Una biografia ricca di ideali, umani e politici, è quella di Giovanna Marturano. La sua intera famiglia, di origini cagliaritane, si distinse negli anni della lotta alla dittatura per la dedizione di suoi cinque componenti: la madre Antonietta Pintor e i quattro figli: Carlo, Sergio, Giovanna e Giuliana. Ed esemplare fu l’azione umana e politica di Giovanna (Roma 1912-2013), che, nel suo lungo percorso esistenziale (moriva all’età di 101 anni), percorreva una precisa azione antifascista, partigiana e femminista.
Giovanna si trasferisce con la famiglia nella Capitale poco prima della Marcia su Roma. Ha appena dieci anni ma dimenticherà la cupezza e la preoccupazione di quei giorni. Grazie “all’aria antifascista” che si respirava a casa, assimila le idee della madre (cugina di Giaime, Silvia e Luigi Pintor) e dei fratelli maggiori.
Scriverà nell’autobiografia “Memorie di una famiglia comune” (a cura di Annibale Cogliano): “ I miei fratelli prima, poi noi sorelle frequentammo tutti il liceo ginnasio Ennio Quirino Visconti, che allora era uno dei migliori licei, sia per il corpo insegnante che per l’ambiente antifascista”. Ma la sua passione è il disegno e così si trasferisce al liceo artistico. Intanto il fratello Carlo, nel 1929, ha aderito al Pci e la loro abitazione è diventata punto di riferimento della stampa clandestina. Il giovane verrà arrestato e condannato a una lunga detenzione (riparerà, da esule, in Urss).
Giovanna prosegue gli studi alla facoltà di Architettura, che però dovrà presto e a malincuore abbandonare, in seguito al trasferimento a Milano, dove per mantenersi, lavora prima come decoratrice e successivamente in uno studio fotografico. Si iscrive, anche lei, al partito: “Non avevo mai avuto il coraggio con i miei fratelli di chiedere l’iscrizione – ricordava – temendo che mi rinfacciassero la mia inettitudine. Presto conobbi altri compagni, in riunioni che si tenevano nei posti più disparati”.
La famiglia è “osservata speciale” dal regime: il secondogenito dei Marturano, Sergio, verrà arrestato e condannato a 14 anni di reclusione e pure lei finisce in carcere, uscendone dopo un mese. Pur minutissima nel fisico, è poco più alta di una bambina, viene schedata dalla polizia politica come “elemento sovversivo”.
Nel 1941, chiede alle autorità preposte il permesso di recarsi a Ventotene per sposarvi il confinato Pietro Grifone (conosciuto ai tempi del “Visconti”). La polizia tenterà inutilmente di impedire quello che sarebbe stato ricordato come “il matrimonio di Ventotene”. Nell’isola si trova anche la madre, condannata a 5 anni di confino: “La mamma, da lontano- scrive Giovanna Marturano- ci presenta i compagni Terracini, Secchia, Longo, Turchi, Di Vittorio, Roveda, Li Causi, con cui, nonostante la sorveglianza, abbiamo modo di scambiare qualche parola”.
Tornata a Roma, Giovanna continua imperterrita a collaborare con il Pci, poi con l’occupazione nazifascista opera con le Brigate Garibaldi, al fianco del marito. Importante e significativo l’impegno di Giovanna tra la gente, nei quartieri popolari di Roma, con le donne soprattutto. È dirigente del Comitato di iniziativa femminile e nel ’44 contribuisce alla nascita dell’Udi. A guerra finita continua la sua militanza politica nel Pci, aiutando anche il coniuge nei suoi incarichi (Grifone si occupò in particolare della questione agraria, sarà anche eletto due volte deputato). Soprattutto però prosegue instancabile l’attività in favore dei diritti dei più deboli e delle donne.
Giovanna è stata insignita di Medaglia di Bronzo al Valore Militare, e poi le è stata conferita l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana. Era iscritta all’Anpi di Roma di cui fu presidente onorario.
Oltre che nel volume autobiografico, la storia di Giovanna e dei suoi famigliari è stata raccontata nel libro “I compagni”, con prefazione di Giorgio Amendola (1972).
Anche un film-intervista, realizzato dalla Todomodo, ripercorre la sua vicenda con un titolo emblematico: “La bimba col pugno chiuso”.
«La nostra vita – affermava Giovanna –è stata talvolta dura e difficile, ma io non rimpiango nulla, se non forse che avrei voluto fare di più e meglio; ma con tutte le delusioni le amarezze e i dolori e le gioie, questa è stata la mia vita e io l’ho vissuta intensamente e con entusiasmo, soffrendo, amando e lottando». Maurizio Orrù, Comitato esecutivo nazionale Anppia
Pubblicato sabato 12 Settembre 2020
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