Nino Garau con le chiavi della città di Spilamberto, da lui liberata nel 1945 (da http://lanuovasardegna.gelocal.it/polopoly_fs/1.11297722.1429895833!/httpImage/image.jpg_gen/derivatives/detail_558/image.jpg)
Nino Garau con le chiavi della città di Spilamberto, da lui liberata nel 1945 (da http://lanuovasardegna.gelocal.it/polopoly_fs/ 1.11297722.1429895833!/httpImage/image.jpg_gen/derivatives/detail_558/image.jpg)

Scegliere a 20 anni: la Guerra di Liberazione dell’Italia dal nazifascismo”. Per inaugurare l’Anno Accademico 2016-17, oggi la lezione di storia agli studenti di Scienze sociali e delle istituzioni dell’Università di Cagliari la svolge Nino Garau, il comandante partigiano “Geppe”, della Brigata Casalgrandi, nel territorio di Modena. Un folto pubblico si raccoglie, già di buon mattino, nel cortile prospiciente l’Aula Teatro di via Nicolodi e, mentre il cameramen riprende la locandina dell’evento, Nino risponde alle ultime domande della giornalista, e si affretta poi verso il palco che ospita la presidenza, salutato dal caldo applauso dei giovani.

Per raccontare agli studenti la Resistenza e la vita del partigiano, bisogna instaurare un dialogo – dice Nino Garau – partendo dalle loro stesse sollecitazioni e dai loro interessi, dalla loro condizione attuale, che aiuta ad inquadrare gli avvenimenti storici e a capire il nostro presente. E inizia il suo discorso col 25 luglio e lo scioglimento del Gran Consiglio del Fascismo, fino ad arrivare all’8 settembre. Nell’Accademia dell’Aeronautica tutti fuggono, l’esercito è allo sbando e gli allievi, senza guida, sperano che gli aerei americani arrivino presto anche a Forlì. Con l’aiuto dei ferrovieri molti di loro possono abbandonare la città, mentre i tedeschi si apprestano ad occupare l’intero territorio, ed è allora che si impone la scelta.

salo3“Le scelte – afferma “Geppe” – per noi erano tre: aderire a Salò ed entrare nell’esercito tedesco; nascondersi, correndo il grave rischio della fucilazione o della deportazione, che colpiva anche chi ci avesse aiutato; oppure partecipare alla costituzione delle formazioni partigiane. Feci la mia scelta nella provincia di Modena, dove trovai ospitalità presso i parenti di mia madre, convinti antifascisti, e contribuii alla nascita delle prime formazioni partigiane, composte di giovani del luogo e sostenute dai vecchi antifascisti. Coordinai i combattenti, di qualsiasi idea fossero, per organizzare il 5° Settore della zona di Modena-Pianura e costruire un’unica Unità militare. Si contavano in zona, oltre a migliaia di contadini, all’incirca 2.000 operai, in particolare quelli della SIPE (Società italiana esplosivi) che, avendo scioperato dopo il 25 luglio, erano stati arrestati e poi liberati dopo l’8 settembre. Facevano parte della mia Brigata di Pianura operai e contadini, preti e comunisti; ricordo Sergio Cabassi, giovane comunista modenese, e i Balugani, padre e figlio, e poi persone di ogni provenienza, in un territorio controllato punto per punto dai tedeschi, dove innanzitutto bisognava costruire le basi logistiche e militari. Organizzate con i capifamiglia, le prime davano ospitalità ai partigiani, nelle seconde si nascondevano le armi, dentro i bidoni a tenuta stagna.

Tra la popolazione tutta coinvolta – continua Nino Garau – fui eletto Comandante della 13ª Brigata d’assalto Aldo Casalgrandi, il primo giovane impiccato dai tedeschi in quel territorio: quattro battaglioni, ciascuno il suo Comandante, e tre distaccamenti per ogni battaglione, con mappe e carte per studiare i luoghi. Nel territorio di Vignola, Spilamberto, Castelvetro, Lizzano, c’erano prima le Sap, poi i Gap, e poi la Brigata Casalgrandi, sempre impegnati a creare una fitta rete di informatori e di staffette, e ciascuno di noi aveva un suo nome di battaglia, perché fosse più difficile l’identificazione, trattandosi di lotta clandestina. Nella nostra formazione c’erano 270 partigiani armati e 480 patrioti, su tutti poi i commissari, che controllavano anche il movimento Assistenza. Una missione ci teneva in contatto con la 5ª Armata a Pescia, e le staffette ci mantenevano in contatto con la Linea Gotica. Gli alloggiamenti erano assicurati dalla presenza delle donne, che si prendevano cura di noi ed erano staffette e portavano il cibo e le armi e le munizioni, e tenevano i collegamenti e ci informavano sui posti di blocco tedeschi. Dal settembre del ’44 fino al 14 maggio ’45 riunii tutte le forze disponibili, secondo un’organizzazione perfetta, che ci assicurava in mezz’ora di conoscere tutte le notizie importanti, e un collegamento continuo tra i comandanti, quando c’erano azioni importanti da compiere. Quelle grandi solo di notte, di giorno con i mitra contro le auto che attraversavano il territorio. Ma anche contro i carri armati, secondo un piano che assicurasse poi la fuga immediata dei combattenti in direzioni diverse. E le armi ce le forniva la Missione Americana che, si sapeva, ai partigiani organizzati, preferiva piccoli gruppi di guastatori al suo servizio, da utilizzare nei momenti più importanti dell’avanzata”.

Le cose precipitano la notte del 30 dicembre quando, convocato dal Commissario a Levizzano, “Geppe” viene catturato insieme ad altri tre compagni dai tedeschi, mentre dorme in una delle basi partigiane e con loro viene portato a Ciano d’Enza, interrogato e torturato.

“Nei miei documenti falsi ero Giovanni Ligas, perito chimico in uno stabilimento per l’estrazione dell’olio: mi fratturarono una spalla, e poi ustioni da ferro da stiro nei piedi, mi costrinsero con un imbuto a bere dell’acqua salmastra, le mani fracassate e il pus nelle ferite. Non parlai, avrei esposto alla rappresaglia l’intero territorio e, al decimo giorno, in una Lancia vecchio tipo, mi portarono all’Ufficio investigativo di Reggio Emilia”.

E poi verso il carcere di Verona, il Carcere degli Scalzi, da dove “Geppe” riesce a fuggire, in maniera rocambolesca, con l’aiuto di un gruppo di operai addetto alla manutenzione del carcere e un secondino sardo, Spartaco Demuro, che pensa di poter con lui rientrare in Sardegna. Ancora dolorante per le ferite, il viaggio di ritorno verso Modena con la paura che Demuro sia un infiltrato e la necessità, quindi, di allontanarlo appena giunto al suo Comando di S. Vito, consegnandolo agli americani presso la Linea Gotica.

“Qui io venni riportato a nuova vita dalla famiglia che mi ospitò: due medici mi sistemarono la spalla, una donna di 85 anni si prese cura dei miei piedi, gli ospedali essendo presidiati dai tedeschi. E fu allora che appresi la notizia della fucilazione, a Ciano d’Enza, di Cappelli, di uno dei nostri compagni catturati il 30 dicembre”.

Erano intanto cambiate le cose nel territorio, per paura che i prigionieri parlassero, “Parigi fu eletto Comandante, Galli Commissario. Io non ripresi il Comando, ma fui incaricato di preparare le azioni e il Piano generale per affrontare la ritirata tedesca e liberare il territorio, da San Vito a Castelfranco. Fu durante quelle azioni che, grazie ai nostri infiltrati, catturammo due Brigate nere, 50 repubblichini, che consegnai ai partigiani di Modena Montagna, mentre il mio distaccamento si preparava ad intercettare il percorso dei tedeschi. Un battaglione di 120 uomini per un’operazione eccezionale, a 35 chilometri dalla Missione Americana, dalla quale ottenemmo ancora le armi necessarie per l’ultimo attacco contro i nazisti finalmente in fuga. Liberammo noi il territorio, subito dopo giunsero gli eserciti americani, che riconobbero ufficialmente il nostro ruolo determinante nella liberazione di quelle popolazioni”. 

Modena, i giorni della Liberazione (da http://gazzettadimodena.gelocal.it/polopoly_fs/1.11278408!/httpImage/image.jpg_gen/derivatives/gallery_978/image.jpg)
Modena, i giorni della Liberazione (da http://gazzettadimodena.gelocal.it/polopoly_fs/ 1.11278408!/httpImage/image.jpg_gen/derivatives/gallery_978/image.jpg)

Si conclude con una citazione di Bertold Brecht la bella lezione di Nino Garau, il racconto del Comandante partigiano “Geppe” sulla Storia della Resistenza in provincia di Modena. Al centro le vicende di tante donne e tanti uomini impegnati contro il nazifascismo e contro la guerra, e i loro ideali, che restano ancora forti ed attuali, specie quando è la viva voce di un protagonista così importante a dar loro risalto, a metterli in evidenza. E nella storia del tempo il Comandante “Geppe” inquadra quella grande vicenda collettiva, segnata da una forte presa di coscienza individuale di fronte alle ingiustizie del tempo. Grande l’interesse e la partecipazione degli studenti che, sembra, non abbiano trovato poi così inusuale la presenza di un partigiano nella loro Università: rispecchiano, probabilmente, il senso di una cultura della contemporaneità, che resta sempre aperta a nuove e diverse letture e alla ripresa del discorso, se ci sono ancora cose da sviluppare e da approfondire. Nino è diventato partigiano, da ragazzo cagliaritano di famiglia borghese che era, avendo insieme scoperto la realtà dell’Italia nella presa di coscienza dello sfruttamento cui erano sottoposti i contadini emiliani, angariati dalla mezzadria.

Già Segretario Generale presso il Consiglio Regionale della Sardegna, oggi ha la tessera dell’ANPI, convinto che quei valori siano ancora i nostri, ancora quelli di questo tempo.

Gianna Lai, Presidente Anpi Sez. di Cagliari