Hitler a un’adunata delle “camicie brune”, le SA

Nello spazio di poco più di un mese – dalla purga cruenta della «Notte dei lunghi coltelli» (30 giugno 1934) alla scomparsa del «presidente del Reich», il generalissimo Paul von Hindenburg (1° agosto 1934) – si compì un passaggio cruciale, che portò alla piena affermazione dello «Stato carismatico-dittatoriale» in Germania, la cui guida era retta dal quarantacinquenne, di origini austro-boeme, Adolf Hitler. Questi, il 30 gennaio 1933, si era insediato alla testa del governo nazionale, suggellando la cosiddetta «rivoluzione legale» del suo partito, la Nsdap, inizialmente una minuscola formazione d’estrema destra, ultranazionalista e razzista, cresciuta a dismisura sul terreno politico ed elettorale, dal 1930 in poi. Era divenuta un forte partito di protesta di massa, sfruttando il malcontento generato dalle ripercussioni della crisi economica mondiale (oltre sei milioni di disoccupati tra i lavoratori tedeschi), facendo leva sullo spettro minaccioso della proletarizzazione allignante nella piccola borghesia, nonché sul risentimento nei confronti della «pace cartaginese» imposta a Versailles dalla Francia e dall’Inghilterra.

Una delle tappe verso la dittatura: il 27 febbraio 1934 gli uomini di Hermann Göring, uno dei leader nazisti più potenti e vicini a Hitler, danno fuoco al Reichstag, ma addossando ai comunisti la responsabilità del rogo

Con il sostegno di larga parte dei ceti dominanti la Nsdap, che aveva saputo coagulare intorno a sé un ampio e composito schieramento sociale, entrò nella “stanza dei bottoni”, assestando colpi mortali alla traballante democrazia weimariana. Il 27 febbraio venne inscenata una grave provocazione: gli uomini di Hermann Göring, uno dei leader nazisti più potenti e vicini a Hitler, diedero alle fiamme il Reichstag, addossando ai comunisti la responsabilità dell’incendio. Fu il pretesto per scatenare un’ondata di terrore contro le forze del movimento operaio: la polizia e le “squadre d’assalto”, le famigerate SA, si resero protagoniste di crudeli retate, passando al setaccio le case dei quartieri popolari. L’obiettivo del nascente Terzo Reich era quello di liquidare completamente la sinistra politica e sindacale tedesca e di impedire preventivamente qualsiasi forma di resistenza.

Il lager di Dachau

Su impulso del ministro degli Interni, Wilhelm Frick, che sarà processato a Norimberga come criminale di guerra, fu redatto e promulgato il decreto «per la protezione del popolo e dello Stato», che autorizzava l’abolizione di norme sui diritti fondamentali della Costituzione di Weimar e l’arresto di oppositori politici. Migliaia di comunisti finirono nelle carceri, dove erano brutalmente pestati, torturati e uccisi dalle SA. Insieme con esponenti socialdemocratici, militanti e dirigenti del Partito comunista tedesco (Kpd) cominciarono a varcare i cancelli del primo, terribile, campo di concentramento, aperto il 22 marzo 1933 a Dachau, nei pressi di Monaco di Baviera, la città che aveva tenuto a battesimo il nazismo.

Intanto Hitler continuava a tessere la trama di un’alleanza con l’esercito, la finanza e l’industria, che mostravano di gradire sempre più il suo viscerale anticomunismo, il suo antisocialismo, il suo antimarxismo. Nonostante questi appoggi e il clima politico favorevole, alle elezioni del 5 marzo 1933 la Nsdap raccolse il 43,9% dei voti, raggiungendo la maggioranza solo grazie all’apporto dell’8% dei tedesco-nazionali (Dnvp). In numerose zone cattoliche e operaie il partito nazista fu nettamente battuto e non riuscì a conseguire la maggioranza assoluta in Baviera, nel Baden, nel Württemberg, nell’Assia e in Sassonia. Pertanto, in questo contesto, il 23 marzo Hitler chiese al Parlamento di varare un decreto che gli avrebbe conferito i pieni poteri; cosa che ottenne con il determinante contributo dei deputati cattolici del Centro. «Da quel momento né il Parlamento né il presidente avrebbero potuto condizionare le decisioni del cancelliere». Nel frattempo si portava velocemente a termine il processo di coordinamento o allineamento (Gleichschaltung) dei Länder al nuovo regime nazista, che aveva avuto inizio prima dell’introduzione della legge delega.

Paramilitari delle SA fuori un negozio di Berlino con cartelli con la scritta: “Deutsche! Wehrt Euch! Kauft nicht bei Juden!” (“Tedeschi! Difendetevi! Non comprate dagli ebrei!”)

Il 1° aprile di quel fatidico 1933 gli attivisti nazisti presero di mira gli ebrei, con il boicottaggio dei loro negozi e studi professionali, mentre il 10 maggio a Berlino e in altre città tedesche bruciarono decine di migliaia di libri, espressione della «cultura degenerata» o comunque ritenuta avversa al nazismo. Qualche giorno prima, il 2 maggio, furono sciolti i sindacati: in quell’occasione le SA e le SS – la guardia personale di Hitler – si impossessarono dei loro uffici nell’intera Germania, obbligando lavoratori sindacalizzati e non a registrarsi nel neonato Fronte tedesco del lavoro (Daf). Il 14 luglio vennero messi al bando tutti i partiti politici, tranne la Nsdap. In quella data fu anche approvata la «Legge sulla sterilizzazione» degli affetti da malattie ereditarie, prima tappa dell’«Olocausto psichiatrico», attuato con l’«Operazione Eutanasia» tra il 1939 e il 1941, che comportò la morte di oltre 70.000 «vite indegne di essere vissute».

Se rispetto al suo omologo fascista il nazismo aveva impiegato molto più tempo per giungere al governo, in appena sei mesi aveva messo in riga la Germania e distrutto o svuotato del loro contenuto democratico le istituzioni della Repubblica di Weimar. Tuttavia, nell’estate del 1933 Hitler, al fine di stabilizzare il suo potere doveva ancora risolvere «tre problemi reciprocamente connessi: il continuo agitarsi dell’ala radicale e dei capi delle SA che volevano la «seconda rivoluzione»; la rivalità fra SA ed esercito; il problema della successione del presidente Hindenburg, la cui vita, col venire della primavera, sembrava ormai avvicinarsi alla fine».

Adolf Hitler ed Ernst Röhm

Corpo paramilitare della Nsdap, reclutato prevalentemente tra i disoccupati, le SA, che tra gli anni Venti e Trenta si erano scontrate sanguinosamente nelle piazze con comunisti e socialdemocratici, costituivano una turbolenta massa di manovra. Le loro aspettative di fruire, con la presa del potere, di benefici economici sostanziosi e dell’accesso immediato a prestigiosi posti di lavoro erano andate ben presto deluse. Moltissimi tra questi militi nazisti si sentivano ingiustamente esclusi dalla spartizione del bottino, su cui Hitler, con il loro aiuto, aveva allungato le mani. Perciò erano rumorosi fautori della parola d’ordine di una «seconda rivoluzione» che avrebbe dovuto mettere fine ai privilegi di aristocratici e possidenti. Erano devoti, più che al Führer, al loro feroce condottiero, Ernst Röhm. Questi era un uomo rozzo e volgare, con il volto deturpato da una ferita di guerra. Nell’immediato postconflitto si era battuto nei Freikorps, milizie irregolari d’estrema destra, per assumere subito dopo la guida delle SA. In disaccordo con Hitler sul primato della Nsdap rispetto alle SA, nel 1925 si recò in Bolivia a fare il mercenario. Fu richiamato in patria nel novembre 1930 per volere dello stesso Hitler, al fine di riorganizzare le indisciplinate SA, che grazie al suo operato aumentarono vistosamente di numero.

Adunata delle SA a Berlino nel 1933

Di inclinazioni dichiaratamente omosessuali, Röhm selezionava il suo entourage a seconda dell’aspetto fisico e si lasciava andare a orge che destavano notevole scalpore tra i benpensanti. Ciò non impedì a Hitler di rimanergli amico, sino a quando il suo riottoso camerata non risultò un oggettivo, evidente ostacolo al realizzarsi dei suoi disegni. Convinto antisemita, espressione dell’ala populista del nazismo, Röhm voleva trasformare le sue camicie brune, che alla fine del 1933 erano ascese a due milioni e mezzo di unità, in un esercito popolare, con l’incorporazione in chiave subalterna delle Forze Armate tradizionali. Simili aspirazioni misero in allarme il ministero della Guerra e la Reichswehr, i cui alti gradi erano appannaggio, come da tradizione, della casta degli Junker prussiani. Hitler, a sua volta, non poteva rischiare di alienarsi le simpatie di cui godeva presso le Forze Armate, il cui sostegno era per lui di vitale importanza. Per due ragioni. Una volta che l’ormai sempre più anziano e malato Hindenburg fosse deceduto, egli aveva in animo di arrogare a sé pure la presidenza e di avere il giuramento di fedeltà dei militari alla sua persona. Poi, perché aveva bisogno di un esercito a lui fedele per perseguire, sul terreno internazionale, l’obiettivo di rilanciare la potenza della Germania attraverso un’aggressiva politica espansionistica, basata su un imponente programma di riarmo, sulla reintroduzione della leva obbligatoria e sulla militarizzazione della società tedesca.

Himmler e Goering, i principali rivali di Röhm

Dall’inizio del 1934, mentre l’estrema destra francese, galvanizzata dai successi nazisti, tentò di mettere a segno, il 6 febbraio, un pericoloso colpo di mano antidemocratico, in Germania si esacerbò la partita politica che aveva come posta in palio il controllo delle leve del potere. I rivali di Röhm tra i nazisti, Heinrich Himmler e Hermann Göring, “fabbricarono” dossier falsi per dimostrare l’imminenza di un putsch a opera delle SA. Ma a far precipitare la situazione fu il discorso tenuto da von Papen all’università di Marburgo il 17 giugno, nel quale – il testo era stato scritto dal suo collaboratore Edgar Jung – il vicecancelliere cattolico mise in guardia contro una «seconda rivoluzione» e stigmatizzò il culto della personalità che circondava il capo del governo.
Temendo un’intesa ai suoi danni tra l’esercito e gli ambienti conservatori, Hitler decise di rompere gli indugi e di passare alle vie di fatto, sapendo di poter fare affidamento sugli industriali, impensieriti dall’anticapitalismo sia pur fumoso di Röhm, e soprattutto di poter disporre del sostegno della Reichswehr e delle SS. Cosicché il 30 giugno 1934 i vertici delle SA, riuniti in Baviera, presso l’Hotel Hanselbauer, a Bad Wiessee, furono arrestati e fucilati. La stessa sorte toccò a tanti loro commilitoni nel resto della Germania. Röhm, accusato di tradimento, fu giustiziato in prigione il 1° luglio. A rievocare la torbida e cruenta atmosfera della «Notte dei lunghi coltelli» sarà Luchino Visconti nel celebre film del 1969 La caduta degli dei.

Adolf Hitler stringe la mano al Reichspräsident Paul von Hindenburg

C’è da aggiungere che la repressione si abbatté pure su un nazista di sinistra come Gregor Strasser, sui conservatori, tra cui il generale Kurt von Schleicher, e sui membri della cerchia di von Papen, Jung e Bose. Non c’è che dire: un’autentica mattanza. Rimane ancora incerto il numero dei trucidati, ma è probabile che il bilancio del sanguinoso regolamento di conti all’interno del nazismo ammontasse non a settanta, ma addirittura a 401 vittime. Con questo massacro senza precedenti fu decapitato, in un sol colpo, il vertice delle SA, che passarono sotto il comando di Viktor Lutze, camicia bruna della prima ora, progressivamente dimezzandosi e riducendosi a mero strumento propagandistico della Nsdap. Ad avvantaggiarsi dell’azione criminosa perpetrata il 30 giugno 1934 furono, oltre Hitler e Göring, Himmler e Heydrich. Da quel momento cominciò la marcia trionfale dell’«ordine nero» delle SS, che divenne l’efficiente e spietata spina dorsale dello Stato hitleriano. Siederà tra i principali artefici dello sterminio di milioni di «nemici politico-razziali» del Terzo Reich; del processo “scientifico” di disumanizzazione, di schiavizzazione, di svuotamento di ogni volontà reattiva a scapito del considerevole numero di deportati da tutt’Europa nell’intricata rete dei Lager nazisti.

Enorme fu l’indignazione negli altri Paesi per l’efferato episodio di gangsterismo politico consumatosi nella «Notte dei lunghi coltelli». Il grande drammaturgo Bertolt Brecht – uno dei tanti intellettuali tedeschi costretti all’esilio per sfuggire alla repressione nazista – vi alluderà chiaramente nella sua opera del 1941, La resistibile ascesa di Arturo Ui, che racconta la storia di un immaginario criminale della Chicago degli anni Trenta, capace di arrivare a controllare il racket dei cavolfiori, eliminando senza pietà il suo rivale – e il riferimento non poteva essere più esplicito – Ernesto Roma.

Il 13 luglio 1934, Hitler giustificò il micidiale repulisti di elementi “pericolosi e degenerati”, presenti nel movimento nazista, con un discorso trasmesso alla radio e diffuso dagli altoparlanti nei locali pubblici e nelle piazze dell’intero Paese. Benché gli fossero noti da molto tempo, denunciò pure quelli che per lui erano i ‘riprovevoli’ comportamenti omosessuali di Röhm e di altri dirigenti delle SA. Anche per questa via fece ricorso alla retorica della «purificazione» per ricevere l’approvazione dell’opinione pubblica benpensante.

Il comando della Gestapo in Prinz-Albrecht-Straße 8 a Berlino

Se era stata messa la museruola alla violenza selvaggia e disordinata delle SA, è altresì vero che ebbe allora inizio il regno del terrore organizzato delle SS e della Gestapo. Con evidente soddisfazione, la borghesia nelle sue varie articolazioni e le Forze Armate accettarono l’istituzione di un assolutismo monocratico in cui tutto veniva piegato alla volontà di Hitler: diritto, leggi, morale, lo Stato stesso. Con la formula «il Führer è custode del diritto» Carl Schmitt avallava, sul piano dottrinario, il distacco da tutta la tradizione del moderno Stato di diritto e costituzionale. Qualunque decisione di Hitler – sottolineava il famoso giurista e politologo – avrebbe dovuto avere valore di legge, in quanto il Führer era il sovrano e perciò stesso la fonte del diritto, colui che aveva «l’autorità di giudicare». Teorizzava, in questo modo, la necessità di concentrare la potestà di comando in un capo, a cui spettava il compito di stanare i “nemici del popolo” e a cui si doveva prestare un giuramento di fedeltà.

Il 2 agosto con la morte del presidente Hindenburg, la Reichswehr giura fedeltà al «Führer e cancelliere» Adolf Hitler, che impose l’abolizione «per l’eternità» del titolo di «presidente del Reich»

Perché venisse completato l’edificio dello Stato nazista bastò attendere appena un mese dalla lunga serie di omicidi che avevano colpito le SA e gli altri potenziali oppositori del regime hitleriano. Senza aspettare la morte di Hindenburg, la sera del 1° agosto 1934 Hitler fece promulgare la «legge sul capo supremo del Reich tedesco», che unificava in una sola persona le cariche di cancelliere e presidente a partire dall’annuncio del decesso dell’ottuagenario feldmaresciallo. Il 2 agosto Hindenburg esalò l’ultimo respiro e lo stesso giorno la Reichswehr giurò fedeltà al «Führer e cancelliere» Adolf Hitler, il quale impose l’abolizione «per l’eternità» del titolo di «presidente del Reich».

Hitler, interpretato da Charlie Chaplin ne “Il grande dittatore”

Nel giro di qualche settimana Hitler era, dunque, riuscito a rendere granitico il suo dominio, sbarazzandosi, in una sola volta, di due preoccupanti focolai di tensione. Il 19 agosto 1934 un plebiscito ratificò la posizione di assoluta onnipotenza da lui raggiunta con la fusione nella sua persona delle cariche di capo supremo dello Stato, capo del governo, massima guida del partito e comandante supremo delle Forze Armate. Autorità a cui toccava l’ultima, decisiva parola, Hitler assurgeva così ad arbitro indiscusso della «policrazia nazista», ossia della pluralità di istituzioni, spesso in conflitto tra loro, che amministravano lo Stato. Uno Stato che pretendeva essere l’espressione del Volk, della «comunità etnica», razzialmente pura, fondata sul sangue e la terra. Di qui la lotta contro ogni diversità, contro ogni minoranza: ebrei, sinti e rom, “asociali”, prostitute, dissidenti politici e omosessuali.

L’esito della consultazione elettorale tenutasi nell’estate del 1934 (89,9% di suffragi a favore, sul 95,7% di votanti) attestò per certi versi la capacità di penetrazione del regime nazista, destinata a rafforzarsi sulle ali dei suoi crescenti successi in politica interna ed estera. Di lì a non molto, però, la Germania nonché l’Europa avrebbero avuto di che dolersi per quell’esteso e infausto consenso tributato a un totalitarismo criminale, che catapulterà il mondo nella più grande – finora – tragedia dell’umanità.

Francesco Soverina, storico