Il 16 ottobre 2024 è stata pubblicata un’ampia inchiesta da Hope not Hate, un gruppo di giornalisti inglesi che da tempo si occupa di estrema destra nel Regno Unito e dei suoi collegamenti con il resto del mondo. Di questa inchiesta si è parlato brevemente anche su alcuni organi di stampa del nostro Paese, ma l’impianto organizzativo dei gruppi coinvolti, le modalità operative, i temi approcciati e gli obiettivi politici devono essere visti da vicino, perché richiamano pratiche che riguardano tutto il mondo occidentale. Italia inclusa.
Questa storia comincia molti anni fa, nel 1937 negli Stati Uniti. Sono gli anni in cui si prepara in Europa una stretta fortissima sui temi del razzismo.
Il tema delle razze inferiori e superiori era naturalmente presente nell’Italia del regime fascista già da molto tempo e del resto il razzismo non è certo un’invenzione del fascismo. Fino al 1935-36 il desiderio sessuale dell’uomo bianco verso la donna nera era stato un motore implicito di propaganda per le guerre coloniali.
Le strofe di Faccetta Nera sono particolarmente allusive in questo senso. Ma è precisamente nel 1936 che quella canzone inizia a essere osteggiata, perché addirittura l’idea stessa di mescolare la razza bianca a quella nera viene messa al bando. Il razzismo da strumento coloniale e di dominio diviene qualcos’altro ed è per nutrire questa diversa angolatura che il razzismo ha bisogno di mostrare basi solide, basi scientifiche.
Il Manifesto degli scienziati razzisti viene pubblicato il 14 luglio 1938, qualche settimana dopo, il 5 agosto, esce il primo numero della rivista La difesa della razza. Il razzismo scientifico diviene arma politica per un razzismo che punta prima alla separazione e poi allo sterminio.
Nel 1937 negli USA, dicevamo, viene creato il Pioneer Fund che ha come obiettivo l’avanzamento degli studi scientifici sull’ereditarietà e la differenziazione umana. Come prima attività si dedica alla diffusione nelle scuole e nelle chiese del film di propaganda tedesco “Erbkrank” (malattia ereditaria). Ovvero uno dei filmati che fece parte dello sforzo di promozione dell’eugenetica del nazismo, realizzato a partire dal 1939 con il programma di eutanasia denominato Aktion T4: in Germania almeno 250.000 persone con problemi psichiatrici vennero assassinate.
E del resto la diversità e la malvagità innate degli ebrei non erano state anch’esse “scientificamente” dimostrate da scienziati italiani e tedeschi?
Fra alterne vicende il Pioneer Fund è arrivato fino ai giorni nostri, con una attività di finanziamento a ricerche scientifiche che cercano di dimostrare un’inferiorità, soprattutto sul versante intellettivo, di alcune razze umane rispetto ad altre. Nei primi Anni 2000 il Pioneer Fund disponeva di circa 2 milioni e mezzo di dollari. Poi, lentamente, il declino.
Vale la pena soffermarsi, a titolo di esempio, su uno dei direttori di questo fondo, Richard Lynn, professore emerito di psicologia all’Università dell’Ulster (titolo poi revocato nel 2018). Lynn, oltre a ricerche che puntano a dimostrare differenza di capacità intellettive fra uomini e donne – con le donne meno intelligenti in media degli uomini – e a richieste di limitazioni della natalità per persone non abbastanza intelligenti, si è occupato anche di Italia. È tutt’ora rintracciabile online un suo articolo scientifico del 2010 intitolato “In Italia, le differenze fra nord e sud nel quoziente intellettivo sono predittive della disparità di ricchezza, educazione, mortalità infantile, statura e alfabetizzazione”. In pratica nel Meridione italiano le persone sono meno ricche, meno acculturate e maggiormente soggette a mortalità infantile a causa di fattori genetici ineluttabili. Ovviamente dovuti a una maggiore mescolanza con persone provenienti dall’Africa del nord e dal Medio Oriente.
Essendo il Pioneer Fund una no-profit ha come obbligo di mostrare i propri conti. È per questo che sappiamo che negli ultimi anni le sue attività sono andate scemando fin quasi a fermarsi. Quello che si pensava è che di fatto questa organizzazione si fosse spenta. L’inchiesta di Hope not Hate invece dimostra il contrario, svelando le capacità di attrarre finanziamenti e le relazioni ampie che intrattiene, anche con importanti partiti europei.
Quello che il giornalista sotto copertura riesce a scoprire è che il Pioneer Fund si è riciclato come Human Diversity Foundation, che non è più un’organizzazione non-profit ma una LLC (limited liability company, più o meno l’equivalente statunitense di una società a responsabilità limitata). Questo le permette di non mostrare i propri conti in pubblico. Non solo: ha ricevuto donazioni che assommano a un milione e trecentomila dollari da un importante imprenditore del web. Stiamo parlando di Andrew Conru, che ha fatto una fortuna attraverso la creazione di alcuni dei primi siti di e-commerce e di dating, come Adult Friend Finder. Se le donazioni di Conru sembrano ripetersi negli ambiti del suprematismo bianco è altresì vero che non mancano finanziamenti a organizzazioni di stampo opposto. E subito prima della pubblicazione dell’inchiesta è stato contattato per un suo commento, dicendo che avrebbe tagliato ogni rapporto con HDF e rivisto le politiche delle proprie donazioni.
Di fatto l’attività di Human Diversity Foundation è una continuazione, con maggiore scaltrezza e un generale svecchiamento, di quella del Pioneer Fund. Lo svecchiamento è una chiave importante, se i direttori dell’organizzazione originaria erano in buona parte anziani razzisti, adesso chi dirige o opera in HDF è tipicamente molto più giovane, di norma si tratta di uomini fra i trenta e i quaranta anni.
Il progetto di punta di HDF è Aporia, sia un magazine online che pubblica articoli con un approccio relativamente blando al razzismo scientifico, sia un canale su Substack dove – dietro un paywall – si affacciano con molta più nettezza le tematiche ereditate dal Pioneer Fund.
In parallelo a questo c’è il finanziamento alla produzione di articoli scientifici e alla loro redazione in una forma che possa renderli “dolci e morbidi”, ovvero al loro “piazzamento” su riviste accreditate e non sui soliti bollettini di organizzazioni minori dove generalmente riescono ad arrivare tali ricerche.
Ora, il razzismo scientifico è, come abbiamo visto, fin dalla sua origine non una branca della scienza ma una strategia politica e comunicativa. Il razzismo scientifico è un vestito rispettabile indossato da una creatura abietta. L’obiettivo è il riuscire a introdurre nel dibattito pubblico i temi del razzismo, cioè dapprima il normalizzare e poi il rendere senso comune la “naturalità” della suddivisione degli esseri umani in razze.
Se il filo dei soldi rimane negli Stati Uniti e quello della rete interna di produzione scientifica è internazionale, quello delle relazioni politiche porta anche in Europa.
Nel novembre 2023 a Potsdam, in Germania, si è tenuto un incontro fra attivisti di estrema destra e politici tedeschi. Il meeting doveva essere segreto, ma nel successivo gennaio un’inchiesta del giornale Correctiv ha portato sotto i riflettori il fatto. La reazione fu grande, con manifestazioni di piazza e la condanna di ampi settori della società e della politica.
Politici e parlamentari della AfD – il partito di estrema destra in continua ascesa, soprattutto nei territori dell’ex Germania dell’Est – ma anche della CDU e di altre formazioni minori di destra ed estrema destra avevano dialogato sulla remigrazione, ovvero sull’espulsione di richiedenti asilo, migranti legali e “persone non assimilate”, cioè persone con la cittadinanza tedesca ma “non tedeschi” per etnia o cultura.
A quell’incontro era presente uno dei leader di Human Diversity Foundation, che è anche attivista di Alternative für Deutschland.
Il radicamento di HDF in Europa è per il momento limitato ai Paesi di lingua tedesca, Germania e Svizzera in particolare, e i loro terminali sono alcuni Active Club. Gli Active Club sono gruppi del suprematismo bianco americano recentemente sbarcati in Europa (qui il nostro servizio sul primo Active Club italiano) che si aggregano sulla base di allenamenti a sport di combattimento.
La scelta degli Active Club – che si preparano fisicamente per la difesa della razza bianca – porta le ambizioni del razzismo scientifico ben al di fuori delle riviste di settore e, in qualche maniera, ne rivela gli obiettivi ultimi.
Con soldi statunitensi, legami con partiti attivi nei parlamenti nazionali ed europeo, piattaforme online di larghissimo uso come Twitter/X e Substack, che hanno ampie sacche di utenza dedita alla propaganda di estrema destra, con la presenza sui territori tramite contatti con gli Active Club, il quadro del razzismo scientifico ha un aspetto decisamente diverso da quello di un marginale gruppo di ricercatori universitari che faticano a pubblicare i loro articoli. Quello che inoltre va considerato è l’ambiente politico cresciuto in questi anni, dove l’idea dell’etnonazionalismo trova sempre maggiori spazi nelle possibilità programmatiche di partiti presenti nei governi nazionali o locali di vari Paesi occidentali.
Si parla apertamente di remigrazione non solo in Germania, ma ne parla il presidente designato Donald Trump negli USA, ne parla Vox in Spagna, ed è in Francia che il concetto stesso di remigrazione ha inizialmente preso piede. La più grande rete internazionale del suprematismo bianco –White Lives Matter – ha in Italia uno dei capitoli europei più attivi.
È attivo inoltre tutto un corollario di temi e organizzazioni che si muovono in sinergia con l’etnonazionalismo e questo revival del razzismo biologico. Il pronatalismo e chi combatte il cosiddetto “inverno demografico” possono avere varie motivazioni, ma su un pianeta che entra in una drammatica spirale di reazione alle eccessive attività umane e dove il numero di umani non è mai stato così grande, politiche di ulteriore aumento dei nuovi nati potrebbero non avere a che fare né con le aspirazioni individuali e familiari, né tanto meno con lo spopolamento. Il pronatalismo è al fondo sempre selettivo, fa una suddivisione biologica degli umani in “popoli” o, per i meno cauti, in “stirpi di sangue” in naturale lotta fra loro. Alcune di queste stirpi vanno preservate, altre no.
E se alcune preoccupazioni per il locale calo demografico sono del tutto comprensibili e condivisibili, il loro utilizzo in chiave etnonazionalista è una deliberata scelta ideologica che persegue specifici obiettivi politici.
In tutto questo il razzismo scientifico, strumento già usato nella nostra storia, lavora su un terreno che in qualche modo sta tornando fertile. L’articolato intreccio rivelato da Hope not Hate è un campanello di allarme non abbastanza ascoltato.
Pubblicato mercoledì 20 Novembre 2024
Stampato il 21/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/persone-e-luoghi/inchieste/il-revival-del-razzismo-scientifico/