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Salvatore Bono, la medaglia d’oro al valor militare appuntata al petto

Sembrerebbe che nessuno abbia rilevato che la Resistenza armata italiana ha avuto inizio – da un punto di vista strettamente cronologico – la sera dell’8 settembre alla stazione centrale di Nizza. Il proclama dell’armistizio viene, com’è noto, diffuso dall’EIAR alle 19,42. Tra i militari italiani, la gioia è generale: “La guerra è finita!”, “Tutti a casa!”, ecc. I soldati del “Comando Militare di Stazione” manifestano l’intenzione di partire per l’Italia. Racconta il sottotenente Salvatore Bono, loro comandante in seconda: “Verso le 20,30, dovetti intervenire per convincerli che occorreva continuare a controllare lo snodo vitale nel quale prestavamo servizio ed ordinai l’armamento completo e lo stato d’allarme”. Richiese anche il rinforzo di una compagnia di fanteria.

Già in agosto, dal suo osservatorio privilegiato, Bono aveva intuito che le cose non stavano andando per il verso giusto. Assieme ai reparti della 4a armata che abbandonavano il territorio francese occupato, si lasciavano transitare in direzione di Ventimiglia unità tedesche che penetravano in Italia sulla base di piani ben precisi. Verso le 21, incontra il sottotenente Guido Di Tanna, gli illustra le proprie preoccupazioni: “Stanotte avverrà qualcosa di grave”, afferma, e si lamenta dello scarso senso di responsabilità del Comando di Piazza. Il commilitone commenta “É ammirevole come il giovanissimo ufficiale avesse il senso esatto delle cose e la capacità di comportarsi di conseguenza”.

Un paio d’ore dopo, in effetti, un commando di una sessantina di tedeschi provenienti, a piedi attraverso i binari, dal dipartimento del Var, giocando sull’effetto sorpresa, cerca di impadronirsi della stazione. Gli italiani, comandati dal capitano Breveglieri, tra soldati e carabinieri, non sono più di dieci. I tedeschi intimano la consegna delle armi, il capitano cerca di parlamentare con l’ufficiale comandante; dopo cinque minuti, interrompe la concitata quanto inutile discussione e impartisce ai suoi l’ordine “baionetta in canna!”. È il momento per Bono di passare all’azione, realizzando quanto aveva in mente sin dal 25 luglio. Diamogli la parola: “Come un fulmine, il fuoco della mia pistola rompe il gelo. Freddo l’ufficiale nemico, il suo caporale e ferisco due soldati. I tedeschi rispondono al fuoco ed uccidono Breveglieri. Scarico i rimanenti colpi della mia pistola sui nemici. É l’inferno, tutti si riparano dove possono e sparano. Io con quattro soldati mi rifugio in uno sgabuzzino. I quattro carabinieri, pur sparando contro i nemici, fuggono in direzione di una galleria. La stazione precipita nel silenzio e nel buio. Un maggiore tedesco con la pistola spianata viene ad esplorare lo sgabuzzino. Lo afferro per il collo mentre uno dei miei uomini lo disarma. I nemici rimasti fuori lanciano una granata che fa esplodere quella che io tenevo in mano con la sicura sganciata pronta per il lancio. Ho chiara coscienza che è la mia fine. Il dolore generale è tale che non riesco a percepire quello che proviene dalle ferite. Svengo pensando a mia madre”. Salvatore ha perso il braccio destro, l’occhio sinistro e parte della mascella. È trasportato all’ospedale Saint-Roch. L’indomani mattina, un alto ufficiale tedesco viene a far visita ai feriti. Osservando Bono, esclama: “Quest’ufficiale ha salvato l’onore dell’esercito italiano”. Di un esercito allo sbando, vien fatto di aggiungere.

Il giovane Salvatore Bono, sottotenente ai tempi dell'armistizio
Il giovane Salvatore Bono, sottotenente ai tempi dell’armistizio

Salvatore Bono ha 23 anni: è nato il 23 aprile 1920 a Campobello di Mazara, in provincia di Trapani. Deve molto ai genitori: al padre Giuseppe, un contadino povero, che lo responsabilizza sin dalle elementari facendogli capire che l’impegno può far sì che la scuola si trasformi in ascensore sociale e alla madre Ninfa, l’angelo protettore di tutta una vita, che finisce per accettare con dignità la tragedia del figlio rispettandone le scelte. Dopo il diploma magistrale, frequenta il corso AUC ad Avellino (fanteria). Dal settembre 1941, presta servizio a Palmanova (UD), in Jugoslavia, a Trieste, a Postumia, a Torino e dal novembre 1942 al Costamiles di Nizza. Nel luglio 1944, dimesso dall’ospedale Saint-Roch, per sfuggire alle rappresaglie della Gestapo si reca in Italia. Nel dicembre lo ritroviamo a Stresa dove si arruola nella brigata partigiana Stefanoni. Nel 1947, mentre si trova in Sicilia presso la propria famiglia, riceve la notizia di essere stato insignito, cosa rarissima per un vivente, della Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione: «Nella difesa del più importante centro logistico di un’armata, morto il suo capitano, assumeva il comando dei pochi superstiti. Aggredito da soverchianti forze nemiche in un ufficio del comando, freddava con colpi di pistola un ufficiale tedesco ed alcuni soldati, ponendo in fuga i rimanenti. In una successiva aggressione, trovatosi con la pistola scarica, impegnava una lotta selvaggia con pugni e morsi. Aiutato da un suo sottufficiale, immobilizzava un secondo ufficiale nemico che decedeva poco dopo. Mentre tentava di colpire con bombe a mano altri militari sopraggiunti, veniva investito in pieno da schegge di bombe lanciate dal nemico, che provocavano lo scoppio della bomba che teneva nella mano destra, già a sicurezza sfilata e pronta per il lancio. Crivellato dalle schegge, cieco, privo della mano destra, veniva ricoverato in ospedale ove con stoicismo, che solo i prodi e gli audaci possiedono, senza un lamento sopportava l’amputazione dell’avambraccio destro, l’enucleazione dell’occhio sinistro ed altri dolorosissimi atti operatori. Magnifico esempio di alte virtù militari e di suprema dedizione alla Patria. Nizza (Francia), 8 settembre 1943».

Nello stesso anno 1947, completata la terapia post-traumatica, Bono viene assunto presso il ministero degli Esteri. Opta per la sede consolare di Nizza dove assumerà servizio in settembre non appena la struttura sarà riaperta e dove rimarrà per trent’anni, fino alla pensione. Lo si ricorda come molto disponibile nei confronti dei bisogni dei connazionali e in particolare degli italiani profughi dalle colonie maghrebine. É molto attivo nella ricucitura dei rapporti tra le due “sorelle latine” che la pugnalata mussoliniana aveva gravemente corroso e partecipa con entusiasmo al processo di costruzione della Comunità Europea. Suo collega in Consolato è un altro siciliano, lo scrittore Antonio Aniante, un ex fascista non del tutto pentito; purtroppo non possediamo informazioni sul tipo di coabitazione che si istaurò tra di loro. Ogni anno, l’8 settembre si reca alla stazione cittadina dove confluiscono ferrovieri, ex combattenti ed antifascisti assieme ai quali commemora l’evento del 1943. Riprende gli studi universitari laureandosi in Pedagogia all’Università di Genova.

Andato in pensione, torna a Campobello vivendo non lontano dalla magnifica spiaggia selinuntina che aveva visto i suoi giochi infantili. Si dedica con successo alla pittura e non manca di fare la spola con la sua amata Nizza. Talvolta confessa agli amici l’amarezza della solitudine poiché, a causa delle sue mutilazioni, nessuna donna ha voluto condividere con lui la propria vita. C’è chi in Sicilia, suggerisce al giunco che cresce sul letto dei torrenti di farsi da parte all’arrivo della piena:Càlati juncu ca passa la china”. Una visione opportunista che Salvatore, come tanti altri siciliani, non accettava. “Ho fatto solo il mio dovere pagando il prezzo che bisognava pagare”, amava affermare. Morì il 28 maggio 1999 all’età 79 anni.

La memoria orale è, come si sa, volatile. A parte gli storici, oggi quasi nessuno a Nizza si ricorda di Salvatore Bono. Sembra dunque opportuno che la neonata locale sezione dell’Anpi gli sia intitolata (o cointitolata, se si crede), che si richieda al Comune di apporre una lapide alla stazione centrale e che l’8 settembre di ogni anno si commemori la sua memorabile impresa.

Enzo Barnabà, scrittore e ricercatore


Fonti:

Baldassarre Ingrassia, “Salvatore Bono”, Litografia Buffa, Mazara del Vallo, 2005;

Jean-Louis Panicacci, “L’Occupation italienne. Sud-Est de la France, juin 1940-septembre 1945”, Presses Universitaires de Rennes, Rennes 2010.