Arrigo Boldrini, prestigioso partigiano, fra i fondatori dell’ANPI e a lungo suo Presidente, era nato il 6 settembre 1915 a Ravenna, dove scomparve il 22 gennaio 2008. A 101 anni di distanza dalla nascita, lo ricordiamo tramite le parole di un’altra figura di grande rilievo nel panorama politico e culturale del dopoguerra: Aldo Tortorella, partigiano e poi dirigente politico nazionale e finissimo intellettuale. Pubblichiamo infatti il suo intervento scritto, ad oggi inedito, inviato al Congresso nazionale dell’ANPI svoltosi nel maggio di quest’anno, in occasione della presentazione del volume di Edmondo Montali “Il comandante Bulow”. Tortorella definisce Boldrini “eroe di una vita intera”.
Cari compagni e cari amici,
la malferma salute mi impedisce di essere oggi con voi come avrei desiderato. Ma non voglio che manchi il mio ringraziamento a Edmondo Montali per il suo bel lavoro sulla vita e sulle lotte di Arrigo Boldrini.
Noi viviamo un tempo in cui è venuto prevalendo l’oblio, o, peggio, lo stravolgimento della memoria storica, e cioè della consapevolezza del nostro passato. È il tempo di una sorta di totalitarismo del presente, quasi che il passato della nazione fosse una indistinta nebbia di errori, tutto da dimenticare o da buttare nei rottami. Anche il solo narrare la cronaca dei fatti nel loro svolgimento è già una impresa meritoria, ma il lavoro dello storico sta nello studio delle complesse cause che li determinano, e dunque di ciò che la nuda cronaca non mostra. E dunque Montali con scrupoloso impegno di studioso, nel tracciare la narrazione dell’opera di Boldrini ne coglie le motivazioni di fondo, la passione coerente, la intelligente continuità.
Ci sono eroi di un giorno o di una breve stagione, ed eroi di un vita intera. Boldrini appartiene alla seconda categoria. Talora una prestigiosa medaglia può rappresentare la conclusione di una esistenza. Non parlo di chi l’ebbe, la medaglia d’oro, soltanto alla memoria come accadde anche ad alcuni cari compagni della Resistenza. Parlo del fatto che può essere ed è umano appagarsi quando si sia compiuto il proprio dovere verso una giusta causa oltre ogni limite di ardimento e di coraggio. Boldrini non si appagò, non visse e non volle vivere sugli allori pur giustamente conquistati nella lotta per la liberazione e per la libertà.
Nessuno più di lui aveva concepito, nella Resistenza, un capolavoro di capacità di direzione, di organizzazione e di intrepida tattica come la guerra partigiana di pianura coronata dalla liberazione di Ravenna. Ma proprio perché sapeva che la giusta causa della democrazia e della libertà non erano concluse dalla vittoria nella guerra antifascista e antinazista –e non è mai conclusa una volta per tutte – volle impegnare se stesso e il prestigio conquistato nel cimento politico, con rischi diversi ma non minori di prima, perché scelse di stare dalla parte dei diseredati e dei senza potere, degli ultimi e dei penultimi. La sua difesa della memoria della Resistenza, durata fino all’estremo della sua vita, si accompagnò nelle aule parlamentari e nel Paese alla lotta per la salvaguardia della democrazia costituzionale e degli interessi dei lavoratori e del Paese insieme con quella grande comunità di donne e di uomini, il Partito comunista italiano, che rappresentò la sua scelta di vita.
E fu una lotta, come questa biografia ricorda, che costò al popolo italiano ancora tanti lutti per l’assalto alla democrazia e alla Costituzione nata dalla Resistenza di chi non si è mai rassegnato – mai, neppure oggi, tanto tempo dopo – alla sconfitta del 25 aprile, e di chi – scambiando il proprio volere con la realtà – vaneggiava di rivoluzioni immaginarie. In questa morsa ha dovuto vivere la democrazia italiana tra tentati colpi di stato di destra e stragi fasciste da una parte e terrorismo che definiva se stesso come rosso, dall’altra parte. E in ognuna delle aspre contese che furono determinate da questa ininterrotta scia di sangue si vede l’opera accorta e ferma di Boldrini nella denuncia e nel contrattacco democratico.
Non fu una lotta facile perché la Costituzione italiana rappresentò e rappresenta un modello inviso al modello economico e sociale vincente come ultimamente ha provato il documento di uno dei colossi – la JP Morgan – del sistema finanziario statunitense. E la Resistenza, che ne fu la premessa e la condizione, perciò suscitò e suscita tanta avversione non solo nei gruppi fascisti e nazisti che vengono rialzando il capo ma in tutte le forze restauratrici del vecchio ordine che la Resistenza minacciò in tutta l’Europa.
La vita e l’opera di Boldrini ci insegna a non arrenderci a chi vorrebbe seppellire la memoria della Resistenza in nome dell’eguale pietà per tutti i morti. L’uguale pietà non deve significare, come ci ricorda questo libro, un eguale giudizio tra chi è morto per conquistare la libertà e chi è morto per confermare la tirannide. Per affermare questa verità storica si svolse l’ultima battaglia di Boldrini. C’era amarezza, in lui, in quegli ultimi anni, ma non mai rassegnazione, e ancora trasmetteva ai giovani, quando ne aveva occasione, la volontà di lottare.
Non era una lotta di retroguardia o di nostalgia. Senza memoria storica un Paese diventa una pura espressione geografica. Il passato dell’Italia rischia di essere ridotto all’immagine fascista se si oscura la memoria delle battaglie antifasciste e della Resistenza, dei volontari della libertà e di chi pagò col carcere e con la vita stessa la fedeltà alla causa della democrazia. Ho ringraziato Montali per averci dato la ricostruzione della lunga opera di Boldrini. E ora ringrazio lui, Bulow, partigiano, legislatore, creatore e capo dell’Associazione dei partigiani, e per me – permettetemi di dirlo – compagno carissimo.
Aldo Tortorella
Pubblicato giovedì 8 Settembre 2016
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