Sono da poco passate le 9 di lunedì 13 dicembre 2021 e le due automobili, la prima con targa slovena, la seconda con targa italiana svoltano l’ultima curva della salita che porta al paese di Maresego, Mareziga, sulle colline sopra Capodistria, in Slovenia. Io sono sulla prima automobile, con Marijan Križman, presidente dell’Associazione dei combattenti della lotta di Liberazione slovena (ZZB NOB), Gianfranco Pagliarulo e Carlo Ghezzi (presidente e vicepresidente vicario Anpi nazionale) nella seconda, guidata da Dino Spanghero (coordinatore regionale Friuli-Venezia Giulia dell’associazione).
Ad attenderci una delegazione della ZZB di Capodistria e di cittadini di Maresego, con gli alfieri e le bandiere partigiane slovene e quella italiana con la stella rossa del battaglione garibaldino muggesano “Alma Vivoda”, una corona con garofani rossi e i nastri tricolori italiano e sloveno tra due bimbi del posto. Una cerimonia semplice ma sincera. I brevi discorsi non di circostanza di Križman e di Pagliarulo, il raccoglimento davanti al monumento dove tutto incominciò. Qui, nel maggio del 1921 gli abitanti, in prevalenza sloveni, si opposero come in altri piccoli centri limitrofi, alle violente intimidazioni delle squadracce fasciste per manipolare il voto nelle elezioni politiche, le prime a cui partecipavano queste terre e queste genti, fino al 1918 “irredente”. I primi morti, i primi processi, i primi incendi.
Poi qualche minuto per ammirare la vista del vallone di Capodistria con lo sguardo che, complice l’aria tersa dai giorni precedenti di bora, indugia all’orizzonte su Monfalcone, Lignano e le luccicanti Alpi imbiancate. Intravedo sotto le mascherine i sorrisi dei miei amici sloveni nell’incontrarmi e nell’incontrarci. Ci salutiamo cordialmente. Nonostante le restrizioni della pandemia abbiamo mantenuto i contatti e i rapporti di amicizia costruiti in questi anni ed è sempre un piacere reciproco quando possiamo vederci. Riprendiamo quindi il viaggio verso la capitale slovena, per l’incontro delle delegazioni ufficiali di Anpi e ZZB NOB.
Periferia di Lubiana, sono circa le 12.30. Lasciata la sede dell’associazione slovena dopo l’incontro e la conferenza stampa che ne è seguita, scendiamo dal pullmino che ci ha portati fin là e saliamo su due piccoli mezzi elettrici che si inerpicano sull’erba coperta di neve e ghiaccio per avvicinarci al monumento di Gramozna Jama. Una vecchia cava di ghiaia dove, tra il 1942 e il 1943 il Regio esercito italiano ha fucilato centinaia di ostaggi sloveni, nel tentativo di fiaccare la resistenza all’occupazione italo tedesca.
Ad attenderci il sindaco di Lubiana, Zoran Janković, e, davanti ad un picchetto armato della Guardia dell’esercito sloveno e una piccola fanfara, tutti in alta uniforme, deponiamo assieme tre corone: quella del sindaco e due con i nastri dei tricolori italiani e sloveni assieme.
Come ricorderà Sandor Tence sul Primorski Dnevnik (quotidiano in lingua slovena di Trieste) qui oggi l’Anpi salva l’onore dell’Italia. Sebbene siano passati 76 anni dalla fine della guerra, mai nessun rappresentante del nostro Paese ha reso omaggio ai Caduti per mano dell’esercito fascista.
Perché questi luoghi e un poco tutte le vicende dell’occupazione italiana della ex Jugoslavia, con i crimini, le uccisioni, i villaggi dati alle fiamme, le carcerazioni e le deportazioni, i campi di concentramento italiani per gli “slavi” a Gonars e sull’isola di Rab/Arbe sono stati rimossi dalla nostra memoria e dalla nostra storia, forse in ossequio al mito autoassolutorio che abbiamo costruito attorno agli “italiani brava gente” cercando di addossare tutte le nefandezze al soldato tedesco, all’ideologia nazista.
Passò la convinzione di un soldato italiano che, per indole innata, si comportava amorevolmente verso le popolazioni dei Paesi occupati e, se reagiva, lo faceva solo per difesa, dopo essere stato attaccato. E poco importa se tutto questo non è vero.
La stretta di mano tra Pagliarulo e Križman, la foto di gruppo delle due delegazioni non sono stati atti rituali ma sincere dimostrazioni di amicizia e di comunanza d’intenti.
Poi, prima di prendere la strada verso casa, un veloce passaggio davanti al Parlamento sloveno, per un omaggio al busto di Janez Stanovnik, partigiano, politico jugoslavo e sloveno, a lungo presidente della ZZB e poi presidente onorario, morto novantottenne nel 2020 e al cui funerale ebbi l’onore di partecipare.
Come fecero allora i partigiani italiani e quelli sloveni, allo stesso modo oggi, le nostre due associazioni fratelle hanno rafforzato negli anni i vincoli di intesa ai massimi livelli con i patti di amicizia firmati già diversi anni fa con gli allora presidenti Anpi italiani Smuraglia e Nespolo con lo sloveno Turnšek.
E proseguito poi a livello locale con i gemellaggi Cividale/Tolmino, Cormons/Dobrovo, Muggia e Trieste con Capodistria e le annuali celebrazioni a Kucibreg, nell’Istria croata a ricordo della lotta comune di partigiani italiani, sloveni e croati contro fascisti e nazisti; i vari incontri in Italia e Slovenia, la partecipazione comune a manifestazioni e celebrazioni, come per esempio quella che raccontiamo qui, o le ultime in ordine di tempo a Petanjci, vicino a Murska Sobota e a Opicina, sopra Trieste.
L’antifascismo basato sulla fratellanza, la condivisione, la giustizia sociale è l’arma più potente che abbiamo ancora adesso – che possiamo e dobbiamo praticare quotidianamente – per sconfiggere l’odio, la prevaricazione, l’esasperazione del nazionalismo e del fascismo che tendono invece a dividere. Abbiamo un passato di amicizia e di collaborazione. Avremo un ancor più magnifico e luminoso futuro continuando convinti a camminare e lottare assieme.
Fabio Vallon, presidente comitato provinciale Anpi – Vzpi Trieste
Pubblicato sabato 18 Dicembre 2021
Stampato il 23/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/primo-piano/in-quella-cava-di-ghiaia-slovena-per-riscattare-il-disonore-italiano/