Beatriz “Tati” Allende, la secondogenita del presidente, era stata sempre restìa a concedere interviste e rilasciare dichiarazioni dal giorno del suo arrivo a Cuba, nel settembre 1973, e la sua unica partecipazione a una manifestazione pubblica risaliva al discorso fatto a Plaza de la Revolución il 28 settembre 1973, nel corso del quale raccontò la sua esperienza diretta alla tragica difesa del palazzo presidenziale de La Moneda durante l’attacco golpista, due ore prima la morte di suo padre, il presidente della Repubblica Salvador Allende. La prima volta che era stata a Cuba risaliva al 1960, con una delegazione di studenti dell’Università di Concepción, ed è stata quella l’occasione di conoscere il comandante Ernesto Che Guevara, che invece il padre aveva già incontrato nell’isola agli esordi della rivoluzione.
Fino a quel 28 settembre Beatriz Allende non aveva mai affrontato una folla come quella che l’ascoltava e l’applaudiva quel giorno in Plaza de la Revolución. Fidel Castro regolò i microfoni, troppo alti per lei. Per brevi istanti la sua voce rimbombò, allora si voltò e il líder máximo le rivolse parole di incoraggiamento: “Va bene. Un po’ piú distante”.
Prese fiato e iniziò a raccontare: “Non sono qui per fare un discorso, sono qui semplicemente per raccontare a questo popolo solidale e fraterno come abbiamo vissuto la mattina dell’11 settembre nel palazzo della Moneda. Sono qui per dirvi quale fu l’atteggiamento, quale l’azione e quale il pensiero del compagno presidente Salvador Allende sotto l’attacco dei militari traditori e fascisti”.
“Certamente – continuò – il popolo cubano conosce la verità, ma in molti altri paesi la campagna di menzogne scatenata dalla giunta fascista e assecondata dall’imperialismo Usa cerca di stendere un velo sui fatti della Moneda, trincea di combattimento di Allende. Sono qui per confermare che il presidente del Cile lottò fino all’ultimo con le armi in pugno. Che difese fino all’ultimo respiro il mandato che il popolo gli aveva affidato, la causa della rivoluzione cilena, la causa del socialismo. Il presidente Salvador Allende cadde sotto i colpi nemici come un soldato della rivoluzione, senza esitazioni, con l’assoluta fiducia, con l’ottimismo di chi sa che il popolo cileno supererà qualsiasi ostacolo e lotterà senza tregua sino alla vittoria definitiva”.
“Cadde – disse ancora Beatriz – con l’incrollabile fiducia nella forza del popolo, con la piena consapevolezza del significato storico della sua scelta di difendere a costo della vita la causa dei lavoratori e degli umili. […] Quella mattina di martedì 11 ricevemmo notizie inquietanti e venimmo a sapere che il presidente Allende, molto di buon’ora, si era recato al palazzo. Ci andammo anche noi senza sospettare la enormità di quanto stava per accadere”. Il colpo di Stato di martedì 11 settembre fu un’operazione schiacciante e fulminea, preparata nei dettagli dai cospiratori, contro la quale la scarsa resistenza organizzata fu minima.
Quella mattina Beatriz, sebbene fosse in attesa di otto mesi, arrivò alle 8.50 al palazzo de La Moneda armata di un revolver e la borsa piena di caricatori: “Non sapevamo quale fosse la situazione, per me era chiaro che quello fosse il mio posto”.
Alle 10.30 il presidente Allende riunì tutto il personale che si trovava nel palazzo presidenziale insieme a lui. “Nel passargli una delle molte telefonate che continuavano ad arrivare, lo vidi per la prima volta. Era sereno, ascoltava tranquillamente le diverse informazioni, dava ordini e risposte che non ammettevano discussioni. Aveva personalmente già controllato, e l’avrebbe fatto ancora più volte, i posti di combattimento, correggendo la posizione di tiro di alcuni compagni”.
Beatriz iniziò ad avere qualche contrazione a seguito dei primi attacchi dell’artiglieria, ma non volle lasciare La Moneda, e riuscì a parlare un momento da sola con il presidente: “mi ripeté che avrebbe combattuto fino alla fine. Che per lui era molto chiaro ciò che sarebbe accaduto, ma che avrebbe cercato di condurre la battaglia nel modo migliore. Che sarebbe stata dura, e che si trovavano in svantaggio. Aggiunse che sapeva che questo era l’unico comportamento che gli spettasse come rivoluzionario, come presidente costituzionale, per difendere l’autorità che il popolo gli aveva affidato. Non arrendendosi, né consegnandosi mai avrebbe lasciato senza maschera tutti i militari traditori e fascisti”. Poi “insistette molto duramente, con tono perentorio che dovevo andarmene. […] Quando salimmo [sull’automobile] provai un sentimento di colpa enorme, anche se ero consapevole che fosse inutile. Sapevo che non avrei rivisto mio papà”.
Anche il giovane sociologo francese Alain Touraine si trovava nel centro della capitale al momento dell’attacco più violento: “Mezzogiorno. È di colpo il frastuono. Gli aerei passano a volo radente: bombardano la Moneda e si alzano impennandosi proprio sopra di me. L’edificio vibra. I carri armati, che devono essere dall’altra parte del palazzo, su piazza della Costituzione, tirano cannonate. Un istante dopo, un comunicato annuncia che Allende, invitato a arrendersi, ha rifiutato. A mezzogiorno e un quarto una nuvola nera s’alza dalla Moneda. Nell’ala che più dista da me”.
Mai si era visto un attacco tanto violento nei confronti di un capo di Stato. Per quindici minuti due aerei Hawker Hunter bombardarono La Moneda. Gli aerei erano presenti nei cieli della capitale alle 11:55 e dopo un giro intorno al palazzo presidenziale, presero posizione per scendere in direzione de La Moneda. Il primo aereo non sparò. L’altro aereo passò molto in alto. Entrambi virarono ancora e, a circa un chilometro di distanza, puntarono in direzione del bersaglio. I due aerei lanciarono due bombe a razzo, che subito esplosero. In un quarto e quinto passaggio, gli aerei continuarono a bombardare l’antico Palazzo di Toesca, e si notò che la potenza esplosiva delle bombe stava aumentando. Passarono di nuovo – per la sesta e la settima volta – e continuarono a sganciare bombe a alta potenza. Quando gli aerei si avvicinarono a La Moneda per l’ottava volta, si sentì che venivano attaccati con raffiche di mitragliatrici dall’alto degli edifici circostanti. Gli Hawker Hunters bombardarono La Moneda per la decima e undicesima volta con l’appoggio a terra dei carri armati. L’orologio segnava le 12:06 e per la prima volta si vide del fumo uscire dalla parte anteriore del palazzo. La Moneda era in fiamme. Furono quindi minuti di attacchi e si contarono ben diciassette bombe.
Il compañero presidente si rivolse via radio al popolo cileno con cinque messaggi prima di togliersi la vita pur di non cadere nelle mani dei militari golpisti. L’ultimo venne trasmesso alle 9.10 da Radio Magallanes.
Nel frattempo la figlia Beatriz si rifugiò nell’ambasciata cubana che venne attaccata dai militari golpisti e il giorno seguente, insieme alla sua famiglia, prese il primo aereo per L’Avana.
Dopo poche settimane Cuba divenne una delle mete dell’esilio cileno grazie a Beatriz Allende e alla mobilitazione di Sergio Politoff, giurista già membro del governo Allende, che fondò nell’isola il Comité chileno de solidaridad con la resistencia antifascista, che in breve tempo divenne un punto riferimento in America Centrale insieme al Messico.
Andrea Mulas, autore di numerosi libri, tra le più recenti pubblicazioni segnaliamo L’altro settembre. Allende e la via cilena al socialismo (Bordeaux, 2023) e La storia spezzata. Cile 1970-1973 (Nova Delphi, 2023).
Pubblicato martedì 12 Settembre 2023
Stampato il 23/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/persone-e-luoghi/storia/beatriz-tati-allende-il-companero-presidente-vive/