Era nata a Carema (Torino) il 4 novembre 1923 Vera Michelin-Salomon, figlia di ufficiali dell’Esercito della Salvezza (organizzazione protestante di origine inglese). Alla maggiore età sceglie di trasferirsi a Roma, è il 1941, dove lavora come segretaria economa nella scuola professionale “Colomba Antonietti”. Alloggia al Foyer di via Balbo fino a quando le viene offerta ospitalità in casa dell’amica Enrica Filippini-Lera, in via Buonarroti.
Inizia qui, attraverso questa amicizia e gli incontri con ambienti e personaggi dell’antifascismo, la sua maturazione etica, culturale e politica che la porterà dopo l’8 settembre 1943, a seguire l’esempio di Enrica e dei “fratelli maggiori” antifascisti, nella Resistenza non armata e in particolare nell’organizzazione del Comitato studentesco di agitazione. Compito di questi gruppi ristretti di giovani è quello di distribuire materiale di propaganda antifascista contro l’occupante nazista, davanti alle scuole superiori e all’università finalizzato all’organizzazione di uno sciopero nelle scuole superiori volto ad impedire lo svolgimento regolare delle lezioni e degli esami in quanto accessibili soltanto a quei giovani in grado di presentare l’autorizzazione del costituendo esercito della Repubblica di Salò Enrica e Vera aderiscono anche alla cellula del Partito comunista di piazza Vittorio.
Il 14 febbraio 1944 (in seguito a una delazione) un comando di SS fa irruzione nell’appartamento in via Buonarroti, arresta tutti i presenti: Paolo Buffa, Paolo Petrucci, Cornelio Michelin-Salomon e le due ragazze che arrivano per il pranzo di mezzogiorno nella casa già presidiata. Enrica entra portando con sé una borsa piena di manifestini antinazisti. Tutto il gruppo viene caricato in due automobili e trasferito a Via Tasso. Vera rimane in quella prigione nell’unica cella femminile per gli interrogatori. Gli altri vengono condotti a Regina Coeli, dove anche Vera li raggiungerà.
Il 22 marzo davanti al Tribunale Militare Tedesco si svolge il processo a tutto il gruppo: assolti i tre ragazzi, condannate Vera e Enrica a 3 anni di carcere duro, da scontarsi in Germania.
Tornano comunque tutti a Regina Coeli, dove sono testimoni della selezione per la strage delle Cave Ardeatine: Paolo Petrucci ne rimane vittima, malgrado l’assoluzione ottenuta.
Il 24 aprile Vera ed Enrica sono avviate verso la Germania, prima in camion e poi in carro bestiame. Dopo notti e giorni di grande disagio arrivano a Monaco di Baviera dove, dopo una sosta di una notte e un giorno nel KZ di Dachau, vengono immatricolate nella prigione di Stadelheim (Monaco). Trascorso circa un mese sono trasferite nella sede definitiva della loro detenzione: il Frauen Zuchthaus di Aichach (Alta Baviera). Saranno liberate dalle truppe americane il 29 aprile 1945.
Il carcere è certamente duro, il lavoro in cella obbligatorio, la convivenza di tre persone in una cella strutturata per una sola detenuta, la scarsità del cibo e la sensazione di essere in balia di una giustizia inesistente creano ansia e disagio. Ma le quattro mura di un carcere hanno comunque rappresentato la possibilità di sopravvivenza rispetto alla possibile detenzione nei KZ.
Alla liberazione, in attesa di rimpatrio, le due ragazze trovano un luogo di sosta in una caserma allestita a campo di raccolta di prigionieri ormai tutti rientrati in Francia. Grazie a Paolo Buffa, divenuto ufficiale di collegamento delle Special Forces inglesi con la Resistenza italiana, riescono rapidamente a rientrare con un mezzo militare alleato. Arrivano a Milano il 2 giugno 1945.
Il dopoguerra appartiene alla vita privata dei protagonisti. Si può solo aggiungere che la coscienza antifascista e solidale acquistata con la Resistenza è stata mantenuta vigile attraverso diversi impegni politici e sociali che hanno affiancato Vera nella sua normale vita di donna. È con questa coscienza che la protagonista di queste note è diventata socia e testimone dell’Aned. A lungo consigliera della sezione di Roma e poi del nazionale, negli ultimi anni era stata chiamata alla Presidenza onoraria dell’Associazione nazionale ex deportati. Per contribuire a tener vivo il ricordo delle responsabilità del fascismo e del nazismo nel disastro della guerra e della persecuzione feroce di popoli e di libertà, per onorare la memoria delle migliaia di donne e uomini italiani che hanno combattuto e pagato spesso con la vita, la dignità democratica del nostro Paese.
Aldo Pavia, vicepresidente nazionale Aned
Pubblicato giovedì 31 Ottobre 2019
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