Nonostante tutto, quella del 21 dicembre è stata una buona giornata per l’antifascismo barese. Certo, sarebbe ipocrita non confessare un pizzico di delusione per la nuova battuta d’arresto subita dal processo che vede alla sbarra 28 aderenti a CasaPound per tentata ricostituzione del disciolto partito fascista, e dieci di loro anche per lesioni aggravate ai danni di un gruppo di cittadini (fra cui Eleonora Forenza, all’epoca europarlamentare di Sinistra Europea) che tornavano, il 21 settembre 2018, da una manifestazione di protesta contro la presenza a Bari di Matteo Salvini, all’epoca ministro dell’Interno.
La prima udienza, fissata per il 12 ottobre scorso, era stata sospesa e aggiornata a causa di un difetto di notifica; questa volta, il magistrato ha rimesso gli atti al Pm eccependo che i reati contestati non sono di competenza monocratica (come peraltro aveva paventato Patria indipendente due mesi fa), e invitando a disporre il rinvio a giudizio degli imputati.
Di fronte al giudice monocratico compariranno invece i cinque giovani di sinistra accusati di resistenza a pubblico ufficiale per avere spintonato alcuni agenti delle forze dell’ordine nelle fasi concitate che fecero seguito all’aggressione neofascista.
La loro posizione è stata nei fatti stralciata dal processo; e il provvedimento fa giustizia di un duplice equivoco, tecnico e politico. Se per un verso, infatti, sembrava quanto meno azzardato equiparare i reati contestati ai mazzieri di CasaPound a quelli addebitati ai militanti del collettivo antifascista, per l’altro avere incluso aggressori e vittime all’interno del medesimo procedimento lasciava trasparire la vecchia logica degli opposti estremismi. Una volta sollevata l’eccezione di incompetenza, non si è potuto dare seguito neppure alle richieste di costituzione di parte civile avanzate dall’Anpi, dal Comune di Bari, dalla Regione Puglia e dal Partito della Rifondazione comunista. Detto in sintesi, il processo riparte da zero; per meglio dire, non si è ancora riusciti a farlo partire.
Già prima dell’inizio della (breve) udienza, numerosi attivisti del Coordinamento cittadino antifascista (composto da Anpi, Cgil, Arci, Libera, Link e Rete della conoscenza), del Prc, di altri circoli e collettivi giovanili, con striscioni, cartelli e bandiere, si erano radunati davanti alla sede del tribunale penale, per rinnovare la loro testimonianza di fede nei valori della Resistenza e nei principi della Costituzione repubblicana, nonché per ribadire la ferma volontà di opporsi democraticamente alla violenza fascista.
Quando nell’aula di giustizia è arrivata l’eco del canto di “Bella ciao” ripetutamente intonato dai manifestanti, un legale del collegio di difesa dei neofascisti ha sollecitato il giudice a intervenire per fare cessare i cori che, a suo avviso, interferivano con il regolare svolgimento dell’udienza e procuravano dunque disturbo all’ordine pubblico; aggiungendo che avrebbe preferito ascoltare una canzone di Al Bano. Il magistrato ha replicato, con tono infastidito, che la sua responsabilità in materia è circoscritta allo spazio degli uffici giudiziari; e il Pm ha rammentato che la libertà d’espressione è garantita dalla Costituzione.
Dal canto loro gli antifascisti, informati della provocatoria petizione dell’avvocato degli squadristi e ritenendo che la risposta più adeguata consistesse in uno sberleffo, hanno diffuso tramite megafono le note di “Felicità” (notissimo brano del cantante pugliese), suscitando l’ilarità dei presenti all’udienza.
Ogni riunione della famiglia degli antifascisti è un momento in cui si rinvigorisce il sentimento di una comune appartenenza, si consolida l’impegno a battersi per gli ideali in cui si crede, si ravviva la consapevolezza delle proprie ragioni e della propria forza. Ma in queste circostanze è pure rassicurante avere conferma della solidarietà delle istituzioni locali.
Subito dopo la conclusione dell’udienza, la piccola folla che si era raccolta dinanzi al tribunale penale si è trasferita al Municipio. Qui il Coordinamento antifascista ha fatto dono al sindaco di un grande pannello in cui è riprodotta la mappa della città, e sono evidenziati i luoghi che hanno ospitato gli eventi più significativi della lotta democratica e popolare al fascismo.
A conclusione della rapida, cordialmente informale cerimonia della consegna, dopo che la segretaria della Camera del lavoro Gigia Bucci e la vicepresidente provinciale dell’Anpi Anna Lepore hanno spiegato il senso dell’iniziativa, la civica amministrazione ha assicurato, per il tramite dell’assessore alla cultura Ines Pierucci, che collocherà stabilmente il pannello a fianco del portone d’accesso a Palazzo di città.
È certo difficile immaginare che qualche turista di passaggio sia invogliato dalla lettura della mappa a recarsi, dopo la visita alla basilica di san Nicola e al castello svevo, in via Niccolò dell’Arca, dove si consumò la strage del 28 luglio 1943, magari soffermandosi presso il sobrio monumento dedicato alle vittime della repressione badogliana. Più ragionevole è supporre che i molti baresi i quali quotidianamente entrano nella residenza municipale, alla vista del pannello, si ricordino del passato antifascista della loro città e interpretino quell’oggetto come un umile segno di condivisione dell’eredità di valori trasmessa dalla Resistenza, come un sommesso appello a difendere e a realizzare i principi fondamentali della democrazia repubblicana.
Ferdinando Pappalardo, vice presidente nazionale Anpi, presidente Comitato provinciale Anpi Bari
Pubblicato martedì 22 Dicembre 2020
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