Venerdì 25 settembre a Trieste non c’erano ancora le anticipazioni d’inverno che i giorni successivi hanno travolto di freddo e pioggia gran parte della penisola. Camicia con maniche lunghe e giacca, avevo caldo nella bella sede dell’Anpi provinciale di Trieste. Assieme a me, tre compagni dell’Anpi con ruoli dirigenti nella Federazione Internazionale Resistenti: Mari Franceschini, Filippo Giuffrida, Alessandro Pollio Salimbeni. C’era il presidente Anpi di Udine e coordinatore regionale Dino Spaghero, Patrik Zulian del Comitato nazionale Anpi, i presidenti provinciali Anpi di Trieste e Gorizia, Fabio Vallon ed Ennio Pironi. Una squadra articolata, perché l’incontro con la delegazione di ZZ NOB, l’associazione di partigiani sloveni, meritava una presenza a tutto campo: i territori storicamente più coinvolti, con una forte presenza di lingua slovena, la dimensione sovranazionale, in particolare europea, il quadro nazionale, e perciò il rappresentante dell’Anpi nazionale.
Dunque, caldo a Trieste il 25 settembre. E caldo è stato l’incontro col presidente ZZ NOB Marijan Križman e con altri autorevoli rappresentanti dell’associazione slovena. Era stato proprio Križman a richiedere la riunione per dare continuità ad una relazione antica, particolarmente feconda negli ultimi anni e dal 2013 scandita da convegni in tante località: Gorizia, Aquileia, Lubiana, Sezana, Klagenfurt, Zagabria, per citarne alcune. Oggi Trieste, nuova tappa. Nuova in tutti i sensi perché – per così dire – specificamente programmatica. Si è infatti concordato su di un calendario di iniziative a lunga scadenza, che potrebbero scandire i rapporti sempre più stretti fra le due associazioni.
Tutte le storie di confine sono drammatiche, ma la storia di quel confine è più che drammatica e parte da lontano: dal fascismo – appunto – di confine, che operò per decenni con l’obiettivo di snazionalizzare i residenti di lingua e cultura slovena e croata con grande e non meritorio impegno del Tribunale speciale; poi, dopo l’Albania e la Grecia, l’invasione italiana della Jugoslavia nel triste aprile 1941; di conseguenza la nascita della “provincia” di Lubiana, la resistenza slovena, la repressione italiana, la “guerra senza limiti” e infine la liberazione. Ma tante ferite non si sono ancora rimarginate; basti pensare alle puntuali polemiche sulle foibe e sull’esodo che ogni anno, a partire da tragedie vere che hanno funestato il confine, ignorano consapevolmente il contesto in cui si sono collocate, e cioè la snazionalizzazione, l’invasione, la repressione sanguinosa, il sacrosanto conflitto dei partigiani italiani e sloveni contro i nazifascisti, e cioè quella storia del 900 di cui si parla nella legge istitutiva della Giornata del ricordo come “la più complessa vicenda del confine orientale”. Per dirla con le parole di Dino Spanghero, “ogni occasione è buona per mistificare, sì, mistificare, la storia con un chiaro seppur latente tentativo di ridurre la Resistenza a mero fatto militare (e quindi, secondo loro, di minima rilevanza) e poi equiparare, dopo 75 anni, vincitori e vinti, facendo leva su un falso sentimento nazionalistico, omettendo di pari passo le notizie storiche (narodni dom, invasione della Jugoslavia, deslavizzazione, razzismo)”.
Arrivando al sodo: nell’incontro si è condiviso – come si accennava – un programma di lavoro da realizzare nel tempo, cioè nel corso di alcuni anni. Questi i titoli principali: un convegno comune a Roma all’inizio del 2021 sull’invasione italiana della Jugoslavia in occasione dell’80° anniversario; un’iniziativa per ricordare la tragedia del campo di detenzione dell’isola di Arbe, dove trovarono la morte circa 1500 deportati civili sloveni, ma anche italiani e croati; un incontro a Lubiana per ricordare la rappresaglia di Gramozni Jama con l’eccidio di 180 ostaggi sloveni; la larga pubblicizzazione della relazione della commissione mista storico culturale italo-slovena istituita a cavallo del secolo su decisione dei ministri degli Esteri dei due Paesi in merito ai rapporti italo-sloveni (1880-1956) e ampiamente ignorata dalle autorità italiane; un ulteriore intervento a livello nazionale in Italia teso a far cessare la vergogna dell’insopportabile esposizione dei labari della X MAS in particolare a Gorizia, con tanto di beneplacito delle istituzioni locali, in alcune circostanze commemorative; la richiesta di annullamento della sentenza di condanna a morte per reato di terrorismo da parte del tribunale speciale nei confronti dei martiri sloveni ricordati dalla lapide di Basovizza.
Più in generale, le due associazioni si sono ritrovate in un comune sentire felicemente riassunto dal presidente Marijan Križman: “Le organizzazioni hanno preso una posizione simile o uguale riguardo un vasto numero di questioni fondamentali sulla storia e sulla situazione internazionale attuale: condanna del regime fascista, vittoria della Grande coalizione contro il fascismo ed il nazismo senza eccezioni, importanza di combattere chiaramente ogni forma di neofascismo e revisionismo storico, preservare una memoria storica corretta ed ambire a promuovere la pace, la solidarietà e l’ottima collaborazione bilaterale ed internazionale”. Tutto ciò – ho aggiunto – avviene in un contesto europeo e mondiale assai deteriorato, in cui la maggioranza delle destre dominanti oggi nel mondo ha abbandonato la tradizionale prospettiva liberalconservatrice facendo proprie le teorie e le pratiche, spesso violente, della destra radicale. Bush, col suprematismo bianco, Bolsonaro, Johnson, Orban, Andrzej Duda in Polonia, ciascuno seguendo una propria “via nazionale”, hanno sdoganato ideologie e politiche parzialmente o totalmente illiberali, e stanno percorrendo la strada di un nuovo nazionalismo chiamato sovranismo, presente anche e fortemente in Italia, e che spesso si lega a modalità di protezionismo economico e alle volte si sposa con forme vecchie e nuove di razzismo”.
Il tutto in un contesto europeo in cui è sempre più urgente un coordinamento sovranazionale fra gli antifascisti. Insomma, il ruolo della FIR. Senza mai dimenticare la funzione insostituibile dell’Anpi del Friuli Venezia Giulia e in particolare dei territori di confine, a cominciare da Trieste e Gorizia.
Poi conferenza stampa, pranzo e ritorno a casa in treno, mentre si aggrovigliavano i primi nuvoloni con l’inizio delle piogge che annunciavano in modo precipitoso un violento cambio di stagione.
Ma il caldo è rimasto dentro. Il caldo di un’intesa politica e ideale fra i partigiani e i loro eredi italiani e i partigiani e i loro eredi sloveni, il cui obiettivo va oltre la ricostruzione di una memoria di verità e giustizia per una terra troppo a lungo sfortunata, e guarda alla costruzione di rapporti sempre migliori fra due Paesi e due popoli che il fascismo aveva voluto dividere. Perché Lubiana non è più e non sarà mai più una provincia italiana, ma una dolce e verde città vicina, in cui ci sarà pure un motivo se il suo parco più grande si chiama Tivoli. E il confine italo sloveno non è più e non sarà mai più una frontiera da violare con i cingolati ma la porta di comunicazione fra le case di due amici.
Pubblicato lunedì 28 Settembre 2020
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