Ha mietuto vittime nelle corsie d’ospedale il Covid-19. E continua a picchiare duro. Ma ha impattato anche sulle imprese italiane con forza inaudita. Nello studio dal titolo “Gli effetti della pandemia sul fabbisogno di liquidità, sul bilancio e sulla rischiosità delle imprese”, Bankitalia certifica che senza le misure di sostegno del governo 101mila imprese “sarebbero entrate in crisi entro il 2020, con un deficit di patrimonio di 28 miliardi”. Ma a questa lettura se ne sovrappone un’altra e questa non regala nemmeno un’oncia di ottimismo. Perché, nonostante le misure adottate con i decreti Cura Italia, Liquidità e Rilancio, il numero delle imprese in crisi è comunque altissimo, 88mila, prosegue via Nazionale, sottolineando come, anche in assenza della pandemia, 70mila imprese si sarebbero trovate in crisi entro la fine di quest’anno.
Insomma, le misure del governo hanno “ridotto, pur non eliminandolo, il peggioramento nelle condizioni patrimoniali” delle imprese. La diminuzione del fatturato sarà comunque ampia. Ovviamente, di intensità differenziata tra un settore e l’altro. Quelli dove la pandemia ha colpito più forte sono l’alberghiero, la ristorazione, il turismo e le attività artistiche e di intrattenimento. Qualcosa come una perdita di circa 7 miliardi.
Dietro questi numeri c’è non solo la fragilità del nostro sistema produttivo, ci sono persone, progetti di vita, figli da mandare a scuola, frigoriferi da riempire e bollette da pagare. E c’è in agguato il circolo vizioso carenza di credito-fallimenti e il rischio concreto di un impoverimento che non è solamente economico, ma culturale e valoriale. E, manco a dirlo, il rischio che la criminalità organizzata approfitti della situazione per riciclare il suo denaro sporco, comprando a prezzo di saldi imprese sull’orlo del baratro.
Quest’anno, calcola l’ufficio studi della Cgia di Mestre, ogni italiano perderà mediamente quasi 2.500 euro, con punte di 3.456 euro a Firenze, 3.603 a Bologna, 3.645 a Modena, 4.058 a Bolzano e addirittura di 5.575 euro a Milano. Il Lazio sta praticamente nella media nazionale, segnando una perdita di 2.527 euro. Altro dato allarmante evidenziato dagli artigiani mestrini è quello relativo al Mezzogiorno: anche se subirà una riduzione del Pil più contenuta rispetto a tutte le altre macro aree del Paese (con un -9 per cento), il Sud vedrà scivolare il Pil allo stesso livello del 1989. In termini di ricchezza, pertanto, “retrocederà” di ben 31 anni.
Giorni fa, la viceministra all’Economia Laura Castelli ha detto che va allargata la platea delle categorie che potranno usufruire dei ristori e che va modificato il criterio fin qui seguito. Solo che la famosa promessa di Giuseppe Conte, «nessuno rimarrà indietro», al momento pare sfilacciata. Così un Paese che aveva affrontato la prima fase dell’emergenza sanitaria con una forte dose di fiducia, oggi appare dubbioso e incerto quando non proprio critico.
Katiuscia Balsamo alza le braccia. Non è per sfiducia o pregiudizio sugli annunci di palazzo Chigi. È che finora non ha visto molto e quel che ha visto non la convince. Dal 2008 collabora come ufficio stampa e responsabile pianificazione artistica de “La Compagnia delle Stelle”, stabile da 13 anni al Teatro Sistina di Roma per l’organizzazione della stagione di spettacoli in matinée e pomeridiana. Nel 2012 il suo lavoro di organizzazione si è esteso anche ad altri teatri importanti della Capitale: Teatro Brancaccio, Teatro Olimpico e dal 2014 anche al Teatro Parioli.
«Tra Brancaccio e Sala Umberto avevamo una quantità di presenze, soltanto in termini di alunni, molto grande, con una media annua di 300mila spettatori – racconta Katiuscia – Si può immaginare cosa significa per un teatro: non solo perdere la promozione serale, ma anche la fetta di pubblico importantissima delle mattine, quindi i ragazzi di ogni ordine e grado a cui noi dedicavamo una programmazione specifica. Questo è un settore che purtroppo non si è minimamente riattivato, perché nessun dirigente scolastico si può permettere di autorizzare l’uscita dalla classe per andare a teatro».
Il distanziamento fisico è diventato distanziamento sociale, lockdown dei contatti umani. Una mazzata per il mondo della cultura. «Il pubblico delle mattine, i ragazzi, sono gli spettatori di domani, e noi ci tenevamo a educarli a venire a teatro, affinché un domani avessimo spettatori innamorati del teatro sin dai tempi della scuola. Quello che stiamo vivendo non è solo un danno economico incredibile per il nostro settore. È un danno culturale enorme per la società».
Il direttore artistico del Brancaccio e della Sala Umberto, Alessandro Longobardi, a inizio ottobre aveva provato a riaprire la Sala Umberto: «non certo per guadagnarci, perché questa possibilità ad oggi non esiste, ma per lanciare un segnale. Invece – spiega Balsamo – ci hanno bloccato. Eppure avevamo ridotto il numero degli spettatori, fatto investimenti e spese per metterci in regola con le misure di sicurezza, sanificato gli ambienti. Per quel che riguarda il Brancaccio, oltre a rivedere tutto l’impianto di aereazione si era addirittura pensato di mettere pannelli di plexigas fra una poltrona e l’altra». Non è servito a nulla.
Katiuscia Balsamo, fino all’arrivo del Covid viveva anche di danza. Ha infatti un progetto che si chiama “Danza e musical” all’Atelier della danza di Raffaele Paganini. Anche nel mondo su due punte, dice, le cose non vanno bene. Il settore è in totale crisi.
«Capisco bene l’esigenza di salvaguardare la salute delle persone, ma non è certo a teatro o nelle scuole di danza che si prende il Covid, semmai nelle discoteche, dove per tutta l’estate ha impazzato, incontrollata, la movida. La verità è che stiamo pagando gli errori commessi quando, in una sorta di tana liberi tutti, il governo ha lasciato briglia sciolta a comportamenti che hanno solo contribuito a diffondere il virus e preparato il terreno per la seconda ondata. Siamo passati senza soluzione di continuità da misure totalizzanti a misure inesistenti». La cosa che più amareggia Katiuscia, che le procura una vera e propria «sofferenza» è che il settore della cultura viene considerato non di valore e comunque sacrificabile. E poi c’è la sua vita. È in cassa integrazione, ma non riceve l’assegno da cinque mesi. Ha un mutuo sulle spalle e progetti di vita da rivedere in corsa.
«Qualcosa – dice – è stato fatto però è appena quel che basta per non annegare». «Siamo stati le prime vittime delle nuove restrizioni, i primi cui è stata imposto, con leggerezza, lo stop alle attività. Eppure lo sport e la danza hanno un valore fondamentale. Togliere ai ragazzi l’opportunità di fare una attività sportiva o una disciplina, significa lasciarli nell’incubo di internet per intere giornate».
Sempre restando nel campo della cultura sentiamo l’opinione della regista e attrice Natascia Bonacci». La sua compagnia fa teatro sociale, si chiama “La Maieutica”. Un termine che rimanda a Socrate e al suo metodo dialogico. «Vivere senza cultura, senza danza, senza musica e teatro per le persone che, come me, ne hanno fatto una scelta di vita, è una tragedia. Non è una tragedia soltanto dal punto di vista personale ed economico. Il problema è che la società ne risente in quanto si blocca quello che io chiamo il sistema della creatività. Un popolo per sopravvivere ha bisogno di stimoli continui e l’unica cosa che gli può dare è l’arte». E l’arte, ci dice Bonacci, «come una levatrice, aiuta gli altri a “partorire” la verità, la parte migliore di se».
Già, ma come usciremo dal Covid, chiediamo? «Ecco, anche oggi, soprattutto oggi, che il Covid sta spazzando via certezze consolidate e stili di vita è necessario che l’uomo torni a fare, in qualunque campo, le cose ad arte. Solo le cose fatte ad arte salveranno il mondo». Per la regista, il Covid ha solo reso manifesto quello che era già chiaro da tempo. «Purtroppo l’Italia, che pure è la culla dell’arte e che di cultura potrebbe vivere, per il nostro settore dà poco. Così poco che sembra quasi un’elemosina. Lo Stato non ci sta colpendo adesso. Ci ha sempre colpito. Noi non prendevamo sovvenzioni prima e non ne prendiamo neanche oggi. E se stiamo in piedi, nonostante tutto, è solo perché amiamo il nostro lavoro». Attenzione, non c’è nessun vittimismo nelle parole di Natascia, anzi. «Sopravviveremo con la nostra tenacia, con la scimitarra tra i denti, come si dice nella mia terra guerriera, la Calabria. Perché non esiste il fallimento, si chiama percorso, esperienza, scoperta. E speranza nel senso etimologico del termine, ovvero tendere verso una meta. E la meta è il giusto riconoscimento dell’arte e del lavoro fatto ad arte».
Dalla scimitarra tra i denti alla rosa tra i denti. Fuor di metafora parliamo della milonga. E pure sul versante del tango il cahier de doléances è lungo. Almeno a sentire Attilio Frugante maestro e titolare della storica “Tangofficina” di Roma. Per loro niente ristori. Ed è questo il nervo scoperto dei provvedimenti del governo. Perché essendo una associazione dilettantistica non ha diritto praticamente a nulla. «Ci hanno chiusi dai primi di marzo e ad oggi siamo ancora impossibilitati ad esercitare qualsivoglia attività. Nei mesi scorsi avevamo provato a fare lezioni almeno tra congiunti e invece anche questo c’è stato precluso. Una restrizione fuori luogo», ci spiega Frugante. Anche i maestri di tango che, almeno loro, speravano in un sostegno da parte del governo, non hanno ricevuto ancora nulla dai ristori.
C’è da dire che la linea di confine tra ristori sì/ristori no ha lasciato molti settori a bocca asciutta. Intanto passa per la partita Iva. Averla o meno fa la differenza tra il provare a tirare avanti o gettare la spugna. Vale per le attività ricreative gestite da Arci e Acli e in generale per il Terzo settore, ma anche per la piccola imprenditoria familiare.
Ne sa qualcosa Marianna Puledda che gestisce, anzi gestiva un piccolo B&B nei pressi di San Pietro. Da marzo l’attività è praticamente chiusa. E ovviamente non avendo partita Iva e un sistema fiscale semplificato non ha avuto ristori. La “fortuna” per Marianna è che l’attività di B&B è esercitata nell’ appartamento in cui vive. «Io non ho guadagnato nulla ma almeno non ho avuto spese. Per chi invece è in affitto è stato davvero problematico e la gran parte dei colleghi che conosco ha restituito le chiavi di casa. Qualcuno si è anche acconciato a cambiare attività, affittando le stanze agli studenti». La cosa che più angoscia lei e i tanti piccoli imprenditori del turismo è il fatto che non vedono la fine del tunnel: per una ripresa minima delle presenze si aspetta la prossima primavera. Sempre che il vaccino arrivi presto davvero.
Intanto circa il 15 per cento dei seimila ristoranti della Città Eterna, a sentire le associazioni di categoria, ha deciso di sospendere le attività. Con la chiusura alle 18 il fatturato dei locali ha conosciuto un calo drastico tanto nel centro storico svuotato di turisti quanto nelle zone periferiche della città. «Temo che il numero degli esercizi che non alzeranno più le saracinesche è destinato ad aumentare» ci racconta Antonella Mancinelli. Antonella con il fratello Fabio e la cugina Michela gestisce la trattoria “Ai villini”, locale storico fondato nel 1936 dai nonni. Il locale è in via Marcantonio Colonna, nel cuore del quartiere romano di Prati, in pieno centro cittadino. Arredamento semplice e familiare, nessuna concessione agli abbellimenti di facciata. La sostanza è tutta nel menù. «I miei nonni hanno resistito alla guerra e alla dittatura fascista. Con un po’ di fortuna resisteremo anche al Covid» sorride Antonella. Ma, aggiunge, la situazione «è davvero brutta e non si vede uno spiraglio di luce all’orizzonte».
A settembre, dopo la prima chiusura, il locale, che oltre ai gestori conta anche tre dipendenti, ora in cassa integrazione, aveva ripreso a lavorare. Nemmeno il tempo di gioire che sono scattate le nuove misure. Anche dal punto di vista psicologico è stato destabilizzante, «non ci dormo la notte pensando a quale sarà il nostro futuro e quello dei nostri dipendenti. Sei famiglie vivevano grazie a questo locale, chissà se sarà ancora così». La trattoria prova a fare il take away, ma «funziona poco».
E anche il giorno, principalmente per il crollo del turismo ma anche perché lo smart working ha svuotato parecchi uffici della zona, a cominciare dal Tribunale di piazza Cavour, i frequentatori della trattoria sono più che dimezzati. Il proprietario delle mura ha ritoccato al ribasso l’affitto «ma onestamente, in rapporto al crollo degli avventori, la riduzione ha rappresentato un pallido lenitivo».
I Mancinelli hanno goduto dei finanziamenti pubblici, calcolati sulla differenza di fatturato tra il 2019 e il 2020. «Seimila e settecento euro, con cui abbiamo pagato un mese di affitto». La salute «prima di tutto», ci tiene a sottolineare Antonella, «però è innegabile che qualcosa è andato storto quest’estate. Tutti i sacrifici fatti prima sono stati vanificati da comportamenti che non si sarebbero assolutamente dovuti permettere. Un’ultima cosa, vorrei dire. Nei confronti di chi si lamenta per quello che chiama un attentato alla libertà, dei negazionisti che hanno messo a ferro e fuoco le piazze italiane provo solo tanta rabbia e pena. Pazzi, sono pazzi davvero!».
Pubblicato giovedì 26 Novembre 2020
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