Entrando in “Casa Don Diana”, immobile confiscato alla camorra, in cui il 25 aprile 2006 (a Casal di Principe) simbolicamente si è insediato il Comitato don Peppe Diana, con lo scopo di non dimenticare il martirio di un sacerdote morto per amore del suo popolo, in nome della legalità e per la lotta alla malavita, si è pervasi da un sentimento di consapevole orgoglio di essere dalla parte giusta: dalla parte di quelli che hanno scelto, oggi come ieri, con motivazioni forse diverse ma in nome della stessa causa, di salvaguardare e difendere la persona umana. È proprio in questa sede che l’Anpi di Caserta, dovendo ospitare la Presidente nazionale dell’Associazione Carla Nespolo, ha creduto giusto chiamare a raccolta quel popolo di donne e uomini, appartenenti a varie sigle e associazioni, così come tanta gente comune, che tutt’insieme rappresentano l’espressione più pura e consapevole della nuova Resistenza.
Antifascismo e legalità qui sono le facce diverse di una stessa medaglia. “Esisto e resisto” il nome dell’iniziativa; il Coordinamento provinciale antifascista, antirazzista, antidiscriminazioni fa da raccordo tra le varie sigle, l’Anpi è capofila. E fin qui tutto è più o meno logico e razionale. Difficilmente spiegabile con le parole è invece il silenzio di quel luogo, pur tanto affollato. Protagonisti sono gli sguardi, quelli attaccati sui muri di Casa Don Diana, sguardi che rappresentano 156 delle innumerevoli vittime innocenti della camorra: c’è lo sguardo di Simonetta Lamberti (10 anni) e quello di Pasquale Russo (82), di Annalisa Durante (14), di Kuame Antwi (31) e Petru Birlanduanu (33), e di Giancarlo Siani (26), sguardi di persone più meno note, persone diverse tra loro, di nazionalità diversa, di diversa appartenenza sociale e culturale, sguardi di uomini e di donne, com’era per la Resistenza, sguardi di volti sorridenti che non lo sono più, perché non esistono più. Eppure accanto a questi sguardi scopriamo gli sguardi della speranza, delle persone di oggi, quelle persone che non accettano il corso delle cose, che non si rassegnano, gli sguardi dei nuovi combattenti, pronti a sacrificare se stessi in nome di un mondo migliore. Ci sembra di sentire e rivivere le ragioni che portarono i partigiani a combattere per la Liberazione dal nazi-fascismo. Tanti sono infatti i punti d’incontro.
Innanzitutto la democrazia e la Costituzione, che certo rappresentano il comun denominatore tra legalità e memoria. E ancora, il bisogno di protagonismo del Mezzogiorno, perché nella Resistenza di ieri, come in quella di oggi, non venga visto da comprimario ma da assoluto protagonista, nella consapevolezza che la memoria di ieri aiuta a capire meglio le cose di oggi. E ancora, quell’impegno civile a sostegno di chi è solo e disagiato, verso chi ha bisogno d’aiuto, sulle montagne di ieri come nelle periferie di oggi. Non sono forse queste forme autentiche di Resistenza? E ancora, l’incontro tra idee politiche, culturali e religiose diverse, in nome della causa comune, non è il messaggio unitario più importante della Resistenza? E il tentativo di eliminare gli autori di questo incontro non è fascismo, oggi come ieri? Lo svilimento delle Istituzioni e la loro delegittimazione, non è fascismo? E la mistificazione della verità, così come chi vuole negare, impedire la crescita culturale e l’emancipazione, non è fascismo? L’indifferenza, l’ignavia, la sordità delle masse, non sono i nemici di ieri e quelli di oggi? Battersi per un futuro migliore dei giovani, per l’accoglienza dei migranti, contro il razzismo e lo sfruttamento, non è “esistere e resistere”? Insomma, battersi contro le diseguaglianze, la discriminazione, contro la sopraffazione e per la libertà sono valori che accomunano i combattenti di oggi e quelli di ieri in ogni tempo, in ogni luogo. Senza clamore, come fa notare un giovane, battersi perché è giusto che sia così, «non facciamo niente di speciale, che fare altrimenti?» dice, come un tempo dicevano i partigiani e le partigiane, che senza eroismo si sono battuti, semplicemente perché era la cosa giusta da fare, senza chiedere niente, protesi piuttosto a dare. Forse anche un po’ per non sentirsi soli, perché proprio stando uniti si è più forti.
Giungiamo così alla conclusione che si è partigiani semplicemente perché si combatte per una cosa giusta, in nome della gioia e della speranza, per l’oggi e perché i ricordi non si affievoliscano. A proposito di ricordi, per non dimenticare la missione originaria dell’Anpi, andando via da Casa Don Diana, era doveroso passare da uno dei luoghi simbolo delle tante stragi compiute nel Mezzogiorno d’Italia dai nazifascisti. Facciamo tappa a Caiazzo. Luogo in cui, la sera del 13 ottobre del 1943, un manipolo di soldati tedeschi che occupavano una casa utilizzata come posto di comando sul Monte Carmignano, un colle che domina la valle del Volturno, uccisero gli abitanti di un casolare, che si erano rifugiati per sfuggire ai bombardamenti. Furono annientati due interi nuclei familiari: quattro uomini, sette donne e undici bambini. Le vittime erano dei civili inermi, sospettati di aver lanciato segnali luminosi agli Alleati. I tedeschi li massacrarono con raffiche di mitra per poi straziarne i corpi. Una di quelle stragi dimenticate, il cui fascicolo fu archiviato in un armadio di Palazzo Cesi Gaddi, a Roma, sede della Procura Generale Militare, tristemente noto come “Armadio della vergogna”. E anche qui ritornano, oggi come ieri, il mutismo e l’indifferenza che uniscono i fascismi di ieri e quelli di oggi. Per altro, questo di Caiazzo non è un caso isolato. Va detto che la seconda provincia d’Italia in fatto di violenze nazifasciste è proprio Caserta, con 156 episodi, in cui sono coinvolte 506 vittime, di cui 470 uccise, e subito dopo Arezzo è la provincia più colpita in assoluto e prima di Firenze (luoghi dove la Resistenza è ricordata come più attiva). Al quarto posto poi c’è Napoli. Proprio Napoli è la città più bombardata della seconda guerra mondiale, seguita da Messina; quasi più del doppio delle città del Nord. Napoli inoltre è stata la prima città d’Europa a insorgere e a liberarsi dai nazifascisti. È la dimostrazione palese che il Sud ha lottato e pagato un prezzo ugualmente alto per la Liberazione del Paese.
Simbolicamente è proprio a Caiazzo che s’incontrano la Resistenza di ieri e quella di oggi. Poi, infatti, prendiamo la strada di Scampia, altro luogo simbolo della lotta contro la criminalità, la rassegnazione, l’omertà, il degrado, la mortificazione della persona umana. Contro le paure della società di oggi, in nome dell’antifascismo e dei valori da esso rappresentati. E proprio qui, ancora una volta, protagonista è l’Anpi nel fungere da raccordo tra il passato e il presente, a dimostrazione del fatto che dalle ceneri può sempre rinascere una speranza, e ancora una volta attraverso la Resistenza di oggi. Proprio in questo luogo tristemente noto per i fatti di cronaca nera, si costituisce infatti una nostra sezione, a cura dell’Anpi di Napoli e di quelli che sono voluti restare, che non sono scappati di fronte alle difficoltà e a quel senso d’impotenza che alle volte prende il sopravvento. Ancora una volta, come fecero i partigiani. Nasce la sezione Anpi di Scampia presso un altro luogo simbolo della nuova Resistenza: la sede della Casa editrice dei “Pizzini della legalità”, quella casa editrice che – sorta a Trapani a cura di Salvatore Coppola, e famosa per il costante impegno antimafia, dopo esser stata costretta a chiudere – approda a Scampia per volontà di Rosario Esposito La Rossa, giovane scrittore di Scampia, simboleggiando, ancora una volta, l’incontro tra l’antifascismo di ieri e quello di oggi nell’abbraccio immaginario più significativo, quello in nome della cultura e della libertà di espressione. I pizzini, infatti – cioè i pezzi di carta trovati nel covo dove si nascondeva Bernardo Provenzano e che fecero il giro del mondo perché sinonimo di mafia, richieste di pizzo, di omicidi – diventano prodotti editoriali con l’obiettivo primario di raccontare storie di legalità, cui contribuiscono i principali autori italiani. Rosario Esposito La Rossa (che dapprima fonda l’associazione “Voci di Scampia”, in memoria di suo cugino, Antonio Landieri, ucciso per errore dai killer della cosiddetta faida di Secondigliano) diventa infatti Presidente della locale sezione Anpi.
È in questo contesto che la Presidente nazionale dell’Anpi, Carla Nespolo, e il sottoscritto si rendono conto di come, in certi casi, diventi più importante ascoltare piuttosto che parlare! Da una madre di una vittima innocente della camorra ci viene detto che «si è al paradosso di non voler più ricordare se si vuole vivere, se si vuole continuare a vivere, altrimenti ogni giorno si dovrebbe ricordare una vittima della malavita, ogni santo giorno dell’anno». E ancora una volta, attraverso questo paradosso della speranza, c’è il ricordo dei partigiani, di coloro i quali non volevano ricordare, perché tutto troppo difficile da comprendere e far comprendere.
Alla fine di tutto, è ancora il silenzio che ci colpisce, il silenzio di tutte le persone incontrate, di ogni età, di tutti i colori, di giovani, di donne, già, di donne, che ci hanno accompagnato da subito nell’iniziativa a cura dell’Anpi di Salerno, il primo giorno del nostro viaggio in Campania, ricordando le 21 donne costituenti, il loro coraggio, la loro perseveranza, insieme alle donne (ragazze) di oggi che cercano d’imporsi e al contempo di difendersi. E ci colpisce il silenzio di Graziella, una donna costretta su una sedia a rotelle, che ha voluto esserci a tutti i costi perché crede nella forza morale dell’Anpi e per raccontare la strage nazifascista di Conca della Campania in cui venne ucciso suo padre. E ci colpisce il silenzio di una mamma, che culla il suo bambino durante tutta l’iniziativa, che ha scelto di coniugare l’essere madre all’essere partecipe alle dinamiche sociali del suo territorio, di non arrendersi.
E ci colpisce il silenzio di quel pizzino del piccolo Francesco che dopo l’uccisione di Don Diana scrive: “quei camorristi sono esseri umani ma non sono figli di Dio. La violenza non serve a niente, perché uccide solo. C’è una cosa sola a fermarli: la pace”. E ci colpisce il silenzio di Caterina, originaria di Siracusa, che ha fatto l’università a Trento e ha scelto di stare in questi luoghi per dare il proprio aiuto, la quale ci dice: «è grazie alla Resistenza che mi sento italiana». E ci colpisce il silenzio di Ousmane Konate, 24 anni, originario del Burkina Faso, il quale afferma che «alzarsi al mattino e uscire di casa è già una Resistenza!». È orgoglioso di essere africano, perché caffè e cioccolato lo producono loro, e poi ci dice che vorrebbe solo tornare a sognare, e per questo, per l’occasione ha scelto con cura i colori del suo vestito: il rosso in memoria di chi ha lottato per migliorarci, il nero che rappresenta il momento attuale, il bianco che simboleggia la speranza. E ci colpisce il silenzio di chi cerca di costruire una coscienza comune, ribadendo che in fondo nessuno si è inventato niente, se non la banalità dell’amore per la propria terra, l’amicizia, l’unità, la solidarietà, un sorriso, quelle cose che da soli non possiamo provare, quelle che non si comprano, che non possono essere estorte. E ripensandoci, ci colpisce il silenzio del luogo della strage di Caiazzo e di tutte le stragi di vittime innocenti sacrificate sull’altare delle barbarie.
Questa è la Resistenza, dei partigiani delle cose normali, di chi non vuole rassegnarsi alle ingiustizie, perché tutto quello che è ovvio ovunque, non lo è in certi posti, in certi momenti della storia, in nome del protagonismo di un popolo, che cammina per arrivare a chi non vuol sentire, in silenzio, quel silenzio di cose concrete, che racconta più di mille parole, che sente solo chi ha conosciuto il rumore della guerra, della discriminazione, dell’illegalità, che accomuna quanti hanno il coraggio di parteggiare.
Andando via, con tre mazzi di fiori offerti alla nostra Presidente Nespolo, e tanta cordialità e affetto, è strano sentirsi addosso ancora quegli sguardi inconsapevoli e ricordare le parole di un pizzino: “volti sorridenti, spenti dall’ignavia, continuano a sorridere nei nostri cuori che credono nel rumore del silenzio”, scritto da un dirigente dell’Anpi pensando ai vecchi e ai nuovi partigiani, arrivato qui con la consapevolezza di parlare della Resistenza di ieri e si è trovato a scoprire la Resistenza di oggi.
Vincenzo Calò, responsabile Anpi area Sud e componente del Comitato nazionale Anpi
Pubblicato lunedì 16 Aprile 2018
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