Joseph Robinette Biden Jr. è il 46° presidente degli Stati Uniti. Donald John Trump, che era il 45°, è uscito al mattino presto dalla Casa Bianca per non doverlo nemmeno incontrare: non parliamo di riconoscerne la legittimità a governare. Le infinite elezioni presidenziali 2020 sono finite, il supermartedì 3 novembre è durato due mesi e mezzo.
Biden ha giurato senza che nessun cecchino gli sparasse addosso (25.000 agenti esaminati uno ad uno e 13 arresti a Washington anche per pistole ad aria compressa hanno molto aiutato).
Trump non ha dichiarato la secessione dell’ultradestra e si è fatto bastare l’assalto squadrista del Campidoglio. L’orgia di telecamere si è dissolta: sospiro di sollievo, insediamento, raffica di 17 provvedimenti presidenziali per smontare il trumpismo a tempo di record e – sembra incredibile – si può tornare a fare politica. Quindi, anche a criticare Joe Biden senza essere lapidati come traditori della patria. Si chiama democrazia e l’uragano Donald l’aveva surgelata per mesi, negli Stati Uniti e nel resto del mondo.
Joe Biden è un centrista incallito. È diventato senatore a trent’anni, mettendo in atto un clamoroso tradimento dell’etimologia della parola, dal momento che in Italia sarebbe stato illegale per “eccesso colposo di gioventù”.
Ha visto passare nove presidenti, di uno è stato il vice, i suoi primi provvedimenti sono sorprendentemente progressisti, servono a disinfettare il Paese dal trumpismo come la ditta delle pulizie ha dovuto disinfettare la Casa Bianca dal Covid-19 (costo mezzo milione di dollari).
Nelle ore successive al giuramento, Biden ha affrontato una pila di ordini esecutivi, memorandum e direttive che arrivava al soffitto. Gli Stati Uniti rientrano negli accordi di Parigi sul clima e cancellano l’oleodotto Keystone XL tra Canada e Usa. Gli Usa rientrano anche nella vituperata Organizzazione Mondiale della Sanità e il virologo Anthony Fauci ne diventa l’inviato speciale, dopo aver passato un anno a prendersi gli insulti di Trump. Niente più soldi per il muro tra Usa e Messico. Niente più divieti speciali di immigrazione dai Paesi musulmani.
E poi covid, covid, covid: una legge di guerra degli anni Cinquanta per superprodurre mascherine e accessori anti-pandemia, mascherine obbligatorie in ogni superficie federale, che siano uffici oppure mezzi di trasporto.
Il team di Biden ha scoperto che lo staff di Trump non aveva nessun piano per la distribuzione del vaccino, nessuno aveva voluto occuparsene. Tutto affidato per percolazione alle autorità statali, sperando che fossero volonterose. Direttiva anche su questo. Scioglimento d’imperio della “Commissione 1776”, un incredibile team di 18 “esperti” – tra i quali nessuno storico professionista – incaricato di riscrivere la storia e far sì che nei libri di scuola ci fosse più eroismo e più riferimenti all’eccezionalità del Paese e alle sue origini, e pochi riferimenti, se non addirittura nessuno, a quei fastidiosi genocidi o – peggio ancora! – allo schiavismo, incluso quello dei padri fondatori.
Il team di Biden è ancora in corso di completamento, bisognerà tenere le udienze di convalida dei ministri, ma a votare sarà il nuovo Parlamento a maggioranza democratica anche al Senato, dove i seggi sono 50 e 50, ma con il voto decisivo della vicepresidente Kamala Harris. Con la squadra, Biden paga anche qualche debito, come quel Pete Buttigieg che, nominato segretario al Trasporto, sarà il primo segretario dichiaratamente omosessuale della storia americana (e Rachel Levine sottosegretario alla Salute, che sarà quindi la prima persona transgender a ricoprire un ruolo federale).
Molto civile e democratico, e anche molto utile: convinto personalmente da Barack Obama, Buttigieg fu il primo candidato delle primarie a ritirarsi e far convergere i suoi voti su Biden quando sembrava che il socialista Bernie Sanders fosse imbattibile. È andata come è andata, e Sanders non sarà nemmeno ministro e anche per questo c’è un ottimo motivo: nel Vermont il suo seggio senatoriale non può essere messo in discussione, alle ultime elezioni ha eletto un governatore repubblicano.
La sinistra democratica comunque ha fatto benissimo, alle urne e nel Paese, aumentando i parlamentari (fino a ieri limitati quasi al solo Sanders) e rafforzando i movimenti e persino le formazioni strutturate di sinistra. Per fare un esempio, i Democratic Socialists of America, che al primo tentativo presidenziale di Sanders, nel 2016, contavano circa 6.000 iscritti, oggi sono venti volte più numerosi.
L’agenda neoliberale della Casa Bianca (perché sulla vicinanza di Biden all’America delle corporation non c’è da farsi alcun dubbio) avrà, per una volta, un’opposizione parlamentare. Si ricomincia a fare politica, appunto. E con molte ragioni. Il mese scorso sono arrivate oltre un milione di nuove richieste di indennità di disoccupazione. E sono circa 30 milioni gli sfratti in corso, che le norme anti-covid potrebbero sospendere. Solo la Borsa marcia a mille, come ha quasi sempre fatto. La bandiera della sinistra è Medicare for All, l’assicurazione sanitaria per tutti e a carico del governo federale, ma sarebbe una rivoluzione e Biden ha detto categoricamente di non volerla. Può davvero permetterselo? Sarà un bel test.
Il neo-presidente sarà, in ogni caso, atteso da un estenuante lavoro di ricucitura di un Paese che inciampa in profonde divisioni a ogni piè sospinto.
Un esempio fantastico è che Joe Biden, solo il secondo cattolico dopo Kennedy a entrare nello Studio Ovale, sia stato accolto dal cattolicesimo in due modi diametralmente opposti. L’Osservatore Romano titola «Il sogno dell’unità» ed elogia il suo primo discorso, veemente ma ragionevole. Mentre José Gomez, arcivescovo metropolita di Los Angeles a capo della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti, firma un comunicato in cui assicura che Biden «farà aumentare i mali morali» del Paese – i soliti: aborto, contraccezione, matrimoni omosessuali… Una discrasia che probabilmente racconta più delle divisioni in Vaticano che di quelle a Washington, ma in ogni caso un’altra prova, se ce ne fosse bisogno, dei fenomeni di polarizzazione in corso.
Da parte sua, Trump si è rifugiato nella villa di Mar-a-Lago in Florida, una reggia di 126 stanze presa per una pipa di tabacco agli eredi di una multinazionale dei cereali. Da là conta di radunare «il nostro movimento», cioè il coacervo di giacche-e-cravatte, tonache e tute mimetiche che ha portato al potere per quattro anni. Non saranno ammessi traditori, cioè chiunque abbia osato dargli torto in passato. Si parla della formazione di un nuovo partito, il Patriot Party, ma forse è una boutade da uscita di scena, come quella che voleva la sospensione delle parcelle al suo avvocato Rudy Giuliani per aver perso 59 ricorsi elettorali su 60. Il terzo partito è un fenomeno carsico che periodicamente riemerge e torna a inabissarsi dopo aver registrato l’ennesimo fallimento elettorale. Come è già capitato tre volte al candidato dei libertari Ron Paul e una volta a quello dei Verdi Ralph Nader, l’eroe dei consumatori che venne quasi lapidato per aver sottratto pochi volti a Al Gore (nella Florida del riconteggio eterno e della vittoria assegnata dal fratello di George W. Bush).
Il trumpismo viene da lontano, diciamo da Reagan, passando per Newt Gingrich e poi per il movimento dei “Tea Parties”. Nasce quando i più cinici dirigenti del partito repubblicano decisero di adottare come massa di manovra quei grandi numeri di spostati che sempre più costituivano chiese fondamentaliste, milizie patriottiche e circoli complottisti surreali, dando loro dignità e rappresentanza in politica e in Parlamento. Finché arrivò re Donald e, come ha scritto il premio Nobel per l’economia Paul Krugman sul New York Times, «i cinici si sono accorti che i matti erano arrivati al potere, e non per tagliare le tasse ma la democrazia».
Per dissaldare l’unione tra gli originali e violenti, il cuore economico stesso dello stato e tutti i think tank e i media come Fox che danno loro voce e visibilità, alla nuova Casa Bianca serviranno tutti e quattro gli anni di mandato e forse di più. Non ci riuscì Obama, se pure ci provò davvero. Ora che tocca a Sleepy Joe, gli americani devono sperare. E non solo loro.
Pubblicato venerdì 22 Gennaio 2021
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