Lucio Caracciolo (Imagoeconomica, Sara Minelli)

Lucio Caracciolo, Limes che – ricordiamo – è anche online, si sta occupando da tempo della vicenda nordcoreana, dei test nucleari di Kim Jong-un e delle tensioni con gli Usa di Trump. E il numero in uscita tornerà su questo tema. La crisi attuale potrebbe sfociare in una guerra?

I venti di guerra soffiano, ma per arrivare a un conflitto vero e proprio c’è ancora molta strada da fare. Però rispetto alle settimane e ai mesi scorsi, quanto accaduto negli ultimi giorni rappresenta un cambiamento e la reciproca retorica fra Trump e Kim Jong-un aumenta il rischio di un conflitto accidentale. Creano forte preoccupazione, per esempio, sia la recentissima minaccia di Pyongyang di abbattere aerei statunitensi anche al di fuori dello spazio aereo nordcoreano, sia la presenza frequente di bombardieri americani a ridosso della frontiera nordcoreana. Già in questo modo si potrebbero verificare incidenti scatenanti di una guerra che in realtà nessuno vuole.

Come si è creata questa situazione?

L’obiettivo di Kim è abbastanza chiaro: vuole che la Corea del Nord sia riconosciuta dagli Stati Uniti e, dunque dal resto del mondo, come una potenza nucleare. Rappresenterebbe una garanzia per il suo potere e la sua vita, un’assicurazione contro ogni eventuale tentativo americano di far fuori il suo regime. Per intenderci, richiamando eventi già accaduti, Kim Jong-un teme di finire come Saddam Hussein o Gheddafi. E Trump vorrebbe evitare che la Corea diventi un Paese nucleare, peccato non si renda conto che la Corea è già un Paese dotato di armi atomiche.

Kim Jong-un

Anche la bomba H?

Non sappiamo quanto potente, ma non c’è dubbio.

Kim Jong-un è amato o temuto in patria?

Non abbiamo elementi per ritenere che non abbia il favore del suo popolo. Anzi, non abbiamo segni contrari.

Trump potrebbe decidere una reazione armata?

Donald Trump dà l’impressione di aderire all’opinione dell’ultimo degli uomini col quale ha parlato, più che avere una visione chiara. E in questo momento è in corso una guerra di potere interna agli Stati Uniti in cui Trump gioca sicuramente un ruolo importante ma non è la figura decisiva. In questa circostanza di forte scontro interno sia la burocrazia, sia tutti gli altri apparati americani si muovono abbastanza per conto loro e questo, soprattutto, impedisce al Paese di presentare una strategia compiuta. Ciò rende l’America molto più imprevedibile di quanto già non fosse nei mesi scorsi.

Donald Trump (Imagoeconomica)

Quindi la possibilità di una guerra è reale…

La possibilità di una guerra è concreta soprattutto per ragioni di politica interna agli Usa. Su vari temi ci sono voci completamente diverse nell’amministrazione Trump. Inoltre va considerato che i poteri del presidente Usa sono in realtà molto limitati. Non è Trump, per esempio, a poter stanziare i fondi per costruire il muro alla frontiera messicana. Oppure basta guardare alla recente vicenda dell’Obamacare: il progetto per abolire la legge sanitaria del suo predecessore è affondata perché non ha i voti in Senato. È una nuova sconfitta. Bisogna prendere sempre con le molle le parole di Trump, perché se pur volesse dar seguito agli intenti, in molti casi non ha i poteri per realizzarli.  Diverso sarebbe in caso di guerra.

Ci spiega meglio?

Il presidente Usa come comandante in capo avrebbe poteri molto superiori a quelli attuali. Ricordiamoci che Trump rischia l’impeachment. Se i repubblicani si rendessero conto che nel 2018 potrebbe far perdere loro le elezioni di mezzo termine, in cui si rinnova buona parte del Parlamento, lo abbandonerebbero. Quindi, anche se in modo del tutto accidentale, gli Stati Uniti si dovessero trovare coinvolti in un conflitto, i poteri di Trump sarebbero molto più rilevanti.

Esiste una via di uscita politica?

Solo se l’America riconoscesse la Corea del Nord come potenza nucleare e nello stesso tempo si trovasse un accordo tra Corea del Nord e Corea del Sud che implicasse una serie di controlli molto severi sul nucleare nordcoreano e sul suo sviluppo. La guerra fredda del 1950-53 servì a tenere sotto controllo l’URSS. Non dimentichiamo che la zona intorno al 38° parallelo è un’area d’interesse anche della Cina e Pechino non si fida degli Usa: teme che in caso di guerra la Corea del Nord subisca una sconfitta e dunque la Corea si riunifichi sotto l’influenza americana. La Cina si ritroverebbe così l’esercito Usa alle frontiere e per una delle prime potenze mondiali non è una prospettiva piacevole. La stessa Corea del Sud inoltre pagherebbe un prezzo altissimo: la Nord Corea sicuramente potrebbe colpire Seul uccidendo decine di migliaia di persone nelle prime ore di guerra. E non va dimenticato il Giappone: Tokyo lavora nell’ombra cercando di ricostituirsi come potenza militare per prepararsi a un futuro confronto con la Cina. I protagonisti sono tanti. Di certo, quell’area del Pacifico è teatro di una corsa al riarmo.

I cittadini americani sarebbero disposti a una guerra, forse addirittura nucleare?

Di sicuro una guerra sarebbe estremamente divisiva dell’opinione pubblica statunitense. Finora, a parte lo sgancio nella seconda guerra mondiale delle bombe atomiche statunitensi su Hiroshima e Nagasaky, non c’è mai stato un conflitto nucleare. Certo, una simile opzione spaccherebbe ancor di più il Paese. Tuttavia nel breve periodo questo aspetto, purtroppo, conta ben poco.