Per la lettura, l’estate è un luogo dell’anima maliardo e insostituibile. Non è facile dirne il motivo ma è un fatto che i libri letti in estate marcano in modo particolare il nostro pensiero e poi rilasciano, come un balsamo prescritto a piccole dosi, il loro sortilegio per i mesi a venire, fino all’autunno o all’inverno. Forse è perché sotto all’ombrellone, o sul monte, o nella campagna in cui le cicale risaccano senza sosta, il tempo è come annullato e la coscienza invade con lentezza vegetale quel regno di sospensione dello spirito che mai nessuno, come Cardarelli, ha saputo descrivere:
Distesa estate,
stagione dei densi climi
dei grandi mattini
dell’albe senza rumore –
ci si risveglia come in un acquario –
dei giorni identici, astrali,
stagione la meno dolente
d’oscuramenti e di crisi.
felicità degli spazi,
nessuna promessa terrena
può dare pace al mio cuore
quanto la certezza di sole
che dal tuo cielo trabocca,
stagione estrema, che cadi
prostrata in riposi enormi,
dai oro ai più vasti sogni,
stagione che porti la luce
a distendere il tempo
di là dai confini del giorno,
e sembri mettere a volte
nell’ordine che procede
qualche cadenza dell’indugio eterno.
Adagiati su questo preambolo, sulla splendida Estiva di Cardarelli le cui parole andrebbero ripetute quotidianamente, nell’estate, come un adagio, come un bisbiglio da cuscino perfetto per accompagnare la contemplazione dei cieli sereni, ecco qui di seguito dieci consigli di lettura o di rilettura da fare nell’azzurro d’agosto, alla mattina e al pomeriggio e, perché no, nel cuore della notte. Ho deciso di indicare 9 volumi di narrativa più un saggio così da poter variare i nostri appuntamenti con quel magico mondo che sta dietro all’inchiostro.
- 1. Nel segno di Fenoglio. Lo straordinario e il vero è un saggio godibilissimo di Angelo Bendotti, pubblicato dall’Associazione editoriale Il filo di Arianna. Bendotti, da anni direttore dell’Istituto della Resistenza di Bergamo, in qualità di espertissimo storico e di amante appassionato dell’opera di Fenoglio non ha scritto un saggio critico sull’autore del Partigiano Johnny, ma uno strepitoso viaggio nel racconto della storia resistenziale, di quel vero storico che all’occhio attento non può che parere straordinario, illuminato sì da Fenoglio ma come un lume che ha saputo, meglio di tutti gli altri, dire la vita di chi si oppose al fascismo.
- L’estate è fatta soprattutto di viaggi: oggi vanno di moda quelli in terre lontane ed esotiche ma il breve romanzo di cui vi consiglio la rilettura narra invece una piccola gita, di quelle che un tempo facevano le coppie con qualche modesta possibilità economica. Si tratta di Alpinisti ciabattoni (1880, recentemente riedito da Elliot) di Achille Giovanni Cagna, uno dei maestri di quella Scapigliatura piemontese la cui scuola fu magistralmente descritta, a metà del secolo scorso, da Gianfranco Contini. I coniugi Gibella, Martina e Gaudenzio, sono gli spassosi protagonisti del romanzo. Siamo a fine Ottocento: la coppia di borghesucci piccini piccini, partita dalla Lomellina, giunge sulle rive del lago d’Orta con la fantasia di concedersi, “dopo tanti anni di assiduità bottegaja”, una vacanza à la page. Il soggiorno è però irto di comicissime disavventure e ne viene alla fine un libro da godere, da leggere con un fiato solo, anche per assaporare una lingua polposa, ricca, che affonda nel dialetto come nei tecnicismi, sempre però burlescamente espressionistica, la lingua di un autore e di un’opera a tutto tondo troppo spesso archiviati dalle storie letterarie.
- E adesso un romanzo particolare, un classico ormai, che si legge come un giallo ma che non lo è. A sangue freddo di Truman Capote (1965; Garzanti 1966, trad. di Mariapaola Ricci Dèttore) racconta una storia vera, quella del quadruplice omicidio dei componenti la famiglia Clutter, avvenuto nella notte tra il 15 e il 16 novembre 1959 nella piccola cittadina di Holcomb quasi nel cuore del Kansas. Si tratta forse del più antico non-fiction novel della storia, sicuramente il primo romanzo a essere stato coscientemente scritto col fine di narrare una storia vera attraverso gli strumenti della finzione narrativa. Con le sue 400 pagine, il romanzo è formidabile, e sul candore di una cronaca mai spinta al sensazionalismo innesta un senso della tragedia ineluttabile e, a un tempo, un tono di prossimità quasi famigliare non solo e non tanto con le vittime quanto verso l’oscuro, incredibile e inaspettatamente banale mondo interiore degli assassini.
- Di Barbara Comyns in Italia è stato tradotto poco: I miei anni a rincorrere il vento, nel 2012, per Rizzoli, e recentissimamente Chi è partito e chi è rimasto per i tipi di Safarà Editore (trad. di Cristina Pascotto). Quest’ultimo è un romanzo che va assolutamente letto: pubblicato in origine nel 1954, il libro narra le strampalate e surreali vite dei Willoweed alle prese con una serie di eventi terribili e straordinari che si abbattono su un piccolo villaggio inglese. Di fronte a quella che sembra un’onirica maledizione, i Willoweed reagiscono con un caleidoscopio d’azioni beffarde e stravaganti, di assurde impuntature e di colossali distrazioni, capace di impastare assieme il senso del mistero e del tragico con il contegno d’olimpica e ironica flemma della nobiltà inglese.
- In North Carolina pulsa, con la forza che solo i luoghi immaginari hanno, la cittadina di Falls, “più chiese che concessionarie d’auto” per 6803 anime d’incrollabili ottimisti. Lì la gente è irresistibilmente felice e ignara che quel nome copiato alle Niagara Falls avrebbe, prima o poi, vendicato il fatto di “aver rubato loro il frastuono”. Ma la tragedia non manda indizi e a Falls non ci sono indovini; a cose fatte si dirà che lungo il fiume Lithium, una sera che andarono a fuoco gli ex magazzini di tabacco del contado, si respirava “un lusso che può venire solo dalla fine di qualcosa”. Ed è così. Il ritorno a Falls di Allan Gurganus – L’esca (trad. di M. Baiocchi e A. Tagliavini, Playground) chiude la trilogia di Local Souls – racconta, sull’ampio raggio di una vita, l’esistenza di Bill Mabry, il prima e il dopo la Catastrofe che a due terzi di libro si abbatte sui Caduti (tale è il nome, ironico, dei cittadini di Falls). Un libro indimenticabile, una scrittura elegante e magnetica.
- Si può quasi dire che John Updike abbia scritto dei coniugi Maple per una vita intera; il primo racconto che li narra risale al 1956. Neve al Greenwich Village: i Maple sono già sposati – da non molto – e già tra i due scorrono come sotterranei flussi di corrente tellurica quei moti d’amore, di malizia, di tradimento, e di riappacificazione che sostanziano la loro storia matrimoniale. Quella sera nevica, a casa loro c’è Rebecca Cune, una vecchia amica incredibilmente portata per le cose fuori del comune. Bevono drink, parlano – le conversazioni di Updike sono una fonte inesauribile di trovate – e poiché seguita a nevicare, la signora Maple, Joan, suggerisce a suo marito Richard di accompagnare a casa Rebecca. Guidano per un isolato e ci arrivano. Poi lei chiede se lui vuole salire a vedere dove abita. Entrano, Rebecca davanti e Richard dietro, e lui pensa che “sono rare le esperienze dal sapore illecito quanto salire le scale dietro al sedere di una donna”. Dopo questo, altri 17 splendidi racconti che seguono anno dopo anno la vita dei Maple, fino alla nonnitudine. Un libro delizioso, Scene da un matrimonio, trad. di Oliviero Pesce (Edizioni Clichy).
- Parliamo ancora di matrimoni meravigliosamente catastrofici: Chuck Kinder ci ha messo vent’anni a scrivere il suo capolavoro, Lune di miele. Precauzioni per l’uso (in Italia da Fazi nel 2001 e ora di nuovo, dal giugno 2018, nella traduzione di Giovanna Scocchera), e gli è venuto fuori un libro bellissimo sull’amore e sull’amicizia. Da leggere assolutamente in estate, magari a bordo piscina perché il romanzo è pieno di piscine le cui “schegge di luce verde e azzurra vibrano sulla superficie dell’acqua come una danza di nervi recisi”. È la storia dell’amicizia tra Ralph Crawford e Jim Stark, dietro cui si nascondono due giganti della letteratura americana, nientepopodimeno che Carver e lo stesso Kinder. Ci sono amori irti di tradimenti, di ostacoli e di litigi assurdi, ci sono spinelli, e c’è un fiume di alcol che scorre, sempre, in maniera quasi comica se non fosse che il gin o il whiskey sono il correlativo oggettivo di una vita amara, eccessiva, eccezionale.
8. Un matrimonio che finisce davvero male è quello raccontato da Dostoevskij nella Mite (appena ritradotto da Serena Vitale per Adelphi). È un libricino di un centinaio di pagine, ma intenso e micidiale, come tutte le scritture dell’autore di Delitto e castigo: a parlare in prima persona è un uomo, il protagonista, un tizio di quarantun’anni che dopo essere stato scacciato dal proprio reggimento con l’accusa di viltà, apre un banco dei pegni, s’innamora di una ragazzina e la sposa. Lei, la Mite, coi pensierosi occhi azzurri, è una fanciulla di sedici anni che accetta la proposta e si trova incastrata in un’unione coniugale che la distrugge. Muore suicida e adesso è lì, distesa su due tavolini da gioco accostati in sala, in attesa della bara. La Mite è un incalzante monologo interiore dell’uomo alla ricerca di un perché irraggiungibile, è la storia di un individuo ostracizzato che inconsciamente cerca il riscatto vendicandosi sulla giovane creatura, è un piccolo capolavoro che ha per tema un’incattivita e orgogliosa disperazione.
9 . Pacifico è il terzo quadro della Trilogia di Grouse County di Tom Drury (NN editore, trad. Gianni Pannofino). Sarebbe bello rileggersi anche gli altri due, ma se uno vuole può benissimo godersi solo quest’ultimo tassello d’America rurale, dove la gente, scettica e a suo agio con le idee stravaganti, si apre però alle speranze e all’amore. La Grouse County di Drury è un posto dove si vive ignari delle grandi cose e della rotta dei sentimenti, dove gli eventi procedono aleatori per poi caricarsi all’improvviso di significato, dove i ragazzi possono fissare lo sguardo sul fiume della giovinezza, dove chiunque manda a memoria una storia sbilenca con una qualche morale che ha la coerenza dei sogni. Il tutto con la freschezza e il senso famigliarissimo di disorientamento che ci fa dire che “non c’è niente di male in un acquazzone, una volta accettata l’idea di starci sotto”.
10. Infine, nell’anno della morte di Philip Roth, non può mancare la rilettura di uno dei suoi capolavori. Non so quale, perché sono tutti magnifici. E allora perché non iniziare dal suo esordio? Goodbye, Columbus è del 1959 (Einaudi, trad. Vincenzo Mantovani), ed è perfetto per l’estate fin dall’incipit: per la prima volta Neil Klugman, il protagonista, incontra, in piscina, la bella Brenda Patimkin. Ecco cosa vedono i suoi occhi: “La guardai mentre si allontanava. A un tratto si portò le mani dietro la schiena. Prese il fondo del costume tra il pollice e l’indice e rimise a posto quel po’ di carne che si era scoperta. Mi si rimescolò il sangue. Quella sera, prima di cena, le telefonai”. Né il lettore né Neil potranno mai staccare dalla memoria quelle dita che sistemano la carne. Nessun occhio della mente potrà mai dimenticare l’esatto istante in cui un pollice e un indice sistemano un’imperfezione riportandola alla regolarità. Non è importante il prima, non è importante il dopo. L’importante è quel gesto. Goodbye, Columbus, l’inizio di una carriera sfolgorante.
Giacomo Verri, scrittore
Pubblicato giovedì 2 Agosto 2018
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