteriore controllo sui procedimenti penali, agendo da “cuscinetto o arbitro tra il governo e il popolo”, per garantire che le accuse siano fondate. “[Un] procedimento penale non può essere avviato senza un’attenta considerazione da parte di un grand jury su richiesta di un pubblico ministero; lo stesso controllo non è presente rispetto all’avvio di cause civili nelle quali gli attori non sono soggetti ad alcuna realistica responsabilità”).
Se l’accusa riesce a superare il gran jury, allora l’ex presidente avrà ancora tutte le protezioni che il nostro sistema fornisce agli imputati penali. Se l’ex presidente sostiene che una particolare legge è incostituzionale se applicata a lui, allora può difendersi dalle accuse per quel motivo. In effetti, è probabile che un ex presidente abbia argomenti legali che non sarebbero disponibili per l’imputato criminale medio. Ad esempio, può fare affidamento su un’esenzione dell’autorità pubblica rispetto a particolari leggi penali, o su un parere difensivo del procuratore generale.
Se il caso arriva comunque al processo, il governo avrà l’onere di provare ogni elemento del presunto crimine oltre ogni ragionevole dubbio davanti a una giuria unanime di concittadini dell’ex presidente. Se il governo riesce a superare anche questo ostacolo significativo, allora l’ex presidente può fare appello contro la sua condanna, e la revisione in appello delle sue affermazioni sarà “particolarmente meticolosa”. Al termine può chiedere la revisione di questa Corte e, se i precedenti (incluso questo caso) costituiscono un indice rilevante, la riceverà.
Alla luce di queste considerevoli protezioni, il timore della maggioranza che “mere accuse in malafede” esporrebbero gli ex presidenti a processo e condanna è infondato. Le mere accuse in malafede non riuscirebbero a uscire dal cancello di partenza. Anche se un’azione civile privata può essere intentata sulla base di poco più che “sentimenti intensi”, un procedimento penale federale è fatto di materiali più solidi. Certamente ci sono stati, in alcune occasioni, grandi sentimenti di animosità tra i presidenti entranti e uscenti nel corso della storia del nostro Paese. Eppure ci sono volute accuse gravi come quelle al centro di questo caso per avere il primo procedimento penale federale contro un ex presidente. Questa moderazione è significativa.
In terzo luogo, in forza delle interpretazioni di lunga data fornite dal potere esecutivo, ogni presidente in carica finora si è ritenuto minacciato di responsabilità penale dopo il suo mandato e tuttavia ha adempiuto coraggiosamente ai doveri del suo ufficio. La maggioranza insiste sul fatto che la minaccia di sanzioni penali “ha maggiori probabilità di distorcere il processo decisionale presidenziale rispetto al potenziale pagamento di danni civili”. Se così è, allora quella distorsione ha condizionato il processo decisionale presidenziale fin dagli albori della Repubblica. Sebbene sia logico evitare la “deviazione dell’attenzione del presidente durante il processo decisionale” con “inutili preoccupazioni”, ci si chiede perché esigere una piccola quantità della sua attenzione (o dell’attenzione dei suoi consulenti legali) per conformarsi alla legge penale federale sia un onere così grande. Se il Presidente segue la legge che deve “aver cura” di eseguire, non è stato reso “‘eccessivamente cauto’”. Dopotutto è necessaria una certa cautela. Il pericolo è molto maggiore se il presidente si sente autorizzato a violare la legge penale federale, sostenuto dalla consapevolezza di una futura immunità. Sono profondamente turbata dall’idea, insita nell’opinione della maggioranza, che la nostra Nazione perda qualcosa di prezioso quando il Presidente è costretto ad operare entro i confini del diritto penale federale.
Allora, di quale dissuasione si preoccupa la maggioranza quando esprime grande preoccupazione per l’effetto “deterrente” che “la minaccia di processo, giudizio e reclusione” comporterebbe? Non può trattarsi di dissuasione da atti realmente criminali. Né ha senso che la maggioranza si preoccupi della possibilità che i presidenti si fermino a riflettere attentamente prima di intraprendere un’azione che rasenta il crimine. Invece, la principale preoccupazione della maggioranza potrebbe essere che i presidenti siano dissuasi dall’intraprendere le azioni necessarie e legittime per il timore che i loro successori possano inchiodarli con un procedimento penale infondato – un procedimento che sarebbe quasi certamente destinato a fallire, anche riuscisse a uscire dal cancello di partenza. La Corte non dovrebbe avere così poca fiducia nei Presidenti di questa Nazione. Come questa Corte ha già affermato nell’ambito del procedimento penale, “la possibilità che di tanto in tanto si possa trovare qualche anima timida che si faccia condizionare dalle sue paure e ceda alla loro forza inibitoria è troppo remota e oscura per modellare il corso della giustizia.’” La preoccupazione che innumerevoli (e infondate) cause civili ostacolerebbero l’Esecutivo potrebbe essere stata giustificata nel caso Fitzgerald, ma un procedimento penale federale ben fondato non pone alcun pericolo paragonabile al funzionamento dell’Esecutivo.
2
Allo stesso tempo, l’interesse pubblico in un procedimento penale federale contro un ex presidente è di gran lunga maggiore dell’interesse pubblico in una causa civile di un privato. Tutti e nove i giudici del caso Fitzgerald hanno riconosciuto esplicitamente tale distinzione. La maggioranza dei cinque giudici ha notato che c’è un maggiore interesse pubblico “nei procedimenti penali” che nelle “azioni per danni civili”. Il convergente giudizio del Presidente della Corte Suprema Burger ha quindi sottolineato che l’immunità ritenuta dalla maggioranza era “limitata alle richieste di risarcimento dei danni civili”, piuttosto che al “procedimento penale”. I quattro giudici dissenzienti hanno convenuto che “una tesi secondo cui il Presidente è immune da procedimenti penali nei tribunali”, se mai fatta, non sarebbe “sostenibile”. Per lo meno, la Corte Fitzgerald non si aspettava che il suo test comparativo avrebbe portato allo stesso risultato nel contesto penale.
L’interesse del pubblico nei confronti dell’azione penale è trasparente: lo stesso procuratore federale agisce per conto degli Stati Uniti. Anche la maggioranza riconosce che “le leggi penali federali cercano di riparare ‘un torto al pubblico’ nel suo complesso, non solo ‘un torto all’individuo’”, di modo che vi è “un preminente ‘interesse pubblico a un’applicazione della legge giusta ed efficace’”. In effetti, “il nostro impegno storico per lo stato di diritto” non è “in nessun luogo più profondamente manifesto che nell’idea che ‘la colpa non deve sfuggire né l’innocenza soffrire’” (citando Berger v. United States).
L’interesse pubblico all’azione penale è particolarmente forte nei confronti dei funzionari a cui è concesso un certo grado di immunità civile a causa delle loro funzioni. È là che l’opinione pubblica può constatare che i funzionari che esercitano il potere sotto la pubblica fiducia rimangono sullo stesso piano dei loro concittadini secondo il diritto penale. Si veda, ad esempio, O’Shea v. Littleton, (“[Non] abbiamo mai ritenuto che l’adempimento dei doveri di funzionari giudiziari, legislativi o esecutivi, richieda o contempli l’immunizzazione dalle limitazioni comunque penali dei diritti costituzionali”); Dennis v Sparks (“L’immunità giudiziaria non è stata concepita per isolare la magistratura da tutti gli aspetti della responsabilità pubblica. I giudici sono immuni dalle azioni di risarcimento danni, ma sono perseguibili penalmente come gli altri cittadini”); Imbler v. Pachtman (“Sottolineiamo che l’immunità [civile] dei pubblici ministeri… non lascia il pubblico impotente a scoraggiare comportamenti illeciti o a punire ciò che accade. Questa Corte non ha mai ha suggerito che le considerazioni politiche che impongono l’immunità civile per alcuni funzionari governativi li pongono anche al di fuori della portata della legge penale. Anche i giudici, ammantati di assoluta immunità civile per secoli, potrebbero essere puniti penalmente”).
L’interesse pubblico al perseguimento penale federale di un ex presidente accusato di aver utilizzato i poteri del suo ufficio per commettere crimini potrebbe essere ancora maggiore. “[Il presidente . . . rappresenta tutti gli elettori della Nazione”, e i suoi poteri sono conferiti dal popolo ai sensi della nostra Costituzione. Quando i presidenti usano i poteri del loro ufficio per guadagno personale o come parte di un piano criminale, ogni persona nel paese ha interesse a tale procedimento penale. La maggioranza trascura completamente questo interesse supremo.
Infine, la questione dell’immunità penale federale per un ex presidente “implica una considerazione compensativa dell’Articolo II assente in Fitzgerald”: riconoscere una tale immunità “frustrerebbe l’applicazione della legge penale da parte del potere esecutivo”. Al Presidente sono, ovviamente, affidate “responsabilità politiche e di supervisione della massima discrezione e sensibilità”. Uno dei più importanti è “l’applicazione della legge federale”, poiché “è il Presidente che è incaricato costituzionalmente di ‘prendersi cura che le leggi siano fedelmente eseguite’. La maggioranza sembra ritenere che consentire agli ex presidenti di sottrarsi alle responsabilità per aver infranto la legge, impedendo al contempo all’attuale esecutivo di perseguire tali violazioni, rispetti in qualche modo l’indipendenza dell’esecutivo. Non è così. Piuttosto, diminuisce tale indipendenza, esaltando gli occupanti dell’ufficio rispetto all’ufficio stesso. C’è una perversa ironia nel dire, come fa la maggioranza, che la persona incaricata di “prendersi cura che le leggi siano fedelmente eseguite” può infrangerle impunemente.
Nel caso in esame, l’interesse pubblico e l’interesse contrapposto dell’Articolo II sono particolarmente evidenti. L’interesse pubblico in questo procedimento penale implica sia “l’interesse dell’esecutivo a sostenere le elezioni presidenziali e conferire potere a un nuovo presidente ai sensi della Costituzione”, sia “l’interesse degli elettori a scegliere democraticamente il proprio Presidente.” Naturalmente, ciò implica anche l’interesse del Congresso a regolamentare la condotta attraverso il diritto penale. Eppure la maggioranza ritiene che l’ansia di un Presidente per l’azione penale prevale sull’interesse del pubblico alla responsabilità e nega gli interessi degli altri rami nello svolgimento delle funzioni loro costituzionalmente assegnate. La posizione della maggioranza, infatti, “si riduce a ignorare la separazione dei poteri prevista dalla Costituzione”.
C
Infine, nel tentativo di mettere una certa distanza tra la sua immunità per gli atti ufficiali e l’immunità richiesta da Trump, la maggioranza insiste sul fatto che “Trump afferma un’immunità molto più ampia di quella limitata [che la maggioranza ha] riconosciuto”. Semmai è vero il contrario. L’unica parte dell’argomentazione di Trump sull’immunità che la maggioranza respinge è l’idea che “la Impeachment Judgment Clause richiede che l’impeachment e la condanna del Senato precedano il procedimento penale di un presidente”. Questa argomentazione è ovviamente sbagliata. Rifiutarla, tuttavia, non rende l’immunità della maggioranza più ristretta di quella di Trump. Inerente all’argomentazione di Trump sull’Impeachment Judgment Clause è l’idea che un ex presidente che è stato messo sotto accusa alla Camera e condannato al Senato per crimini riguardanti i suoi atti ufficiali potrebbe poi essere perseguito in tribunale per tali atti (“I Fondatori hanno quindi adottato un approccio attentamente equilibrato che consente il perseguimento penale di un ex presidente per i suoi atti ufficiali, ma solo se quel presidente viene prima messo sotto accusa dalla Camera e condannato dal Senato”). Vanificando quel percorso verso il superamento dell’immunità, per quanto insensato possa essere, la maggioranza arriva a un’immunità per gli atti ufficiali ancora più espansiva di quella sostenuta da Trump. Secondo il punto di vista della maggioranza (ma non di Trump), un ex presidente il cui abuso di potere è stato così eclatante e così offensivo anche per i membri del suo stesso partito da essere stato messo sotto accusa alla Camera e condannato al Senato avrebbe comunque diritto a “immunità penale, almeno “presunta”, per tali atti.
V
Indipendentemente dall’immunità per gli atti ufficiali, la maggioranza riconosce l’immunità assoluta per ogni “condotta all’interno della sfera esclusiva dell’autorità costituzionale [del Presidente]”. Sentitevi liberi di saltare quelle pagine dell’opinione della maggioranza. Con un’ampia immunità per gli atti ufficiali che copre il campo, questa immunità apparentemente più ristretta ha scarsa utilità. Come che sia, questo caso semplicemente non riguarda la condotta all’interno della “sfera esclusiva dell’autorità costituzionale” del Presidente, e il tentativo della maggioranza di applicare un’immunità di base di propria creazione espande il concetto di “poteri costituzionali fondamentali” oltre ogni limite riconoscibile.
L’idea di un’immunità di base ristretta potrebbe avere un certo fascino intuitivo, in un caso che effettivamente presentasse il problema. Se il potere del Presidente è “conclusivo e preclusivo” su un dato argomento, allora il Congresso non dovrebbe essere in grado di “agire sull’argomento” (Youngstown Sheet & Tube Co. v Sawyer). Nel suo intervento adesivo nel caso Youngstown, il giudice Robert Jackson ha ipotizzato che il “potere di rimozione del presidente negli organi esecutivi” sembrava rientrare in questa ristretta categoria. Altre decisioni di questa Corte indicano che anche il potere di grazia rientra in questa categoria, si veda Stati Uniti v. Klein (“Solo all’esecutivo è affidato il potere di grazia; ed è concesso senza limiti”), così come il potere di riconoscere paesi stranieri, vedi Zivotofsky v. Kerry (ritenendo che il Presidente abbia “potere esclusivo… di controllare le decisioni di riconoscimento”).
In questo caso, tuttavia, la questione se un ex presidente goda di una ristretta immunità per “l’esercizio dei suoi principali poteri costituzionali”, non è mai stata in discussione, e per una buona ragione: Trump non è stato incriminato penalmente per avere intrapreso azioni che la Costituzione colloca nel nucleo insindacabile del potere esecutivo. Non è stato accusato, ad esempio, di aver esercitato illegalmente il potere di grazia, il potere di veto, il potere di nomina o addirittura il potere di rimozione della Presidenza. Invece, Trump era accusato di cospirazione per commettere frode volta a sovvertire le elezioni presidenziali. È vero che il capo di imputazione dettagliato in questo caso sostiene che Trump ha minacciato di rimuovere un sostituto procuratore generale che non avrebbe portato avanti il suo piano. Tuttavia è altrettanto chiaro che il Governo non cerca di “imporre una responsabilità penale al Presidente per aver esercitato o parlato di esercizio del potere di nomina e di rimozione”. Se questa fosse stata la preoccupazione della maggioranza, avrebbe potuto semplicemente dire che il Governo non può imputare la minaccia di utilizzo del potere di rimozione da parte di un Presidente come atto palese di cospirazione. Dice molto di più.
L’immunità di base creata dalla maggioranza si estenderà a un’area di condotta considerevolmente più ampia rispetto al ristretto nucleo di poteri “conclusivi e preclusivi” che la Corte ha precedentemente riconosciuto. La prima indicazione arriva quando la maggioranza include l’ampio dovere del Presidente di “prendersi cura che le leggi siano fedelmente eseguite” tra le funzioni fondamentali per le quali un ex Presidente gode presumibilmente di assoluta immunità. Questa visione espansiva del nucleo dei poteri renderà concretamente insensibili all’azione penale tutte le categorie di condotte non riconducibili a tale nucleo. Se ci fossero dubbi, si consideri come la maggioranza applica la sua nuova immunità di base alle accuse in questo caso.
Si conclude che “Trump è… assolutamente immune da procedimenti giudiziari per qualsiasi “condotta che coinvolga le sue discussioni con i funzionari del Dipartimento di Giustizia”. Questa concezione dell’immunità di base espande la categoria “conclusiva e preclusiva” oltre ogni possibilità di definizione, precludendo la possibilità di essere perseguiti per ampie porzioni di condotta. Secondo questa visione dei poteri fondamentali, anche la fabbricazione di prove e l’insistenza sul fatto che il Dipartimento le utilizzi in un procedimento penale potrebbe essere coperta. La concezione della maggioranza dell’immunità “di base” ha una portata molto più ampia di quanto la sua logica, presa in prestito da Youngstown, dovrebbe consentire.
La maggioranza cerca di mitigare ogni preoccupazione circa l’immunità di base così ridefinita suggerendo che il Governo è d’accordo con essa. Questo argomento sorprenderà il Governo. Dire, come ha detto il Governo, che un “piccolo nucleo di atti ufficiali esclusivi” come “il potere di grazia, il potere di riconoscere nazioni straniere, il potere di veto sulla legislazione, [e] il potere di nomina” non possa essere regolamentato dal Congresso, non giustifica l’illazione che il governo sia d’accordo con l’immunità per qualsiasi condotta plausibilmente correlata all’ampia gamma di poteri apparentemente “fondamentali” della maggioranza. Il Governo, infatti, ha consigliato a questa Corte di “non affrontare [le] domande potenzialmente più complesse” sulla portata di qualunque immunità “che potrebbero porsi in relazione a fatti diversi su cui pronunciarsi, se mai si presentassero”. Avrebbe avuto senso. L’accusa qui non pone alcuna minaccia di criminalizzare in modo inammissibile atti rientranti nell’autorità “conclusiva e preclusiva” del Presidente. Forse per questo motivo, anche Trump ha scoraggiato la considerazione di “una portata più ristretta dell’immunità”, sostenendo che tale immunità “sarebbe quasi impossibile da forgiare, e comporterebbe certamente problemi insolubili di delimitazione in ogni ipotesi”.
Quando è costretta a districarsi in spinose controversie sulla separazione dei poteri, la pratica abituale di questa Corte è quella di “limitare l’opinione solo alle questioni strettamente necessarie alla decisione del caso”. C’è un grande pericolo e poca utilità nel creare una dottrina fondamentale dell’immunità che Trump non ha cercato e che giustamente non ha applicazione in questo caso.
VI
Non contenta semplicemente di inventare un’immunità penale espansiva per gli ex presidenti, la maggioranza fa un passo ulteriore, impressionante e senza precedenti. Dice che gli atti per i quali il Presidente è immune non possono essere nemmeno inclusi tra gli atti utilizzabili per crimini di natura privata commessi durante il suo mandato. Non devono svolgere alcun ruolo nei procedimenti relativi a condotte di natura privata.
Anche se la ricostruzione dell’immunità proposta dalla maggioranza ammette che gli atti non ufficiali siano perseguibili penalmente, il suo approccio draconiano alle prove ricavabili da atti ufficiali priva queste accuse di qualsiasi efficacia. Se l’ex presidente non può essere ritenuto penalmente responsabile per i suoi atti ufficiali, tali atti dovrebbero comunque essere utilizzabili per dimostrare la consapevolezza o l’intenzione in procedimenti penali per atti non ufficiali. La maggioranza, ad esempio, fatica a stabilire se il discorso di un presidente avvenga in qualità di presidente (atto ufficiale) o in qualità di candidato (atto non ufficiale). Immaginate che un presidente affermi in un discorso ufficiale che intende impedire a un rivale politico di approvare una legislazione a cui si oppone, qualunque cosa serva per farlo (atto ufficiale). Quindi assume un sicario privato per uccidere quel rivale politico (atto non ufficiale). Secondo il governo della maggioranza, l’accusa di omicidio non poteva includere alcuna allegazione della pubblica ammissione da parte del presidente dell’intento premeditato di concorrere nella volontà criminosa dell’esecutore. Questo è un risultato a dir poco strano.
La regola straordinaria della maggioranza non ha alcun fondamento giuridico. Consideriamo il contesto del Primo Emendamento. Sebbene il Primo Emendamento proibisca di criminalizzare la maggior parte dei discorsi, “non proibisce l’uso probatorio del discorso”, incluso il suo uso “per dimostrare motivazioni o intenzioni”. Le regole probatorie e le istruzioni limitative possono garantire che le prove relative ad atti ufficiali siano “considerate solo per lo scopo appropriato per il quale sono state ammesse”. La maggioranza non spiega in modo coerente perché queste tutele, sufficienti in ogni altro contesto, qui sarebbero insufficienti. Afferma semplicemente che sarebbe “insostenibile” e priverebbe l’immunità del suo “effetto voluto”. La maggioranza azzarda una spiegazione secondo cui l’uso di prove derivanti da atti ufficiali “aumenterebbe il rischio che le deliberazioni dei giurati siano pregiudicate dalle loro opinioni sulle politiche e sui risultati del Presidente durante il suo mandato”. Quel “rischio unico”, però, non è il prodotto dell’introduzione di prove basate su atti ufficiali. È semplicemente il rischio implicito in qualsiasi causa contro un ex presidente, comprese le azioni penali per atti privati che la maggioranza dice che consentirebbe.
VII
La decisione odierna di garantire l’immunità agli ex presidenti per i loro atti ufficiali è profondamente sbagliata. Per quanto preoccupante sia teoricamente questa dottrina sull’immunità penale, l’applicazione della dottrina che ne fa la maggioranza a questa fattispecie penale è forse ancora più preoccupante. Nelle mani della maggioranza, questa nuova immunità dagli atti ufficiali funziona come un meccanismo a senso unico.
In primo luogo, la maggioranza dichiara che l’intera condotta che coinvolge il Dipartimento di Giustizia e il Vicepresidente è una condotta ufficiale, ma si rifiuta di designare una qualsiasi condotta allegata nell’atto di accusa come privata, nonostante le concessioni del collegio difensivo di Trump. Il collegio di Trump ha ammesso, ad esempio, che l’accusa secondo cui Trump “si è rivolto a un avvocato privato disposto a diffondere consapevolmente false accuse di frode elettorale per sostenere le sue sfide ai risultati elettorali” “sembra privata”. Allo stesso modo ha ammesso che l’accusa secondo cui Trump “ha cospirato con un altro avvocato privato in modo da presentare in tribunale una richiesta di verifica firmata da [Trump] che conteneva false accuse a sostegno di un’impugnazione” “sembra privata” (l’avvocato di Trump spiega che non è “contestato” che tale condotta sia “non ufficiale”). Ancora una volta, alla domanda sulle accuse secondo cui “tre attori privati. . . hanno contribuito a implementare un piano per presentare liste fraudolente di elettori presidenziali per ostacolare il procedimento di certificazione, e [Trump] e un avvocato co-cospiratore hanno diretto tale sforzo”, l’avvocato di Trump ha ammesso che la presunta condotta era “privata”. Solo la maggioranza pensa che l’organizzazione di liste elettorali fraudolente potrebbe qualificarsi come un atto ufficiale del Presidente, o almeno un atto così “interrelato” con altri presunti atti ufficiali da poter meritare protezione. Se la concezione ampia che la maggioranza ha degli “atti ufficiali” ha dei limiti reali, la maggioranza non è disposta a rivelarli nella decisione di oggi.
In secondo luogo, la maggioranza dichiara immuni alcuni comportamenti, rifiutandosi di riconoscere qualsiasi cosa come perseguibile. Protegge con l’immunità ampie porzioni di condotta che coinvolgono il Dipartimento di Giustizia; ma non cede di un centimetro nella direzione opposta. La maggioranza ammette che la responsabilità del Vice Presidente “di presiedere il Senato” “non è una funzione di “ramo esecutivo”” e ammette inoltre che il Presidente “non svolge alcun ruolo costituzionale o statutario diretto” nel conteggio dei voti elettorali. Eppure, la maggioranza si rifiuta di concludere che Trump non abbia l’immunità per i suoi presunti tentativi di “arruolare il vicepresidente per utilizzare il suo ruolo formale nel procedimento di certificazione del 6 gennaio per alterare fraudolentemente i risultati elettorali”.
Teme invece che un procedimento giudiziario per questa condotta possa rendere più difficile per il Presidente utilizzare il Vice Presidente “per portare avanti la [sua] agenda al Congresso”. Un simile procedimento, secondo la maggioranza, “potrebbe ostacolare la capacità del presidente di esercitare le sue funzioni costituzionali”. Se un procedimento giudiziario per questa condotta meriti l’immunità avrebbe dovuto essere una domanda facile, ma la maggioranza la rende opinabile. Sorprendentemente, la maggioranza si spinge oltre e rifiuta di negare l’immunità anche per le accuse secondo cui Trump avrebbe organizzato liste elettorali fraudolente, esercitato pressioni sugli Stati affinché sovvertissero i legittimi risultati elettorali e sfruttato la violenza in Campidoglio per influenzare le procedure di certificazione. Non è concepibile che un procedimento giudiziario per questi presunti tentativi di ribaltare un’elezione presidenziale, siano essi etichettati come ufficiali o non ufficiali secondo il test della maggioranza, possa porre “pericoli di intrusione nell’autorità e nelle funzioni del ramo esecutivo”, e la maggioranza avrebbe potuto dirlo. Persevera invece su un problema di limite che dovrebbe essere irrilevante.
Guardando al di là del destino di questa particolare accusa, le conseguenze a lungo termine della decisione odierna sono gravi. La Corte crea di fatto una zona libera dalla legge attorno al Presidente, sconvolgendo lo status quo esistente sin dalla Fondazione. Questa nuova immunità dagli atti ufficiali ora “è pronta come un’arma carica” per qualsiasi presidente che desideri anteporre i propri interessi, la propria sopravvivenza politica o il proprio guadagno finanziario, al di sopra degli interessi della nazione. Il Presidente degli Stati Uniti è la persona più potente del Paese, e forse del mondo. Quando utilizzerà i suoi poteri in qualsiasi modo, secondo il ragionamento della maggioranza, sarà sottratto a responsabilità penale. Ordina al Seal Team 6 della Marina di assassinare un rivale politico? Immune. Organizza un colpo di stato militare per mantenere il potere? Immune. Accetta una tangente in cambio della grazia? Immune. Immune, immune, immune.
Lasciamo che il Presidente violi la legge, lasciamo che sfrutti gli artifizi offerti dal suo ufficio per guadagno personale, lasciamo che usi il suo potere ufficiale per fini malvagi. Perché, se sapesse che un giorno potrebbe essere chiamato a rispondere per aver infranto la legge, potrebbe non essere così audace e impavido come vorremmo che fosse. Oggi, questo è il messaggio della maggioranza.
Anche se questi scenari da incubo non si realizzassero mai, e prego che non accada mai, il danno è stato fatto. Il rapporto tra il Presidente e le persone che serve è cambiato irrevocabilmente. In ogni uso del potere, il Presidente è ora un re al di sopra della legge.

La fissazione risoluta della maggioranza sul bisogno di audacia e rapidità del Presidente ignora il bisogno compensativo di responsabilità e moderazione. I Costituenti non erano così risoluti. Nei Federalist Papers, dopo aver “cercato di dimostrare” che l’Esecutivo disegnato dalla Costituzione “combina . . . tutti i requisiti per l’energia”, Alexander Hamilton ha posto una domanda separata, altrettanto importante: “Combina anche i requisiti per la sicurezza, in senso repubblicano, una dovuta dipendenza dal popolo, una dovuta responsabilità?”. La risposta allora è stata sì, basata in parte sulla assoggettabilità del presidente ai “procedimenti secondo la legge comune”. La risposta dopo oggi è no.
Mai nella storia della nostra Repubblica un Presidente ha avuto motivo di credere che sarebbe stato immune da procedimenti penali se avesse usato gli artifici del suo ufficio per violare la legge penale. Andando avanti, tuttavia, tutti gli ex presidenti saranno protetti da tale immunità. Se l’occupante di quella carica abusa del potere per guadagno personale, la legge penale che il resto di noi deve rispettare non fornirà un sostegno.
Temendo per la nostra democrazia, dissento.