“Con la chiusura dei porti vengono lasciati in mare, per settimane, i richiedenti asilo salvati dalle navi delle organizzazioni non governative. Ciò accade per la ricerca, da parte di coloro che ‘comandano’, del più meschino dei consensi elettorali da realizzare sulla pelle dei naufraghi, compresi donne e bambini. Tutti i richiedenti asilo per motivi umanitari vengono ora espulsi dal governo. Cosa possono pensare di noi coloro che non vogliamo accogliere, cosa possono dirci i nipoti e pronipoti etiopi ed eritrei cui i fascisti italiani, più di ottant’anni fa, con i gas e le bombe incendiarie hanno fatto strage dei loro parenti inermi, uccidendoli in misere dimore di quei lontani paesi?”.
E ancora: “La Resistenza, della quale oggi ricordiamo il sacrificio di nove giovani partigiani del Pordenonese, è stata in primo luogo una ribellione popolare contro la guerra scatenata dei nazifascisti, una lotta per la pace e la libertà. Ma non si sente più parlare di pace, l’argomento sembra essere rifiutato dai governanti, eppure si continua, proprio in Italia, a fabbricare armi che vengono vendute in tutti gli scenari di guerra, dalla Siria allo Yemen. Un governo che non pone a fondamento del proprio agire la pace e l’accoglienza, sta lavorando per una società senza futuro”.
Sono solo due passaggi dell’intervento, svolto davanti a duecento persone il 19 gennaio scorso, a Pordenone, alle “Casermette” di via Molinari (sede dei fascisti della brigata nera, luogo di torture dei partigiani) da don Pierluigi Di Piazza fondatore, a Zugliano, del Centro di accoglienza e di promozione culturale “Ernesto Balducci”, sodalizio che accoglie immigrati, profughi e rifugiati politici.
Il discorso di don Pierluigi Di Piazza, dopo la deposizione della corona di alloro per i nove partigiani fucilati dai fascisti – sulla cella dove alcuni di loro erano stati prima imprigionati – è stato introdotto da Mauro Bortolin, assessore di Azzano Decimo e Dorino Favot, sindaco di Prata, paesi cui appartengono sette dei nove partigiani assassinati. Con loro erano presenti Carlo Spagnol, sindaco di Sacile, Federica Fogolin, vicesindaco di San Vito al Tagliamento, Renzo Dolfi e Roberto De Marchi, sindaci di Brugnera e Budoia. Il Comune di Pordenone ha inviato il gonfalone, portato dai vigili urbani.
Significativi gli interventi di Anita Giabardo del Movimento federalista europeo, su storia e priorità dell’Europa unita, del presidente dell’Anpi provinciale Loris Parpinel sui valori costituzionali che devono unire tutti gli italiani e sul legame proficuo fra Anpi e istituzioni repubblicane.
Don Pierluigi Di Piazza, durante la sua orazione, rivolgendosi ai familiari dei Caduti della Resistenza e a tutti i presenti ha ricordato, uno a uno, i nove partigiani massacrati dai fascisti pordenonesi della brigata nera, su permesso dei nazisti, il 14 gennaio 1945: Davide D’Agnolo “Attila”, operaio 23enne di San Martino al Tagliamento; Pietro Pigat “Tom”, 29 anni, contadino di Azzano X; Edoardo Ruffo “Edo”, 18 anni, venditore ambulante a Zoppola; Elli Vello “Fulmine”, aveva un anno in più, era contadino ad Azzano X come Rinaldo Azzano “Dante”, 23 anni. Ferruccio Gava “Tigre”, della stessa età, faceva l’operaio a Prata; Olivo Chiarot “Leo”, Medaglia d’Argento al Valor Militare, azzanese di 23 anni, era contadino; Giacobbe Perosa “Sgnappa”, 32 anni, faceva il muratore ad Azzano Decimo e Agostino Mestre “Pedro”, Croce al Valor Militare, ad Azzano gestiva una gelateria.
Di Piazza ha concluso condannando il neofascismo e l’attuale contesto di indifferenza-accondiscendenza nei confronti dei neofascisti, ricordando gli orrori dei campi di sterminio nazisti, raccontati nel Museo della deportazione, allestito dall’Aned alle “Casermette”, dove si conservano i pezzi di sapone ricavati dalle ceneri dei forni crematori di Mauthausen.
Sigfrido Cescut, Anpi Pordenone
Pubblicato martedì 23 Aprile 2019
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