Questa è la storia di alcuni ragazzi e adolescenti danesi che, dinanzi all’occupazione della patria, pur consapevoli di aver pochi margini di intervento e al contempo determinati a non restare a guardare, decisero di risvegliare le coscienze dei concittadini e combattere gli invasori nazisti.
9 aprile 1940, martedì, ore 7.00. In Danimarca, a Odense, la città che nell’800 ha dato i natali all’autore di fiabe Hans Christian Andersen, la famiglia del pastore protestante Edvard Pedersen è riunita come d’abitudine intorno a un tavolo per la prima colazione. È un normale giorno feriale di un normale mese, ma stanno per andare in pezzi tutte le certezze del popolo danese.
All’improvviso tutto inizia a tremare, i piatti, i bicchieri, il tavolo, i muri. I commensali si guardano l’uno con l’altro, hanno un sussulto, non riescono a comprendere cosa stia succedendo, si precipitano al balcone. Alzando gli occhi si rendono conto che il cielo è oscurato da una miriade di aerei Messerschmitt che lanciano migliaia di volantini sui tetti della città.
Curiosi i ragazzi Pedersen si precipitano giù in strada, dove trovano quasi tutto il caseggiato. Knud, non ancora quindicenne, e il fratello maggiore Jens afferrano un foglio, leggono e sbigottiscono al fiume di parole del volantino firmato dal comandante tedesco Leonhard Kaupisch. Nei manifestini si sostiene che per colpa dell’Inghilterra e della Francia, la Germania è costretta a presidiare Danimarca e Norvegia: saranno l’esercito, l’aviazione e la marina del Reich a garantirne la sicurezza. Si invitano inoltre le forze armate e il popolo danese ad evitare qualsiasi resistenza passiva o attiva, inutile e controproducente.
Mai visto un modo più becero per dire a un popolo che lo si sta occupando e, ancor più incredibile, i tedeschi non hanno avuto neppure il buon gusto di scrivere il testo in un danese decente, più di un proclama ricorda un pessimo compito di un pessimo alunno.
In realtà tutto rientra nell’Operazione Weserübung, pianificata da mesi e finalizzata a prendere il controllo dei due Paesi scandinavi: servono alla Germania per coprirsi le spalle in caso di un tentativo di sbarco da parte degli inglesi e assicurarsi i minerali dei giacimenti norvegesi di ferro e nichel, fondamentali all’industria del Reich per la fabbricazione di armi.
Il piano tedesco di occupazione
Per fare la guerra è necessario sempre un casus belli, a fornirlo è l’abbordaggio del vascello tedesco Altmark, a largo di Jøssingfjord, in acque territoriali norvegesi, compiuto dal cacciatorpediniere inglese HMS Cossack. L’azione permette la liberazione di 303 prigionieri inglesi, ma causa la morte di sette marinai tedeschi.
La Norvegia immediatamente protesta con la Gran Bretagna per la violazione della sua sovranità, cercando così di scongiurare l’ira di Hitler. È inutile, il fuhrer non attende altro, accusa apertamente Oslo di connivenza con gli inglesi, a dispetto della dichiarazione di neutralità, e autorizza l’Operazione Weserübung.
In Danimarca, dove la notizia dell’imminente aggressione è giunta da un’informativa inglese, il governo s’è rifiutato di rispondere alla richiesta di diventare un protettorato teutonico, ma all’esercito non è stato ordinato di predisporre strutture difensive.
Così alle ore 4.15 del 9 aprile ’40 le truppe tedesche varcano il confine danese, sia per mare, utilizzando delle normali navi traghetto, sia via terra, schierando 7 divisioni di fanteria e 2 divisioni di montagna comandate dal generale Kaupisch. Inoltre, dall’istmo di Schleswig-Holstein, vengono inviate due divisioni della Kriegsmarine che avanzano rapidamente lungo la penisola dello Jutland, prendendo possesso dei porti e del territorio. La capitale Copenaghen viene occupata poche ore dopo lo sbarco. Re Cristiano X di Danimarca firma la capitolazione già alle ore 14 del 9 aprile.
L’unico a non accettare la decisione del sovrano è il generale William Wain Prior, ministro della Difesa e capo delle forze armate danesi, che cerca di opporre una vana resistenza ai conquistatori.
I giovani Pedersen
Tra coloro che rimangono basiti per l’occupazione tedesca, realizzata in un solo giorno, vi sono i due figli del pastore Pedersen, Jens e Knud. Hanno una sorella, Gertrud, di otto anni, e due fratelli, Jørgen e Holger, rispettivamente di sei e cinque anni.
Jens e Knud e si sentono impotenti e sono anche arrabbiati, soprattutto quando prendono atto che molti adulti hanno accettato di buon grado la conquista della loro patria, giungendo addirittura a collaborare con i nazisti. Bisogna reagire, ma come? Assieme al cugino Hans Jøergen Andersen, lontano parente del favolista, decidono di seguire il proprio cuore. A renderli determinati è la vista dei cartelli gialli con le scritte in tedesco piantati in ogni strada di Odense: un grave e insopportabile oltraggio, pertanto li abbattono.
Le loro azioni sono veloci, quasi delle incursioni, e per questo scelgono di chiamarsi il “Club dei ragazzi della RAF”, in onore dei piloti inglesi che stanno combattendo nei cieli d’Europa per frenare l’avanzata delle orde naziste.
Ben presto ai tre si aggiungono due compagni di classe di Hans Jøergen: Harald Holm e Knud Hedelund. I cinque eleggono a sede delle attività il cimitero, luogo sicuro da orecchie e occhi indiscreti. Qui compiono i loro briefing prima di un’azione, ne stabiliscono i tempi, modalità e il rientro alla base.
Gli attacchi diventano sempre più frequenti. I ragazzi decidono di osare di più e di passare al sabotaggio: prendono di mira la centralina telefonica del comando militare tedesco. Dopo un attento vaglio e varie ricognizioni, passano all’azione di domenica, quando i proprietari dell’unico appartamento che s’affaccia sul vicolo cieco sono assenti. Riescono nell’intento e il danno è rilevante, la caserma rimane senza contatti e collegamenti per ben una settimana, scatenando la furia dei tedeschi e le indagini della polizia danese.
Aalborg
Fortuna vuole che il pastore Pedersen riceva l’offerta di curare le anime della città di Aalborg, nel nord della Danimarca. L’occasione comporta maggiori entrate economiche per l’intera famiglia, insieme alla possibilità di risiedere in una casa grandissima e antica, il Monastero dello Spirito Santo costruito nel 1506, e all’opportunità di far frequentare ai figli maggiori una delle migliori scuole del Regno.
I due fratelli, salutando i compagni con una vena di amarezza, si dicono rassegnati a non poter più operare per il bene della Danimarca, perché ad Aalborg non avranno punti di riferimento. Si sbagliano però. Infatti, appena trasferitisi, sondando l’animo dei nuovi amici per verificare la nascita di un nuovo Club con le medesime caratteristiche di quello di Odense, Jens individua i fratelli Sigurd e Preben Ollendorff, figli di un grosso commerciante di tabacco.
Il primogenito è il migliore tra gli alunni della classe di Jens, mentre il secondo è un chiaccherone, anche un po’ vanesio, tuttavia sembrano entrambi molto motivati sull’opposizione ai tedeschi.
Anche Knud prende in considerazione i compagni di classe. Tra loro c’è Helge Milo, rampollo di una famiglia benestante e residente nella vicina Noerresundby. Ha colpito Kund per il carattere deciso, la simpatia, solarità e capacità di dire sempre quello che pensa, anche a rischio di diventare impopolare. E poi c’è Eigil Astrup-Frederiksen, figlio di un commerciante di vestiti, uno dei migliori della città, come attestano gli abiti indossati. Il giovane è un «Maciste in miniatura», grazie alla pratica della lotta greco-romana, in cui eccelle.
Il nuovo gruppo di studenti progetta subito un’azione (tagliare i fili del telefono di una vicina caserma), ma la paura prende il sopravvento e decidono di desistere.
L’indomani raccontano l’esperienza ad alcuni amici e così alla squadra si aggiungono i figli del sindaco Mogens, Thomsen e Fjellerup, oltre a Børge, il terzo dei fratelli Ollendorff, di appena dodici anni che, avendo origliato, impone la sua partecipazione alla formazione clandestina. Gli altri accettano in cambio di tabacco: tutti amano farne uso mentre ascoltano le trasmissioni di Radio Londra oppure leggono i giornali per carpire, nonostante la censura, notizie sull’andamento della guerra in Norvegia.
Il Churchill Club
Alcuni giorni prima del Natale 1940 nasce dunque il nuovo club, il “Club Churchill”, in onore dello statista inglese che ha promosso la netta opposizione alla macchina bellica nazista. Ma subito Sigurd e Preben Ollendorff dichiarano di volersene tirare fuori, poiché sfidare i tedeschi vuol dire rischiare la vita. Di parere diverso è il piccolo Børge, dimostrandosi presto irruento e una testa calda.
Viene messo a punto il codice del Club:
- Non informare per nessun motivo gli adulti dell’esistenza del gruppo;
- Nessuna arma, qualora riuscissero a procurarsela, dovrà mai essere portata all’interno della scuola;
- Nessuno per nessun motivo potrà citare l’esistenza del Club pena l’espulsione;
- Per diventare un membro attivo del Churchill Club bisogna compiere un’azione di sabotaggio pericolosa.
Jens fa anche presente la necessità di dotarsi di un simbolo, come ogni gruppo di azione che si rispetti. Dopo attenta riflessione e varie proposte viene scelta una svastica a cui sono applicate delle frecce, «saette per uccidere i tedeschi». L’emblema verrà apposto su tutti i muri della città e sulle saracinesche dei vaernemager, i profittatori di guerra.
Sempre Jens delinea il programma del Club:
- Propaganda
- Armi e tecnologia
- Sabotaggio
La propaganda deve sensibilizzare la popolazione sulla necessità di schierarsi contro i tedeschi. Le armi e le tecnologie sono finalizzate al sabotaggio e vanno reperite. Del compito è incaricato Fjellerup, perché tanto eccellente in chimica e fisica da aver ricevuto dai docenti le chiavi del laboratorio scolastico.
Thomes propone di cooptare anche “soci passivi”, che cioè non faranno parte in maniera ufficiale del Churcill, ma lo supporteranno mediante strumenti o informazioni. Il primo ad essere aggregato è Morgen, figlio di un produttore di vernici, che procura la vernice blu per disegnare il simbolo del gruppo.
Azioni
Il Club divide la città in zone e inizia a pattugliarla alla ricerca di profittatori da “marchiare” e di segnali e manifesti tedeschi da distruggere.
Ben presto i ragazzi si rendono conto che per poter operare con facilità, il momento migliore è dal tramonto in poi, ma la sera devono rientrare a casa. La soluzione è trovata da Knud e Jens: ai genitori si dirà di far parte di un club di bridge e che partite e tornei organizzati li terranno fuori fino a notte fonda. Per evitare controlli, spiegheranno che il ritrovo del gioco è presso una famiglia sprovvista di telefono.
Con il passare delle settimane, i giovani ritengono giunto il momento di alzare il tiro, nuovo obiettivo è la sede dell’imprenditore Fuchs, che sta costruendo l’aeroporto militare di Aalborg.
Non vogliono limitarsi a imbrattarla con la vernice, hanno intenzione distruggerla. La sede si trova nei pressi dei cantieri dell’aeroporto, al di fuori del contesto urbano, bisogna attraversare il ponte sul fiume Limfjorden per arrivare all’area, ovviamente sorvegliata.
Agiranno al tramonto. Partono in quattro, fingendo di dover partecipare a una gara di bridge. Le guardie non solo li lasciano passare, addirittura fanno il tifo, incoraggiandoli a vincere. Arrivati sul luogo, i quattro tagliano la recinzione, s’introducono nella baracca e utilizzano tutta la carta degli uffici per appiccare un bel falò. Quindi si danno alla fuga. In realtà, l’edificio non brucia, si carbonizzano solo i documenti. Comunque i giovani valutano ottimo il risultato.
Uccidere o no
La sete di giustizia porta gli eroi in erba a decidere di sabotare gli automezzi tedeschi, e per poter approfittare di ogni occasione portano sempre con loro una piccola tanica di benzina. L’occasione si presenta quando trovano due camion aperti e incustoditi, strappano l’imbottitura dei sedili, la impregnano di benzina, quindi accendono il fuoco.
L’effetto è dirompente ed esaltante. Bisogna continuare, si dicono. Un altro bersaglio sono le auto parcheggiate in piazza Bodolfi, ma si deve neutralizzare la sentinella di guardia. Inizia una lunga discussione se uccidere o meno il piantone. Knud e altri sostengono di sì, stanno combattendo per il loro Paese e quindi può essere necessario ammazzare, ma la maggioranza, tra cui Jens, si oppone, sono sabotatori, non assassini e non devono mettersi allo stesso livello dei loro nemici. Il gruppo non rinuncia però ad accumulare armi, soprattutto dopo aver trovato delle sbarre di ferro nel sottotetto del Monastero. La buona sorte sembra voler assecondare ogni desiderio, riescono financo a sottrarre da una caserma, in blitz diversi, una pistola e un mitra.
Da questo momento, si lanciano a rubare armi: soprattutto nei guardaroba dei ristoranti è missione facile sgraffignare armi ai soldati di ritorno dal fronte norvegese, appena sbarcati, distratti o impegnati ad amoreggiare con «donne da materasso», come dispregiativamente chiamano le compiacenti a flirtare con i militari nemici.
In poco tempo il Club accumula una quantità ingente di armi, nascosta in un primo tempo nei sotterranei del Monastero, dietro a delle botti, poi quando il numero diventa elevato, vengono smistate e una parte seppellita nel giardino di un componente del Churchill, Helge Milo, un nuovo aggregato.
Polizia alle calcagna
Tutta quest’attività determina i tedeschi a chiedere alla polizia danese di operare fattivamente per scoprire i responsabili dei furti. La sorella di Eigil Astrup-Frederiksen, segretaria presso il Comando di polizia, avverte i giovani, chiede loro di desistere dal compiere ulteriori azioni ed evitare guai. Teme soprattutto per suo fratello e, di riflesso per tutta la famiglia, che è ebrea e perciò già esposta. Jens e altri vorrebbero assecondare la richiesta ma a rifiutarsi è Knud: stanno operando per il bene del Paese, ribadisce, non possono abbandonare le attività, tuttavia rispetta e comprende il probabile passo indietro di Eigil, data la situazione. La maggioranza accoglie la linea di Knud; Eigil lascia i compagni.
Su proposta di Knud, il gruppo si addestra a usare le armi reperite: la domenica mattina i ragazzi salgono sul tetto del Monastero e sparano dalle mansarde, coperti dalle campane e dal suono dell’organo.
Adesso quando compiono azioni di sabotaggio ognuno reca con sé un’arma, pur avendo capito di non essere in grado di adoperarla, manca la determinazione e la freddezza propria dei militari.
Meglio limitarsi, dunque, solo ed esclusivamente ad azioni di disturbo. Børge Ollendorff non condivide e appena gli viene segnalata la possibilità di colpire una torre di avvistamento nei pressi della costa, si precipita, ma deve arrendersi alla verità, «è un bambino» e, per quanto desideri colpire i nemici del suo Paese, deve accettare di non avere le competenze per farlo.
Bombe fatte in casa
Intanto il Churchill Club si allarga ai fratelli Alf e Kaj Houlberg e al loro amico Knud Hornbo. I nuovi adepti segnalano che alla stazione ferroviaria vi sono dei vagoni tedeschi carichi d’armi provenienti da una fabbrica di Brønderslev. Il gruppo riesce a rubare delle granate, ma si rende presto conto che sono per l’addestramento, quindi non contengono esplosivo, bensì magnesio per simulare le esplosioni. A questo punto, l’idea è di crearsi da soli degli ordigni. Mettendosi al lavoro, con qualche incidente e incendi divampati per errore, ci riescono. Per sperimentare il funzionamento delle bombe, si decide di far saltare in aria un vagone. Il risultato non li delude, il 2 maggio 1942 fanno esplodere un vagone dove è caricata un’ala di aeroplano, il fuoco si estende anche ai vagoni vicini.
Gutta cavat lapiden
È la goccia che fa traboccare il vaso colmo d’ira del comandante della Gestapo, il maggiore Bauer. Dà alla polizia danese una settimana per consegnargli i responsabili degli attentati e scaduto l’ultimatum interviene. La Geheime Staatspolizei individua una testimone: la proprietaria del Caffè Holle riferisce di aver visto due giovani introdursi nel suo locale. Uno s’era fermato a parlare con la guardarobiera, mentre il secondo spariva e riappariva poco dopo, poi i due si erano precipitati fuori. Subito dopo un ufficiale nazista scopriva che dalla sua fondina mancava la pistola d’ordinanza. Eigil, appresa la notizia dalla sorella, scongiura gli ex compagni di fermarsi, Jens e altri lo ascoltano e si sentono in difficoltà, mentre Knud rimane fermo e decide di continuare.
L’arresto
Il 4 maggio, due giorni dopo l’incendio allo scalo ferroviario, Knud viene indentificato dalla Gestapo e arrestato. Entro la mezzanotte tutti i componenti del Churchill Club sono fermati e condotti al commissariato della polizia danese. Lì vengono interrogati dalla Gestapo, minacce e percosse per farsi rivelare eventuali altri nomi.
Tutti, tranne il minorenne Børge, affidato a una struttura protetta per essere rieducato, sono condotti in carcere, l’Aalborg Arresthus, al civico 18 di Kong Hans Gade, poco distante dalla scuola dei giovani.
Effetti collaterali
La notizia dell’arresto fa il giro della città, molti si schierano con i ragazzi resistenti, addirittura, per farsi perdonare, la proprietaria del Caffè Holle decide d’inviargli ogni giorno il pranzo e la cena.
I compagni di scuola lasciano le lezioni e vanno a protestare dinanzi al penitenziario, scrivono una lettera su un grande lenzuolo e lo esibiscono: «La notizia del vostro arresto è stata scioccante per noi. Sei ragazzi che fino all’altro ieri erano tra noi ed erano come noi, hanno seguito le lezioni con noi, hanno riso, giocato e scherzato con noi durante la ricreazione, dedicavano il loro tempo libero per compiere atti di sabotaggio contro gli occupanti. Il Rettore ci ha ordinato di continuare a seguire i nostri impegni quotidiani, ma è difficile, amici cari, abbiamo guardato i posti vuoti dove i nostri compagni arrestati sedevano e ci siamo resi conto del destino a cui vanno incontro. Un insegnante ci osservava e l’unica cosa che è riuscito a fare durante l’ora di lezione è tenersi la testa tra le mani».
Il poeta danese Kaj Munk abbandona le sue posizioni filohitleriane e decide di esporsi, prende carta e penna e scrive una lettera ai genitori Pedersen: «Naturalmente ciò che [i ragazzi] hanno fatto è sbagliato; ma non è quasi così sbagliato come quando il governo ha consegnato il Paese al nemico invasore. Ora è tempo che le brave persone nel nome di nostro Signore Gesù debbano fare qualcosa anche di sbagliato. Prego Dio di dare loro allegria, resistenza e costanza nel perseguire questa buona causa».
L’arresto ha effetto anche e, soprattutto, sui tiepidi e gli indifferenti all’occupazione tedesca: è inammissibile che cittadini danesi, giovani coraggiosi debbano essere processati e condannati dallo straniero nazista. È «la primavera delle coscienze», i ragazzi sono riusciti a compiere un miracolo insperato.
I tedeschi pretendono una punizione esemplare secondo le loro regole, ma il governo danese dimostra fermezza, verranno processati con le leggi danesi e, se condannati, rimarranno in territorio patrio. I nazisti devono cedere, si rischia una rivolta popolare, pur ritenendolo un «fronte di panna montata», è necessaria cautela. Acconsentono alle decisioni di Copenaghen, imponendo in cambio un loro rappresentante al processo per verificare se i danesi compiranno delle irregolarità per salvare gli imputati, nel tal caso interverranno con la forza per punirli. Data la delicatezza del procedimento penale, viene chiamato un giudice di provata esperienza, Arthur Andersen, giudice al tribunale di Copenaghen, affiancato dal fidato cancelliere Silkowitz.
La detenzione
In prigione i ragazzi vengono trattati bene. Il personale è danese e desidera il bene per i giovani connazionali, colpevoli di aver fatto ciò che avrebbero dovuto fare gli adulti.
Gli agenti di polizia penitenziaria fanno pressioni sul medico del carcere affinché li dichiari incapaci d’intendere e volere, potrebbero così ottenere un’attenuante, ma è impossibile, il gruppo non collabora. Anzi tutti continuano a mantenere un atteggiamento oppositivo, accettano unicamente il consiglio di non sorridere quando vengono fotografati, Børge compreso, per ordine dei tedeschi, Hitler vuol vedere il volto dei pericolosi sovversivi. «Dovete sembrare veramente pentiti e contriti», suggerisce una guardia.
In attesa del processo, i prigionieri cercano di evadere, studiano le inferriate, analizzano la struttura muraria, fino a quando non s’accorgono che la rete metallica posta sul cortile dove trascorrono la loro mezz’ora d’aria è vecchia e quindi forzabile con il coltello che sono riusciti a sottrarre durante la mensa. Ma l’indomani la falla viene rilevata.
Il processo
Un mese dopo comincia il dibattimento, i giovani sono difesi da due avvocati, Lunøes, un principe del foro proveniente da Copenaghen, anche se ha delle remore nei confronti dei suoi assistiti, ritenendoli dei ragazzi viziati, e Knud Grunwald, un avvocato locale, un tipo grasso e gentile che a differenza del primo legale prende a cuore la vicenda. Si reca in carcere e cerca di convincere i giovani a seguire la sua linea difensiva (una ragazzata, i furti di armi, per collezionarle e ammirarle non certo per sparare ai tedeschi!), perché quel procedimento è un processo politico e Berlino, cioè Hitler, avrà un peso determinante nella sentenza.
Il giudice si rivolge ai giovani con concetti semplici e con tono gentile, anche se non tralascia di imputare loro tutte le attività, anche quelle compiute a Odense. Knud, mantiene un atteggiamento sprezzante e deciso e quando il magistrato gli chiede cosa ne volessero fare delle armi, risponde: «Volevamo avere delle armi da usare quando gli inglesi sarebbero giunti per combattere al loro fianco». Dinanzi a quest’affermazione il difensore Grunwald sussulta: «Bravo Kund, sei un genio, vai a dichiarare di voler usare le armi contro i tedeschi! Ma hai capito che in questo modo ti sei incriminato e hai incriminato tutti? Non dovete comportarvi da sabotatori, ma da ragazzi annoiati e viziati che volevano rendere meno monotone le giornate! Altrimenti la condanna a morte non ve la toglie nessuno. Avete capito?». Tutti i ragazzi hanno compreso il pericolo, ma Knud si ostina. «Kund, la vita dei tuoi compagni dipende da te! Puoi fare lo strafottente quanto vuoi con la tua vita, ma non con quella dei tuoi amici e di tuo fratello!». L’indomani mattina, alla riapertura dell’udienza, l’avvocato Grunwald chiede al giudice di ripetere la domanda posta il giorno prima. Ma Knud ripete pedissequamente la risposta, poi dirige lo sguardo verso il difensore e gli sorride. È convinto di aver vinto, invece è il trionfo dei tedeschi. I ragazzi non sono stati manipolati, erano coscienti e consapevoli delle loro azioni e perciò sono condannati per aver arrecato danni al Terzo Reich. Il 17 luglio 1942, la sentenza stabilisce che: «Viste le leggi danesi, preso atto delle testimonianze e delle dichiarazioni spontanee degli accusati, considerate le attenuanti per la minore età, la Corte condanna: Knud Pedersen a tre anni; Jens Pedersen a tre anni; Uffe Darket a due anni e sei mesi; Eigil Astrup-Frederiksen a due anni; Fjellerup Mogens a due anni; Thomsen Mogens a un anno e sei mesi; Helge Milo a un anno e sei mesi; Knud Hornbo a cinque anni; Alf Houlberg a quattro anni e sei mesi; Kaj Houlberg a cinque anni. Inoltre si condannano i suddetti al pagamento delle spese processuali. I signori Knud e Jens Perdersen, Uffe Darket, Alf Houlberg vengono inoltre condannati a risarcire l’esercito tedesco, a seguito dei danni arrecati con i vari danni di sabotaggio, della somma di 1.860 corone ovvero 12.358 marchi del Reich».
Finita la lettura della sentenza, il giudice batte il martelletto per sancire la decisione, ma subito si preoccupa di informare i condannati che potranno ottenere il beneficio della libertà condizionale dopo aver scontato i due terzi della pena. E a sottovoce a Knud dice «Ho saputo del tentativo di evasione, ho cercato di proteggervi in ogni modo, promettetemi di evitare di fare altri tentativi, io non potrò più proteggervi». Un segno di rispetto e di apprezzamento per quegli eroi.
La fuga
Nonostante la condanna, i giovani rientrano in carcere contenti e soddisfatti, quasi avessero ottenuto una medaglia. Adesso devono cercare di dedicarsi, con tutte le forze, all’evasione. Hanno un seghetto passato, dentro una rivista, durante un colloquio, dal fratello più giovane di Alf e Kaj, Tage. Lavorando quotidianamente, ai primi di settembre riescono ad aprire tra le sbarre un varco abbastanza grande per farvi passare una persona magra. Un giorno però tutti i ragazzi, a eccezione dei fratelli Houlberg e di Knud Hornbo, sono prelevati dalle celle e, sorvegliatissimi, scortati al carcere di Nyborg, sull’isola di Fiona.
I tre prigionieri rimasti ad Aalborg trascorrono il tempo giocando a carte, leggendo, costruendo modellini di aeroplani o giocando a scacchi. Le guardie si stupiscono che tutto fili liscio. Fino a quando, una sera, i tre mettono un manichino nel letto visibile dallo spioncino, spostano la sbarra tagliata e attraverso una grondaia, toccano terra, scavalcano la rete e si danno alla fuga. In cella Alf ha lasciato un biglietto con il numero di telefono dei suoi genitori e una preghiera per la polizia penitenziaria: «Chiamate questo numero e ritorneremo immediatamente».
Il Churchill Club, seppur dimezzato, torna operativo, distrugge mezzi tedeschi, colpisce le finestre dei collaborazionisti. La base è ora la casa di Alf e Kaj Houlberg, in attesa di trovare un passaggio per la Svezia. Purtroppo dopo quasi tre settimane, proprio quando si è trovata una barca che possa condurli all’estero, i tre ragazzi vengono nuovamente fermati. Questa volta a prenderli in custodia sono i tedeschi che arrestano anche l’intera famiglia di Houlberg. Il processo viene condotto da un giudice tedesco, secondo le leggi tedesche, vane le proteste danesi; questa volta la pena è dura: dieci anni, da scontare in una prigione tedesca.
Nel frattempo, il resto dei componenti del Churchill Club sono giunti a Nyborg, una prigione di massima sicurezza, dove l’atteggiamento delle guardie è rigido e poco propenso a tollerare. I ragazzi dopo essere passati per l’ufficio matricola, essere stati rasati, sono condotti nell’ala K, riservata ai giovani criminali. A ognuno è assegnato un numero che diviene la sua nuova identità, all’interno della struttura le regole sono rigide e guai a non rispettarle, le punizioni sono continue e dure, inoltre devono fascicolare, per dieci ore al giorno, montagne di cartoline stampate dalla tipografia della prigione. I secondini, temendo un’evasione, la notte sequestrano le scarpe.
Nonostante tutto, il seme gettato dal Club Churchill attecchisce e ben presto anche a livello internazionale le azioni condotte dal gruppo divengono di dominio pubblico.
Nel 1943, mentre la guerra sta prendendo una piega sfavorevole alla Germania, il ministro della giustizia danese Thune Jacobsen si reca in carcere per parlare con loro, informarsi delle loro condizioni, soprattutto chiedere pazienza. L’intento dello «sporco tirapiedi dei nazisti», come lo definiscono i ragazzi, è far ammettere l’errore, per frenare il malessere della popolazione, ma soprattutto dei giovani. I gruppi ispirati al Churchill Club si stanno infatti moltiplicando. Uno molto attivo è il “Danimarca Freedom League”, e inevitabilmente continuano gli arresti. Il 29 agosto 1943 il governo danese si rifiuta di continuare a collaborare con i nazisti, provocando la reazione tedesca: il re è esautorato e la nazione occupata militarmente come in ogni altro angolo d’Europa.
Il 18 settembre Mogens Fjellerup ed Eigil Astrup-Frederiksen vengono rilasciati; ai primi di gennaio ’44, viene liberato Uffe Darket, e il 27 maggio anche i fratelli Pedersen lasciano la prigione. Jens s’iscrive all’Università, Knud si dedica all’attività artistica. Nel frattempo, i tedeschi avviano la deportazione degli ebrei, tra i settemila che rischiano di essere destinati ai lager ci sono anche Eigil e la sua famiglia, che fortunatamente riescono a salvarsi: la sorella è riuscita a distruggere i documenti che potrebbero documentare l’appartenenza «giudaica».
Ogni attività clandestina è sospesa. Una sera d’inverno però bussano alla porta del Monastero, mamma Perdersen apre e si trova davanti Karl August Algreen Moeller, studente del Politecnico di Copenaghen, volontario del SOE (Special Operations Executive) britannico, chiede rifugio, é inseguito dalla Gestapo. Karl ogni sera, da varie case amiche, tranne che dal Monastero, telegrafa informazioni al SOE, diffuse poi in codice tramite la BBC. Ma una sera Karl non torna al nascondiglio; dopo la Liberazione si apprenderà che s’è suicidato per non cadere nelle mani della Gestapo e non rischiare di rivelare sotto tortura informazioni vitali alla Resistenza danese. Quando verrà ritrovato il corpo, sarà Knud a doverlo riconoscere. «È stata una scena straziante – ricorderà anni dopo –, sono rimasto colpito dal biglietto d’addio, scritto prima di togliersi la vita: “Cari genitori, tra poco morirò e ho molta paura; ma io credo che Dio m’aiuterà a morire. Io sono un cristiano e un danese e sto morendo per la liberazione della Danimarca. Prego che Dio vi benedica. Credo di aver fatto il mio dovere. Ho deciso di suicidarmi piuttosto che essere catturato. Affido la mia anima a Dio. Vostro Karl”».
Onore e gloria
I ragazzi del Churchill Club non si sono più riuniti dopo il rilascio. È Eigil il primo a prenderne il testimone. Viene contattato da un amico che fa parte della Resistenza, e alla richiesta di ricominciare la lotta non ha dubbi: accetta. Il nuovo compito è recapitare documenti falsi a persone ricercate per aiutarle a sfuggire alla Gestapo, presto viene intercettato dalla Gestapo, nel tentativo di fuga si rompe una gamba e viene arrestato per la seconda volta.
Anche Knud sogna di tornare a combattere. Il SOE, pur ritenendolo una testa calda e che, divenuto troppo noto, attirerebbe l’attenzione della polizia politica tedesca, per evitare azioni autonome e sconsiderate del giovane decide di ammetterlo nei suoi ranghi. Ma Knud è ormai maturo, si dimostra consapevole e responsabile, e diviene il leader della “K Company, Division B, Group Number 4”. Le missioni consistono nello spostare le armi da un nascondiglio a un altro, per evitare che cadano nelle mani dei nazisti. Anche Gertrud Pedersen, la sorella di Knud, entra nella resistenza cercando fondi per sostenere i giornali clandestini, tra cui “Frit Danmark”.
La sera del 4 maggio 1945 i tedeschi firmano la resa. Knud entra in azione con il suo gruppo, formato da 35 unità, e nel corso della notte prende il controllo della città di Aalborg.
Nell’estate 1945 il generale britannico R.H. Dewing incontrò i ragazzi del Churchill Club, riferendo le loro esperienze a Winston Churchill che nel 1950, in occasione di una visita a Copenaghen, volle conoscere quei giovani, rendendo onore al primo nucleo della resistenza danese.
La storia di quei giovanissimi danesi è stata raccontata nel romanzo “I ragazzi di San Pietro” e in un film dal titolo omonimo.
Stefano Coletta, insegnante
Bibliografia
Philip Hoose, The Boys who Challenged Hitler: Knud Pederson and the Churchill Club. Farrar Straus & Giroux, 2015 (non edito ancora in Italia).
Reuter, B. B., Boys from St. Petri. Turtleback Books, 1966.
Movie: “The Boys From St Petri”. The New York Times. 1991. Retrieved 23 April 2008
Pubblicato mercoledì 18 Settembre 2019
Stampato il 30/10/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/persone-e-luoghi/profili-partigiani/i-ragazzi-del-churchill-club/