Per chi ancora non lo sapesse, il campione è stato un esempio luminoso nel momento più drammatico della nostra storia contemporanea, la Seconda guerra mondiale.
Era il “postino” che portava foto e documenti falsi a Genova per consentire agli ebrei, braccati dai nazisti e dai loro complici fascisti, d’imbarcarsi verso gli Stati Uniti e fuggire dal loro destino di cenere dei campi di concentramento.
Era il postino che agiva per la rete clandestina Delasem, acronimo di Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei, organizzazione di resistenza ebraica, aiutata anche dalle alte sfere cattoliche. Bartali fu scelto dal cardinale di Firenze Elia Dalla Costa, che aveva celebrato le sue nozze, per portare foto e documenti nel porto ligure, dove c’era il cardinale Boetto ad appoggiare l’organizzazione.
Il campione sfrecciava da Firenze a Genova, facendo tappa a Farneta, alla Certosa, dove si radunavano le donne, gli uomini e i bambini in procinto d’imbarcarsi.
Alla Certosa, siamo nei pressi di Lucca, la Delasem Toscana aveva il suo principale promotore nell’antifascista Giorgio Nissim, affiancato da padre Costa. Farneta vide il suo eccidio il 2 settembre 1944, quando le SS uccisero 12 certosini, fra cui padre Costa e 32 civili, che vi avevano trovato rifugio.
Dopo Farneta, Genova non pareva più sicura e il postino, il più veloce e sicuro di tutti, cambiò tragitto, incrociando un altro protagonista, il cardinale di Perugia Monsignor Placido Nicolini.
Dalla Curia di Perugia dipendeva Assisi. Dopo lo sbarco degli americani in Sicilia e il ritiro dei tedeschi sulla Linea Gustav, nei dintorni di Cassino, foto e documenti per ebrei, perseguitati politici e chiunque ne avesse bisogno dovevano essere portati ad Assisi, il nuovo centro di smistamento, scelto perché le strade, più impervie, non erano ancora del tutto controllate dai tedeschi e dall’Ovra.
Gli ebrei cominciarono così a convergere verso la città di S. Francesco.
Ho avuto la fortuna di conoscere una delle donne ebree salvate anche grazie all’attività di Gino Bartali e raccontare la bellissima storia di Resistenza della città umbra.
Il postino sfreccia di notte, si butta nei fossi, perché gli Alleati prima bombardano e poi controllano che cosa hanno distrutto, porta i documenti nella canna e nel manubrio della sua bici, che non tiene più pulita e luccicante, perché il luccichio delle cromature ha ingannato una volta un pilota alleato che l’ha mitragliata, scambiandola per un’arma, il postino viaggia con indosso la maglia “Bartali” e ai posti di blocco lo fermano sì, ma per fare due chiacchiere sulle corse, non ha paura ma non vuole che quel che ha fatto sia conosciuto perché “Io mi sono limitato a fare ciò che sapevo meglio fare. Andare in bicicletta. Il bene va fatto ma non bisogna dirlo. Se viene detto non ha più valore perché è segno che uno vuol trarre pubblicità dalle sofferenze altrui. Queste sono medaglie che si appuntano sull’anima”.
Gino Bartali ha portato sulla sua bicicletta decine e decine di vite, e, come cita il Talmud, “se salvi una vita, salvi il mondo intero”, allora è certo che il campione ha permesso a moltissime persone di avere una speranza di felicità e democrazia.
Non si ferma mai. Quando non è impegnato nelle missioni per le consegne dei documenti, va per le campagne dai suoi molti amici a raccogliere cibo che invia in Vaticano e che serve a sfamare migliaia di rifugiati, nascosti in chiese e conventi. Il Vaticano lo ringrazia, inviandogli una lettera, intercettata subito dalla polizia segreta.
Così ha la sventura di entrare a Villa Triste a Firenze, dove, preso dal maggiore Carità, fascista torturatore, e portato nello scantinato, è interrogato e per un pelo rischia di essere fucilato.
Carità vuole dare l’esempio ma intervengono due militari, molto sportivi, che convincono il torturatore della lealtà di Bartali.
Così il Ginettaccio ha salva la vita. Il campione postino aiuta i partigiani, che lo inviano ad avvertire i compagni se annusano nell’aria odore di retata, e lui parte, senza indugi, anche di notte, compiendo il suo dovere, con semplicità come se partisse per una tappa del Giro d’Italia. Per le strade di Firenze, di notte, taglia l’aria a 50 km all’ora, solcando i binari delle linee del tram. In cinque minuti arriva ovunque.
A Firenze, in via Pietrapiana, nel retrobottega del negozio di bici di suo cugino Armandino, nasconde per oltre un anno un ebreo e uno zingaro; porta loro cibo e conforto. Con il cugino li salva dalla deportazione e dalla morte. Una vita che sembra una sceneggiatura di un bellissimo film in cui è impresso anche l’episodio di Villa Selva, tra Ponte a Ema e Firenze.
Un suo amico partigiano Giorgio, detto il Mensola, lo avvisa che lì sono rimasti prigionieri 49 soldati inglesi e i partigiani non riescono a liberarli. I collegamenti sono impraticabili, come fare ad arrivarci? Bartali si veste con la camicia nera della milizia, moschetto scarico, inforca la bici e va a farli prigionieri lui.
Salvo poi consegnarli ai compagni partigiani a San Marcellino. Quando il Generale Alexander entra a Firenze, vuole conoscere “Quel coraggioso eroe sportivo che aveva salvato 49 dei suoi connazionali”.
Nemmeno dopo la guerra si ferma, perché nel 1948, all’indomani dell’attentato a Togliatti e della drammatica tensione provocata, Papa Pio XII pare lo chiami e gli dica “Bartali, deve vincere il Tour de France per far tornare la calma in Italia”. E lui lo fa, andandosi a prendere a Parigi, sotto l’Arco di Trionfo, l’ambita maglia gialla, per il bene di tutti.
Poi, senza tentennamenti, il campione postino si presta anche alle richieste dei dirigenti della Selt Valdarno, la centrale elettrica che illumina tutta Firenze. Bisogna ricostruirla e in fretta.
Il campione postino accetta subito, ci lavora per sei mesi, portando pratiche a Roma e diventandone di fatto l’ambasciatore più prestigioso. La Santa Barbara, si chiama così la centrale, è ricostruita in quattro e quattr’otto.
“Io voglio essere ricordato per le mie imprese sportive e non come eroe di guerra. Gli eroi sono altri (Andrea Bartali, “Gino Bartali, mio papà”, Milano, Limina, 2012, p. 78).
Un affetto profondo lega i tifosi, bambini e ragazzini di allora, al Ginettaccio, se nell’affollatissima serata di qualche anno fa organizzata dall’Anpi di San Giovanni Valdarno uno dei tanti ospiti, avvicinandosi al figlio di Bartali, Andrea, gli disse: “Lo sai come si diceva da piccini? Per riprendere Bartali ci vuole l’aeroplano, per riprendere Coppi basta il carretto a mano!”.
Fulvia Alidori
(da Patria Indipendente di gennaio 2014)
Pubblicato martedì 5 Maggio 2020
Stampato il 30/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/persone-e-luoghi/profili-partigiani/quanta-strada-ha-fatto-bartali/