Gentile ministro Matteo Salvini,
sono un insegnante di matematica e scienze, ho 57 anni e lavoro in una scuola un po’ particolare: un carcere di massima sicurezza. I miei alunni sono detenuti per reati gravi: omicidio, traffico di stupefacenti, estorsione, rapina a mano armata, associazione di stampo mafioso. Lei ha detto che il ragazzo maliano ammazzato alla stazione di Verona non ci mancherà. A me personalmente no, certo. Io non lo conoscevo, non so perché fosse finito a spaccare vetrine e minacciare gente con un coltello. Era un tossico? Era alcolizzato? Pazzo? Fuori di testa? Disperato? Non lo so, non mi sembra importante. Era un ragazzo di 26 anni ed è stato ammazzato. Cosa non ci mancherà di lui, signor ministro? Il fatto che fosse un delinquente pericoloso o che fosse nero? Dobbiamo gioire perché c’è un nero in meno per le strade?
Io, signor ministro, viaggio spesso in treno, e frequento le stazioni. Luoghi e mezzi che lei, in quanto ministro, dovrebbe appunto amministrare. Le stazioni e i treni sono piccoli mondi. Ci trova di tutto, nelle piccole stazioni, nei piccoli treni che attraversano la provincia. A me piace ascoltare e guardare la gente che viaggia. Bianchi, neri, poveracci e turisti nordeuropei. Sbandati, badanti dell’est, muratori che dormono con le mani bianche di calce, studenti universitari, ragazzotti in branco senza biglietto, ladri, puttane, ragazze giapponesi coi loro enormi trolley, famiglie, tossici. Maschi, femmine, bianchi, neri, giovani, vecchi, italiani, stranieri. I treni e le stazioni sono piccoli mondi.
Anche le prigioni sono piccoli mondi. Quando ci si entra per lavorare, come ho la fortuna di fare io, signor ministro, le garantisco che le certezze, i luoghi comuni, il giudizio e il pregiudizio scompaiono presto. Noi insegnanti non facciamo lezione a criminali, ma a persone. Ognuno di loro ha il bianco e il nero, il buono e il cattivo, il tenero e il crudele. Come ognuno di noi. Come me e lei, e anche come quel ragazzo maliano morto alla stazione di Verona. Cosa non ci mancherà di lui? Fosse stato bianco ci sarebbe mancato?
Nelle nostre stazioni non esistono ragazzi bianchi, italiani, fuori di testa, disperati, tossici, che spaccano vetrine e minacciano persone? Io credo di sì. E quei fagotti lerci buttati in terra conterranno bianchi o neri? Poveri cristi o pericolosi delinquenti? Chissà. Basta andarci, nelle stazioni. Basta prenderli, i treni. Lei, signor ministro, si augura che i dodici migranti riportati a Bari non vadano in giro a stuprare e ammazzare gente. Magari sono davvero dodici stupratori, non so. Nemmeno loro conosco. Anzi, diciamo che sono certamente dodici stupratori. Sono peggio degli stupratori italiani? Dodici stupratori in più peggiorerebbero le cose? Dobbiamo preferire gli italiani che ammazzano le mogli o le fidanzate? Ci piacciono di più le belle ragazze della civilissima Emilia che seppelliscono in giardino i neonati appena partoriti e poi vanno dall’estetista? O quella mamma, sua conterranea mi pare, che è partita lasciando la figlia di sedici mesi morire di stenti?
Lo studente veneto che ha trucidato la povera Giulia è meglio dell’assassino senegalese o kosovaro? Del pusher nigeriano? Rimandiamoli in Albania, quei dodici stupratori, non si sa mai. Ma i mille Filippo Turetta, i mille violenti bianchi e italiani che picchiano le donne e terrorizzano i figli dove li mandiamo? Di quelli che molestano le figlie nelle belle case borghesi, che ne facciamo? In Albania anche loro? O magari in Libia nei centri di detenzione. Anzi, perché non spariamo pure a loro? Ci mancherebbero, signor ministro? I miei alunni, dicevo, sono persone. Sono italiani (quasi tutti) e stranieri (quest’anno, due), cattolici e musulmani, giovani e vecchi, pazzi e indifesi, atei e testimoni di Geova, fascisti e anarchici, gente finita nei guai per ignoranza o stupidità e autentici figli di puttana. Ex cocainomani, ex eroinomani, ex uomini. Ogni tanto qualcuno non regge e si ammazza.
Non li assolvo, non li condanno, c’è già chi lo fa. Sono stati già condannati – e non da dio, signor ministro, io non ho nemmeno la fortuna di essere credente come lei. Però credo che nessuno nasca assassino, questo sì, credo che il bambino che era stato il ragazzo maliano fosse un bambino come tanti. Io mi accontento di insegnare la matematica e le scienze. E i miei colleghi fanno lo stesso con l’italiano, la storia, la geografia, l’inglese, il diritto e l’informatica. Tutti noi mostriamo, stando lì dentro, che ci può essere un modo diverso di vivere, che esiste anche la gentilezza. Che la scuola può essere bella. Lei sa immaginare un fine pena mai che si applica per imparare a risolvere un’equazione? E che poi ti ringrazia? Io per mia fortuna sì, ne vedo ogni giorno. Mi dia retta, prenda un treno locale, magari la sera, camuffato da pendolare. Passi qualche ora in una sala d’aspetto o al bar di una stazione.
Entri in una prigione, parli con i detenuti, con gli ergastolani, con i settantenni che sono diventati nonni in galera e che quando sono entrati erano ragazzi. Le mostrerebbero la foto dei nipoti, lo sa? Le farebbe bene, mi creda. Deponga l’accetta. Il mondo è complesso, signor ministro, l’animo umano è complesso, lo sappia. Anzi, come diceva Totò, si informi.
Un caro saluto,
Marco Di Domenico, professore di matematica e scienza nella Casa di reclusione di Ranza (San Gimignano)
Pubblicato giovedì 21 Novembre 2024
Stampato il 12/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/primo-piano/gentile-ministro-venga-in-carcere-a-parlare-con-i-detenuti-lettera-aperta-a-matteo-salvini/