Avvocato Emilio Ricci, lei rappresenta l’ANPI come parte civile nel processo per il monumento di Affile dedicato a Rodolfo Graziani. Ora arriverà la sentenza?
Sì, è attesa per l’udienza del prossimo 21 marzo. E non solo l’ANPI è stata ammessa come unica parte civile nel procedimento, ma siamo stati noi a promuovere l’azione penale presentando una denuncia/querela alla Procura di Tivoli, competente per territorio, sostenendo che l’inaugurazione e l’intitolazione di un monumento a Rodolfo Graziani, condannato per collaborazionismo con la Germania nazista e inserito dall’ONU tra i criminali di guerra per l’uso di armi chimiche, costituisse reato di apologia del fascismo.
Il “Mausoleo al Soldato” è stato inaugurato il 21 agosto 2012 nel paese d’origine del generale, in provincia di Roma. Imputati sono il Sindaco, Ercole Viri, e due assessori che votarono a favore dell’intitolazione. Quali sono stati gli sviluppi della vicenda?
Il procedimento venne preso in carico direttamente dal Procuratore della Repubblica, all’epoca dei fatti Luigi De Ficchy, il quale ha acquisito tutta la documentazione utile e condotto in fase istruttoria un’approfondita indagine, con l’ausilio dell’Arma dei Carabinieri. Rinviati a giudizio, gli imputati hanno optato per il rito abbreviato, che non prevede dibattimento. La decisione sarà dunque presa dal giudice monocratico, la giovane magistrata Marianna Valvo, basandosi sullo “stato degli atti”. Anche in udienza la pubblica accusa è stata rappresentata dall’attuale Procuratore Capo Francesco Menditto che, dopo una requisitoria di oltre un’ora, ha chiesto la condanna per apologia di fascismo: 2 anni per il sindaco, 1 anno e 7 mesi per i due assessori. Attenzione, però: tenendo già in conto la riduzione di un terzo dell’eventuale pena da infliggere, così come previsto dall’abbreviato.
Potranno essere applicate le cosiddette “attenuanti generiche”?
Il Pubblico Ministero ha ritenuto che non debbano essere concesse, benché i tre imputati siano tutti incensurati e dunque, tecnicamente, poterebbero usufruirne. Ma non si tratta di un diritto e nella valutazione vanno considerati altri elementi, quali la gravità del fatto commesso. In questo caso il fatto è grave, poiché il reato di apologia del fascismo è stato compiuto attraverso l’esaltazione di un significativo esponente del fascismo, come stabilisce la Legge Scelba del ’52.
E Graziani lo è stato sicuramente?
Si tende a dimenticare che era ministro delle Forze Armate nella repubblica di Salò. Pertanto, ho voluto evidenziare al giudice che Graziani è stato un autorevolissimo componente di una repubblica creata dai tedeschi, senza alcun senso politico né storico, senza l’appoggio di nessuno. Le forze italiane che l’hanno sostenuta sono state addestrate per lo più in Germania, non sono mai state schierate in combattimento contro le forze alleate, ma hanno fatto soltanto da supporto ai nazisti nelle azioni di repressione interna della Resistenza partigiana, nei rastrellamenti, nelle stragi. Con l’ANPI avevo già lavorato su questi aspetti e per le mie affermazioni mi sono ricondotto al parere espresso da Giuliano Vassalli ai tempi della legge che proponeva di equiparare i repubblichini ai combattenti “legittimamente belligeranti”. Secondo Vassalli, infatti, per ottenere tale riconoscimento occorre aver combattuto in un conflitto tra Stati opposti.
L’equiparazione è stata proposta più volte in passato. Che relazione c’è con il caso del monumento a Graziani?
Le argomentazioni alle quali ho fatto riferimento documentano e avvalorano la posizione di collaborazionista di Graziani, per questo reato condannato dal Tribunale penale militare a 19 anni di prigione, circa 2 scontati prima di essere scarcerato. In quella sentenza sono riportati numerosi proclami contenenti la minaccia di condanna a morte per i renitenti alla leva, sottoscritti dal ministro Graziani. Poi c’è tutto l’aspetto dei crimini di guerra di cui le Nazioni Unite lo ritengono responsabile, pur non essendo mai finito a processo, per l’uso di iprite nel corso della guerra di Etiopia che provocò anche molte vittime civili. Nel film Il leone del deserto sono narrate molto bene le sue strategie per stroncare la resistenza all’invasione italiana della Libia: la deportazione di intere tribù, oltre centomila persone, l’allestimento di campi di concentramento nel deserto, la pubblica esecuzione per impiccagione di Omar al-Mukhtar, leader dei resistenti.
Perché l’ANPI ha potuto essere presente nel processo come parte civile?
Abbiamo fatto valere l’azione condotta per l’ANPI in occasione dei processi per la strage di Cefalonia nei confronti dei nazisti ancora viventi. A partire dal primo di essi, contro il sottotenente Mulhauser, possiamo contare su ben tre ordinanze del Tribunale penale militare con le quali siamo stati ammessi alla costituzione di parte civile. Il cambio di impostazione riconosciuto dai giudici è stato fondamentale e l’abbiamo ottenuto in quanto l’ANPI, in base all’Art. 2 del suo Statuto, è stata considerata erede diretta di coloro che, militari e civili, hanno combattuto contro l’occupante tedesco. Pur se l’Associazione è stata costituita, prima clandestinamente, poi formalmente, dopo i fatti per i quali si giudicava.
Nel caso di condanna degli imputati nel processo sul mausoleo di Affile, quali sarebbero le conseguenze per i casi di manifestazioni plateali e sempre più frequenti di neofascismo?
Sulla materia dell’apologia c’è sempre stata ambiguità di decisione da parte dei tribunali, con situazioni analoghe e sentenze di segno opposto tra loro. Non solo: spesso non si giunge neppure ad istruire e avviare i procedimenti. Per i fatti di Affile invece l’indagine è stata abbastanza rapida, sono stati accertati i fatti e correttamente, secondo me, la Procura ha ritenuto che sussistesse solo l’apologia e non gli altri reati configurati in un primo momento, come il peculato e l’abuso d’ufficio. A questo punto sarebbe importantissimo il riconoscimento in sentenza che l’edificazione di un sacrario che esalta il fascismo, attraverso la celebrazione di un suo esponente eminente – e non solo in quanto concittadino “illustre”, per così dire, bensì nella sua veste di militare, generale, ministro, fino alla fine uno degli uomini di fiducia di Mussolini – configura senza alcun dubbio il reato di apologia del fascismo. Il problema permane in relazione ai casi di saluto fascista a braccia tese, per esempio: si tratta di un gesto, quindi per sua natura con caratteristiche di episodicità e sporadicità. Un monumento invece è fatto per restare nel tempo.
Naturalmente, si tratterebbe di una sentenza di primo grado e bisognerà attendere i tre gradi di giudizio…
Sì, certo. E noi ci muoveremo per evitare la prescrizione. Come parte civile non potremo proporre appello se gli imputati saranno assolti, ma un articolo del codice di procedura penale ci dà la possibilità di inoltrare alla Procura una richiesta fondata in tal senso. Del resto, la pubblica accusa ha chiesto pene rilevanti e lo farebbe senz’altro di sua iniziativa. Ma confidiamo molto in una condanna e abbiamo richiesto anche un risarcimento in via equitativa di 15.000 euro da liquidare all’ANPI, che ne farà buon uso per promuovere iniziative in tutta Italia contro l’apologia del fascismo, nelle varie forme in cui essa si manifesta.
Tra le richieste della Procura c’è anche il sequestro ai fini di confisca del “Mausoleo del Soldato”. Cosa significa esattamente?
In caso di confisca il monumento diventerebbe proprietà dello Stato che può farne ciò che vuole, anche disporne la demolizione. Generalmente la confisca di un manufatto è finalizzata alla sua messa in vendita. Oppure, come nel caso di beni della mafia, per essere dati in gestione. Qui siamo in presenza di un’opera che è il prodotto di un reato e ne “concretizza” la perpetrazione in maniera permanente: finché resta in piedi il monumento, resta in piedi l’apologia del fascismo.
Daniele De Paolis, giornalista
Pubblicato lunedì 16 Gennaio 2017
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