Con queste parole allarmate il 22 ottobre 1944 l’arcivescovo di Udine Giuseppe Nogara descriveva alla Segreteria di Stato vaticana il contingente inviato dai tedeschi in Friuli per contrastare il locale movimento partigiano. Dalla tarda estate del 1944 sino ai primi giorni di maggio del 1945 la Carnia e parte del Friuli furono occupate da una formazione collaborazionista composta da militari di origine cosacca e caucasica che giunsero in regione accompagnati dai propri civili, veri e propri profughi che seguivano gli armati con carriaggi e con tutto quanto avevano potuto portare durante una lunga ritirata che li aveva condotti dalla Russia meridionale all’Italia attraverso l’Ucraina, la Bielorussia e la Polonia.
Il loro insediamento in Friuli fu conseguenza della collaborazione intrapresa con la Germania nazista dalle truppe sul fronte orientale e dalle élite nei circoli d’emigrazione a partire dal 1941; in un processo complesso plasmato da ragioni militari, politiche, ideologiche ed economiche, si giunse a concedere alcuni riconoscimenti politico-militari (fra tutti il decreto di Keitel e Rosenberg garantì ai cosacchi ricompense e zone di insediamento); questo fece in modo che, dopo la sconfitta di Stalingrado, molti cosacchi e caucasici seguissero i tedeschi in ritirata venendo impiegati nella lotta anti-partigiana nell’Europa orientale (le tappe principali del ripiegamento furono Proskurov, Novogrudk, Baranovichi e Zdusnka Wola).
Le truppe cosacco-caucasiche giunsero in Friuli perché dal settembre 1943 la regione era divenuta parte dell’Adriatisches Küstenland, una zona di operazioni comprendente il Friuli Venezia Giulia, l’Istria, il Quarnaro e parte delle Slovenia. Dato che nel Litorale Adriatico era in corso un’intensa lotta ai movimenti resistenziali, fu deciso che le truppe collaborazioniste avrebbero partecipato all’eliminazione delle Zone libere partigiane costituite nell’estate del 1944 e contribuito alla lotta alle bande. Di fatto fu concesso un territorio, denominato Kosakenland in Nord Italien, nel quale cosacchi e caucasici si stanziarono ricomponendo tutte le strutture istituzionali necessarie al loro sostentamento. Nonostante ciò sia stato interpretato spesso come la concessione di una vera e propria nuova patria, le autorità tedesche la ritennero una soluzione temporanea; esse non volevano costituire uno stato cosacco al confine del Reich, in un territorio sul quale avevano delle mire annessionistiche.
Al loro arrivo in Italia i reparti cosacco-caucasici si presentarono come un contingente variegato per età e preparazione, armato con le armi più disparate raccolte nelle numerose peregrinazioni, vestito con diverse divise (tra le quali quelle tradizionali cosacche) seppur sempre contraddistinte dal tipico colbacco. Con i militari giunse un gran numero di cavalli ed anche una ventina di cammelli. I cosacchi appartenevano a estrazioni sociali e culturali diverse, ma si dimostrarono gelosi e fieri delle proprie tradizioni e non mancarono di esibire il loro caratteristico spirito d’avventura e l’atteggiamento guerresco. Subito i militari furono impiegati sotto il diretto controllo delle SS nelle azioni contro i partigiani del Friuli orientale e l’8 ottobre 1944 parteciparono all’operazione Waldläufer contro la Repubblica partigiana della Carnia.
I rastrellamenti si svolsero in un clima di terrore; numerose furono le violenze contro la popolazione civile, una quindicina le vittime, molte le persone ferite, percosse e deportate in Germania. Furono commessi stupri, malversazioni, furti, incendi e saccheggi di interi paesi con ingentissimi danni. Nei paesi rastrellati le truppe cosacche e caucasiche, spesso compiendo ulteriori efferatezze, sfollamenti e razzie, presero possesso del territorio riproponendo i metodi contro-insurrezionali adottati in Polonia e Bielorussia. Dalla popolazione locale l’arrivo dei cosacchi fu percepito come un episodio di violenta e inattesa depredazione.
Poiché il contingente si articolava in due gruppi etnici distinti, caratterizzati da diverse tradizioni, usi e religione (la maggior parte dei cosacchi era cristiana ortodossa mentre molti caucasici erano musulmani), l’occupazione si articolò in due principali zone; la parte settentrionale della Carnia fu gestita dai caucasici del generale Sultan Ghirey-Kitsch, la parte meridionale fu occupata dai soldati cosacchi agli ordini dell’atamano Domanov. Nella cittadina di Tolmezzo trovarono sede i maggiori organi amministrativi; i paesi di Alesso, Cavazzo e Trasaghis furono ribattezzati Novočerkassk, Krasnodar e Novorossiysk e trasformati in vere e proprie stanize, villaggi cosacchi. Nel territorio occupato furono organizzati presidi, Comandi e accademie militari, scuole, tribunali, ospedali, tipografie, teatri e spazi per i luoghi di culto; nel mese di febbraio del 1945, giunse da Berlino anche l’atamano Krasnov, acceso oppositore del bolscevismo e vertice dell’Amministrazione centrale degli eserciti cosacchi.
Si instaurò una difficile convivenza con la popolazione locale che dovette cedere le proprie abitazioni e parte delle risorse primarie di sostentamento come cibo e foraggio per i molti cavalli di cui disponeva il contingente e dovette subire ancora violenze, prepotenze e vessazioni per tutto il periodo di occupazione. Pur se non mancarono tentativi di comprensione e avvicinamento reciproci – soprattutto da parte dei civili – venne instaurato un regime poliziesco e terroristico caratterizzato da violenza, prevaricazione e ristrettezza di mezzi e risorse.
Il contingente lasciò il Friuli nei primi giorni di maggio del 1945, quando fu intrapresa una dura ritirata verso i centri di Lienz e Oberdrauburg. Qui avvenne la resa agli Alleati. Secondo gli accordi della Conferenza di Yalta, oltre 20.000 persone – il contingente cosacco-caucasico ed i civili – vennero consegnati all’Unione Sovietica. Consci di quanto sarebbe accaduto al ritorno in URSS molti misero in atto forme attive e passive di resistenza, alcuni tentarono la fuga, altri si suicidarono; la gran parte degli ufficiali morirono nei campi e tutti i leader del movimento collaborazionista furono giustiziati.
Questa vicenda, un unicum nella Seconda guerra mondiale in Italia, ha lasciato una traccia profonda nella memoria della popolazione per l’impatto militare, economico, politico, sociale ed anche emotivo che ha comportato e che per questo ha ispirato diverse ricerche ed anche alcune opere letterarie.
Fabio Verardo, Dottorando in studi storici presso l’Università degli Studi di Trento
Pubblicato giovedì 5 Novembre 2015
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