Farisei
I farisei che accusavano l’adultera si sentono accusati da Gesù

 

Aveva fatto scalpore, nel 2005, il suo appello diretto a papa Ratzinger, nel corso di un incontro col clero romano, a favore dei divorziati che prendono l’ostia clandestinamente. “E’ vero – dichiarò al Corriere della sera –  Benedetto XVI non ha risposto alla mia domanda. Ma quello che ho percepito dal suo sguardo, in quel momento, è stato un atteggiamento d’intesa, un silenzio carico di comprensione”. Oggi padre Lucio Boldrin, 62 anni, parroco della S.S. Trinità a Villa Chigi di Roma, esprime, in questa sua testimonianza per Patria Indipendente, tutta la sua speranza nell’operato e nel dire chiaro e controcorrente di Papa Francesco. Un provvidenziale freno alle vaticane smanie di brutto potere, un tornare alla gente, ai non pochi credenti emarginati, al cuore, in sostanza, della missione della Chiesa. 

Papa Francesco al Convegno della Chiesa italiana a FirenzeFra tanti passaggi molto belli, ne sottolineo uno in particolare, la mia esultanza! «La Chiesa italiana ha grandi santi il cui esempio può aiutarla a vivere la fede con umiltà, disinteresse e letizia, da Francesco d’Assisi a Filippo Neri. Ma pensiamo anche alla semplicità di personaggi inventati come don Camillo che fa coppia con Peppone. Mi colpisce come nelle storie di Guareschi la preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente. Di sé don Camillo diceva: “Sono un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che soffre e sa ridere con loro”. Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto. Se perdiamo questo contatto con il popolo fedele di Dio perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte»

Foto Boldrin - parroco
Padre Lucio Boldrin

Di fronte ad affermazioni come queste comincio a rialzare la testa e il cuore e ritrovo le motivazioni del mio essere prete. Gli scandali che hanno segnato e ferito la Chiesa in questi anni e ultimi giorni, non possono non lasciare traccia e appesantire, non solo i fedeli ma anche i sacerdoti che come me hanno deciso di vivere lontani dai Palazzi per stare, pur con crescente difficoltà, tra la gente e le difficoltà quotidiane. Quando divenni prete, 32 anni orsono, i ragazzi della scuola dove insegnavo mi augurarono a lettere cubitali “Auguri di una buona carriera… fino a diventare Papa”. In altra occasione di fronte alle mie prese di posizione sull’l’apertura ai divorziati o la denuncia del rischio racket a Roma anche nelle realtà caritatevoli, qualcuno mi disse: “Ma lei proprio non vuole fare carriera”. Non ho mai visto il sacerdozio come carrierismo o realtà dove “sistemarsi per il futuro”, ma come un’attività di servizio tra le gente dove Dio mi avesse chiamato. Purtroppo non per tutti è ed è stato così. Lo stanno dimostrando gli ultimi scandali che sono usciti dal Vaticano in maniera truffaldina – il Papa ha parlato di reato – e dove qualcuno cerca di trarne vantaggi economici e non per fini lodevoli. E ciò che sta emergendo è, purtroppo, cosa nota, e non ha sicuramente preso alla sprovvista Francesco che fin dai primi giorni del suo pontificato ha cercato di mettere mano alle nebbie che avvolgevano stanze, conti e persone all’interno di quelle mura. Chiedendo in prima persona, di poter controllare i conti. Di conoscere gli uffici e le persone. Mettendo in pratica la riforma dello IOR. Rimuovendo monsignori e laici che, visto l’ambiente in cui ci troviamo, sapeva di “zolfo luciferino”. Facendo chiudere conti sospetti e togliendo quelle persone che non avevano diritto di essere all’interno della banca vaticana, e vi stavano per interessi personaggi e operazioni sospette, magari anche di riciclaggio all’insaputa di molti. Sottolineando fin dai primi tempi del suo pontificato che: “Non si può fondare nulla di buono sulle trame della menzogna e sulla mancanza di trasparenza. Ricercare e scegliere sempre la verità non è facile; è però una decisione vitale, che deve segnare profondamente l’esistenza di ciascuno”.

soldiIn questi tempi tutto quello che è stato riportato dai media – l’outing di Mons. Charamsa, gli scandali a sfondo sessuale che hanno interessato una parrocchia di Roma, gli 80 dissidenti, tra vescovi e cardinali, durante il Sinodo straordinario della famiglia, i Vatileaks 1 e 2 per il tempismo con i quali sono usciti – mi porta ad avere qualche sospetto: discreditare e bloccare l’azione di pulizia e di limpidità, in un dialogo aperto a tutti e nella misericordia nella quale Papa Francesco sta cercando di riportare la Chiesa ricordando a tutti i sacerdoti da dove il Signore ci ha chiamati: “dalla gente per stare in mezzo alla gente”. Guai dimenticarci ciò. Sarebbe un tradire la propria vocazione.

Ma la cosa inaspettata che sta accadendo è che quello che avrebbe dovuto fermare il pontefice gli sta dando ancora più luce agli occhi della gente e di molti preti che vedono come il Papa stia facendo una cosa nuova: rimettere il Vangelo al primo posto. Assurdo, ma è così.

Papa Francesco - uno di noi
Firenze, 11 novembre 2015, alla mensa della Caritas

Molti preti, vescovi, cardinali lo hanno dimenticato mettendo al primo posto i loro interessi economici e carrieristici calpestando e frodando la buona fede di tante persone in pieno stile farisaico. Capaci con la parola di portare persone (e soldi), non a Cristo né alla Chiesa, ma solo a se stessi. Diventando caricature sempre più imbarazzanti del ministero che svolgevano e sempre meno credibili. Molti sapevano e molti stavano zitti. Anche tra i laici quanti si sono rivolti, per avere questo o l’altro favore, a Cardinali e Vescovi influenti per avere scorciatoie per ottenere quanto loro serviva? ’Na cifra, per dirla alla romana. Talvolta facendosi vanto di queste amicizie e di questi aiuti avuti. La riforma e la credibilità della Chiesa non partono solo dal clero, ma anche da tutti i battezzati. È facile puntare il dito e non sentirsi coinvolti, quando lo si è tutti.

Quello che noto nella Chiesa e nelle parrocchie, non è altro che una sintesi di tutti i mali che vedo nella società e nei tempi in cui viviamo. La politica è malata, la Chiesa è malata, l’umanità è malata e necessita di una rinascita e di una catarsi purificatrice globale.

L’ipocrisia e l’avidità, inutile nasconderlo, fanno parte dell’uomo. Ma questo quando è presente nella Chiesa è ancora più deprimente. Ci sono persone del clero e battezzati che invece di servire, di pensare agli altri, di gettare le basi, si servono della Chiesa: gli arrampicatori, gli attaccati ai soldi. E quanti sacerdoti, vescovi abbiamo visto così! È triste dirlo, no? Dio ci salvi dalle tentazioni di una doppia vita, dove mi mostro come uno che serve e invece mi servo degli altri. Ci si chiede di metterci al servizio, ma c’è chi ha raggiunto uno status e vive comodamente senza onestà, come i farisei nel Vangelo. Mi commuovono quei preti e quelle suore che per tutta la vita sono al servizio degli altri. Sottolineo questo perché il rischio più grande è di fare di ogni erba un fascio, dimenticandoci che la maggior parte dei preti, almeno per la mia conoscenza, vive “sentendo l’odore delle proprie pecore” e vivendo con loro e per loro.

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La Pietà di Michelangelo

La Chiesa e il denaro. Quante volte ho sentito dire “la chiesa potrebbe vendere tutti i tesori che ha in Vaticano e darne il ricavato ai poveri”. La risposta migliore l’ha data proprio Francesco: «Quanto ai “tesori della Chiesa”, “non sono i tesori della Chiesa, ma sono i tesori dell`umanità. Per esempio, se io domani dico che la Pietà di Michelangelo venga messa all`asta, non si può fare, perché non è proprietà della Chiesa. Sta in una chiesa, ma è dell’umanità. Questo vale per tutti i tesori della Chiesa. Ma abbiamo cominciato a vendere dei regali e altre cose che mi vengono date. E i proventi della vendita vanno a monsignore Krajewski, che è il mio elemosiniere. E poi c’è la lotteria. C’erano delle macchine che sono tutte vendute o date via con una lotteria e il ricavato è usato per i poveri. Ma ci sono cose che si possono vendere e queste si vendono». Anche in questo il Papa si dimostra il primo a dare l’esempio.

La Chiesa è chiamata ad essere povera e condividere con chi non ha, ma non può vivere di aria. Porto l’esempio della mia parrocchia: nell’esercizio 2014 vi sono state entrate per circa 110.000 euro: 50.000 sono usciti per aiuto ai poveri, ai missionari e per un’associazione impegnata nella lotta contro le leucemia, circa 30.000 in tasse e utenze e il rimanente per lo stipendio di chi lavora nell’accudire la casa, lavori di manutenzione e mantenimento dei sacerdoti. E questa è la realtà della maggior parte delle parrocchie romane. Ogni anno le parrocchie che possono, aiutano 60 parrocchie, su 360 romane, che non possono nemmeno pagare le utenze. È importante sapere ciò, perché al di là di tanti discorsi, e dei tanti corvi che cercano di infangare la Chiesa, esiste una realtà che splende, ma poco conosciuta, che è la forza vera della Chiesa.

Concludo richiamandomi ancora agli appelli del Papa a Firenze. «Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà. L’unico modo per arrivare ai cuori è toccare l’esperienza quotidiana della gente ha detto il Papa nell’omelia –, il lavoro, la scuola, il traffico. Aprire il cuore all’ascolto di Dio».

E ai giovani: «Superate la vostra apatia, siate costruttori di un’Italia migliore, per favore non guardate dal balcone la vita». «Vi raccomando anche, in maniera specialeha proseguito il Papala capacità di dialogo e di incontro. Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria ‘fetta’ della torta comune. Non è questo che intendo. Ma è cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti. Molte volte l’incontro si vede coinvolto nel conflitto. Nel dialogo si dà il conflitto: è logico e prevedibile che sia così. E non dobbiamo temerlo né ignorarlo ma accettarlo».

Sono queste parole che a me e a tanti preti danno la forza di guardare avanti e continuare a credere nel lavoro che si sta portando avanti. Al di là degli scandali e di chi vuole vedere solo il marcio che c’è.