Santo Stefano è là, una roccia vulcanica, non di più, scoscesa sul mare, con in cima il carcere borbonico terribile. Ci siamo lasciati alle spalle Gaeta, Ischia e Ponza. All’epoca dei confinati il collegamento era due volte la settimana. Il piroscafo, il Santa Lucia, prima attraccava a Santo Stefano. E scaricava merci e guardie e condannati. E dopo arrivava a Ventotene, all’antico porto romano, vecchio di duemila anni, dove i confinati, spesso insieme ai residenti, si precipitavano in massa, dopo l’appello, spinti dalla speranza di qualcosa che arrivasse dalla terraferma: una lettera, una cartolina, dei viveri, un familiare… Così, nella mia mente, vedevo i coatti mentre nel frattempo il nostro piroscafo attracca. È una emozione forte. Non solo mia, ma anche degli amici dell’Istoreco, l’Istituto storico di Reggio Emilia, che ha organizzato l’evento.
La vedo, l’isola, mentre il nostro piroscafo ci sbarca. Abitata, con case rosse, e gialle e bianche, prive di tetti, come le case arabe, per via del vento, tutte aggrappate vicine. Ha un porticciolo attivo, con alcuni ristorantini, stradine tortuose e strette come piccoli corridoi, grotte scavate nel tufo, scalette ed angoli bui. In alto la piazza, il municipio da una parte e dall’altra la chiesa, e un’altra piazzetta, ad architettura mediterranea, più di tutto però attira la sua vivida storia di confino per gli antifascisti: da Altiero Spinelli, Amendola, Basso, Rossi, Colorni, Scoccimarro, Bauer e Fancello, Terracini e la Ravera, e Pertini, indomabile anche qui. E tanti altri. Fino ai combattenti antifascisti che arrivarono dalla Spagna, quando la guerra fu persa, qui confinati: Di Vittorio, Braccelarghe, Secchia, Pesce, e pure mio babbo, Ilario.
Siamo al seguito dell’Istoreco, la docente è Elisabetta Del Monte, e quando arriverà il mio momento parlerò di Ilario. Dirò di come il carcere venne vinto, e ancora quando il carcere si fece paese con case, vie, dormitori, garitte.
Si chiamava, questa isola in origine, Pandataria, colei che distribuisce tutto. Denominata in seguito dai suoi abitanti Ventotene, la Ventosa, all’epoca del fascio Littoria. Abitata in epoca romana come soggiorno per i “cattivi”: da Giulia figlia di Cesare Augusto ad Agrippina, quando fu comodo togliersele di mezzo, per convenienze politiche.
Durante il Medio Evo, Santo Stefano e Ventotene furono abbandonate e poi recuperate in epoca borbonica. A Santo Stefano, nel 1789, con i soldi reali si costruì un carcere infame, detto “l’ergastolo”. Fu realizzato secondo le proporzioni del San Carlo di Napoli, come un teatro all’inverso.
Qui a Ventotene furono relegati inizialmente condannati comuni, e in seguito carbonari e anarchici e con Mussolini, dopo le leggi fascistissime, gli oppositori politici; tutti segregati in condizioni terribili.
Ci sono le “pietre d’inciampo”. Non sono per terra, ma sui muri. L’altezza è giusta, regolata affinché gli occhi vi si fermino sopra. Dicono “Mensa Rosselli di Giustizia Libertà”, “Biblioteca dei confinati”, “Strada delle mense comuniste” e altre. Molto in evidenza è quella della “Mensa Pertini”, futuro e amatissimo Presidente della Repubblica.
Girando per Ventotene ho la netta impressione che qui ci sia stato un passaggio fondamentale per il nostro Paese. Io sono arrivata qui perché figlia di un “coatto”, di un colpevole di aver combattuto in Spagna dal 1936, di aver difeso Madrid dal franchismo.
Sono arrivata qui, in un certo senso, per dare voce e rappresentare i figli, i nipoti, i familiari di coloro che dopo la guerra in Spagna, vennero inviati al confino su questa isola e anche ai tanti che sono stati dimenticati. Sono molto emozionata.
Non è facile tradurre in parole i sentimenti che mi hanno portato ad andare, negli anni, alla ricerca delle mie radici, a causa di un padre (militante del Battaglione divenuto Brigata Internazionale Garibaldi prima, in seguito incarcerato e confinato, poi comandante di brigata partigiana) morto troppo presto per raccontarmi di sé.
Per questo ho colto l’occasione di un viaggio di studio e di scendere a Ventotene, che oltre ad essere un luogo di memoria è un luogo di cultura, di etica e di resistenza antifascista.
Con gli amici Istoreco e guidati Anthony Santilli referente dell’Archivio storico del Comune di Ventotene, abbiamo fatto il percorso che potevano fare i confinati nel paese.
Non più di quattro vie tra di loro parallele: via dei Granili, Muraglione da sud a nord, Calanave, degli Ulivi da ovest a est. Piazza Castello occupa un angolo del quadrilatero. Immagino un brulichio di persone che battono e ribattono quel breve percorso di non più di 7 od 800 metri. E intorno posti di blocco, e garitte e militari che seguono i coatti più pericolosi. In tutto 700 persone, con una ventina di donne. I cameroni in cui dormono e vivono sono 12. Di questi uno adibito a infermeria, uno per i tubercolotici e uno per le donne. La popolazione è di 300 paesani. E 350 sono i militi. Impossibile fuggire.
Dopo lo sbarco i confinati in manette e con le loro valige si inerpicano faticosamente per i tornanti fino a sbucare nella piazzetta della chiesa di Santa Candida. Accanto sta la palazzina della milizia confinaria, in cui vengono rigorosamente perquisiti. Riforniti del libretto di permanenza e portati in una vecchia costruzione detta “Granili”. Qui rimangono finché non si libera un posto nei cameroni; la cosiddetta “città confinaria”. Prima ancora i coatti venivano reclusi nel “Castello”, in origine torre di avvistamento, costruito nel 1700, in seguito ampliato e riservato alla milizia e alzato poi per alloggiare i detenuti. Dopo il condono fascista del 1932 e la chiusura di Ponza nel 1939 e di altre isole, Ventotene mostra la più alta concentrazione di dirigenti politici antifascisti mai vista in Italia.
Nel 1940 giungono anche gli ex combattenti in Spagna delle Brigate Internazionali, circa 160, per lo più comunisti. Qui si raccoglie dunque una vera élite politica di vari partiti che analizzò, discusse e ebbe la capacità di prevedere gli sviluppi della situazione internazionale.
Questi uomini riescono, in barba alla Milizia, a trovare i contatti con l’estero, dove fanno arrivare documenti e loro notizie. Con l’inizio della Seconda guerra mondiale si aggravano i problemi. Comincia a mancare quasi tutto, i viveri sono razionati. La mazzetta giornaliera è ridotta. Così delle 5 lire, di cui 3,5 che i confinati consegnano ai responsabili delle mense, poco o nulla rimane loro. Quando poi gli eventi bellici peggiorano spesso i confinati rimangono senza cibo e si devono accontentare di erbe raccolte nei campi. O di qualche pagnotta di pane e talvolta di un pugno di castagne, se riescono a comprarle.
I commissari di Pubblica Sicurezza inviati a dirigere Ventotene sono particolarmente zelanti. E durante la loro gestione molti coatti si ammalano di tubercolosi, altri di malattia cronica per fame e alcuni muoiono per denutrizione. I confinati non devono avere rapporti con la gente del posto, che del resto non li ama, o per timore di rappresaglie o per astio come se fossero di un’altra specie. Anche con le Forze Armate c’è un grande distacco; c’è la stessa freddezza. Da un lato i militi dall’altro i prigionieri; gli antifascisti. E pure se vengono imposte angherie i coatti non si piegano. Sono uomini di grande dignità. Se pur devono stare attenti ai manciuriani, le cosiddette spie. Uomini senza scrupoli, che li vendono facilmente e fanno delazioni per poche lire, provocando così perquisizioni, consegne e arresti.
Ventotene è stata una vera scuola di antifascismo. Qui i giovani si sono fatti adulti e dirigenti validi. Hanno acquistato personalità. Qui si sono elaborati programmi politici che poi dall’isola si sono diffusi.
Qui si è creata una università di menti qualificate che hanno spiegato, dato consigli, indicazioni, esteso informazioni. E accanto alla biblioteca ufficiale si trovavano tanti libri clandestini, abilmente camuffati e ben nascosti. I gruppi politici erano: comunisti, socialisti, anarchici, comunisti dissidenti, federalisti, giustizia e libertà. I comunisti erano i più numerosi e organizzati. C’erano giardinieri e ortolani. C’era la lavanderia, il pollaio, le mense, le botteghe.
Di Vittorio, futuro segretario generale Cgil, coltivava un orto, aveva alcune mucche e mungeva ogni giorno il latte per i tubercolotici e per le donne ammalate.
Nel tempo anche gli screzi tra gli elementi di partiti diversi si smorzano. Nasce una biblioteca clandestina. L’arrivo degli spagnoli delle Brigate Internazionali è un buon ammaestramento, che sarà utile per le lotte politiche del domani. E darà senso e forza al rinnovamento politico. Il gruppo dei federalisti è pieno di entusiasmo. Rossi, e Colorni e Spinelli produrranno attività di studio e di lavoro encomiabili che termineranno con il Manifesto di Ventotene, base della nascita della Europa nuova. L’ozio forzato stimola lo studio, si fanno corsi di alfabetizzazione. E alcune donne, compagne dei confinati o dirigenti coatte, con abilità portano fuori i programmi di questa che si è trasformata in una vera èlite politica. Con il postale arrivano pure i giornali, spesso vecchi di alcuni giorni, le cui notizie tenevano i confinati legati al resto del mondo. A Ventotene si realizza uno straordinario laboratorio politico.
Insomma la punizione, per quelle donne e quegli uomini di Ventotene, è diventata un premio. Ovvero una lezione. In una parola le punizioni son diventate politica. I confinati “i politici confinati” hanno imparato ciò che il fascismo ha sempre negato e combattuto: l’Unità Orizzontale. Il progetto che tiene insieme uomini di idee diverse per uno scopo comune: una nuova società. Una nuova Italia. Una vita accettabile per tutti. Non un potere che cala dall’alto al basso, da Mussolini agli italiani tutti, ma l’inverso. Da qui la spinta e la forza che presero gli uomini e le donne di Ventotene e i carcerati di Santo Stefano. Da qui la lotta partigiana e i principi di civiltà democratica.
Durante una lezione di approfondimento su alcune biografie di confinati, mi è stato chiesto di parlare di mio babbo: Ilario Tabarri (1917-1970) che a 19 anni attraversa il confino illegalmente per andare in Francia, a Parigi, dal padre emigrato anni prima. Nell’agosto dello stesso anno (1936) va in Spagna e combatte a Madrid, a Barcellona, a Huesca, sull’Ebro. Al suo rientro in Francia a guerra perduta ormai, nel 1939, svolge attività politica nel sud della Francia fino alla fine del 1941. Poi in accordo con Giorgio Amendola rientra in Italia dove viene arrestato e tradotto a Forlì. Nel marzo del 1942 é inviato a Ventotene. E qui farà parte di quel gruppo di giovani, allievi di Ilio Barontini, che con Pesce spiegheranno l’arte della guerriglia e del costruire armi e munizioni. Mentre a sua volta apprende e studia a quella università e approfondisce la sua formazione politica. Camilla Ravera fa corsi di cultura generale, Scoccimarro di economia, Pertini di formazione politica, Secchia e Curiel di politica estera, e così via.
Ci si prepara alla Resistenza.
Mostro con commozione le cartoline di Ventotene, e le cartoline postali e le due lettere che mio babbo inviò agli zii mentre era lì confinato. E scopro un grosso quaderno dalla copertina nera che contiene i suoi appunti di storia. Scritti in bella calligrafia e con le note bibliografiche. Il tutto suscita l’interesse degli amici, ormai siamo tutti diventati amici, ma anche di chi si occupa di storia dell’isola e di fare memoria.
Ritorno a Ravenna con il mio bagaglio di fonti così preziose per me. Ma non solo per me. Da qualche anno si sta superando la rimozione forzata della memoria storica e politica dell’isola. Alcune strutture, come ad esempio i cameroni, sono state distrutte (1980) a parte una, sede oggi della Guardia di Finanza. Anche le fonti sono state congelate negli anni. Ma da qualche tempo stanno riemergendo con vigore e passione.
Credo di poter dire che Ventotene è isola accogliente e consapevole della sua ricchezza antifascista, testimone di un periodo storico che ha fatto l’Italia repubblicana, libera e democratica.
Bruna Tabarri, Comitato provinciale Anpi di Ravenna
Pubblicato sabato 17 Ottobre 2020
Stampato il 21/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/persone-e-luoghi/itinerari-della-resistenza/nellisola-dei-padri/