Questo è il primo di due articoli in cui si riassume il coinvolgimento dell’estrema destra nel conflitto russo-ucraino. La seconda parte, intitolata Eterni fascisti e Russia eterna, si occupa delle interazioni che l’estrema destra italiana ha avuto e ha tutt’ora con le parti in conflitto.
Gruppi armati di estrema destra e ultranazionalisti costituiscono uno degli scandali del conflitto russo-ucraino ben prima del 2022. Una presenza che, seppure a margine di una tragedia di quelle dimensioni, ha trovato molte volte l’attenzione delle cronache, oltre a offrire fondati motivi di preoccupazione e aver avuto anche un posto d’onore nella propaganda di guerra.
È cronaca di queste settimane: Denis Prokopenko è stato insignito dal presidente Zelensky della più alta onorificenza nazionale. Il Maggiore Prokopenko, che adesso può fregiarsi del titolo di “Eroe dell’Ucraina” in virtù dell’impegno profuso nell’attuale conflitto, è il comandante del Reggimento Azov, forse il più noto gruppo armato partecipato da neonazisti.
Un paio di settimane prima moriva in battaglia Vladimir Zhoga, comandante del Battaglione Sparta, anche questo con una nota collocazione politica di estrema destra, ma combattente in Donbas in forze ai filorussi. Putin, il giorno dopo, dichiarava Zhoga “Eroe della Federazione Russa”.
Il lato ucraino
Inizialmente denominato Battaglione Azov, il Reggimento è un gruppo nato come paramilitare e formato da volontari distintosi a Mariupol nel 2014, durante la guerra nel Donbas. Nello stesso anno il Battaglione viene integrato nella Guardia Nazionale trovando nell’allora ministro ucraino della difesa un acceso sostenitore.
Nel 2016 veterani del Reggimento, assieme a un’associazione civile a esso collegata, fondano il partito di estrema destra Corpo Nazionale, fortemente anti-russo e che al contempo prospetta per l’Ucraina un ruolo internazionale improntato alla neutralità, osteggiando infatti l’ingresso dell’Ucraina sia nella Nato sia nell’Unione Europea. Si è cercato cioè di convertire il prestigio militare e certe vicinanze con il governo nazionale in un durevole influsso sulla politica interna del Paese. La risposta però è stata una netta bocciatura.
Nelle elezioni parlamentari del 2019 è parte di una coalizione di estrema destra che però non riesce neppure ad avvicinarsi alla soglia di sbarramento del 5%. Nelle elezioni amministrative del 2020 i risultati sono ancor più deludenti, riuscendo a eleggere solamente 23 rappresentanti su un totale di quasi 160.000 seggi assegnati nelle varie città e nei vari distretti rurali.
L’attuale presidente di Corpo Nazionale, Andriy Biletsky, ha una storia politica tutta orientata al nazionalsocialismo. Nel 2010 dichiarava che la missione nazionale dell’Ucraina fosse quella di “guidare le razze bianche del mondo in una crociata finale […] contro le razze inferiori guidate dagli ebrei“. Leader di Patrioti Ucraini e di Assemblea Socialnazionale – due organizzazioni neonaziste – è fra i fondatori e primo comandante del Battaglione Azov nel maggio 2014, abbandonando l’incarico militare quando a settembre risulta eletto al parlamento. Nel 2019, come già detto, non viene rieletto.
Attualmente il reggimento è composto da un migliaio di uomini direttamente impegnati sul fronte nei cruenti scontri con l’esercito russo nella regione del Doneck e il parlamento statunitense ha in più occasioni espresso preoccupazione verso questa formazione, al punto che nel 2021 la presidente della sottocommissione per la lotta al terrorismo lo ha definito classificabile come una “organizzazione terrorista straniera”.
L’assorbimento e la normalizzazione di gruppi armati neonazisti da parte delle istituzioni ucraine non è però, con il Reggimento Azov, un’eccezione. Solo qualche mese fa Dmytro Kotsyubaylo, ex-comandante di Settore Destro – altro gruppo armato che aggrega anche neonazisti – aveva ricevuto la stessa onorificenza di Prokopenko, sempre dalle mani del presidente Zelensky.
Vale poi la pena ricordare almeno il Battaglione Aidar, anch’esso di orientamento nazionalsocialista, oggetto di uno specifico dossier da parte di Amnesty International in cui i suoi miliziani vengono riconosciuti come autori di violazioni di diritti umani, abusi e violenze sui civili inquadrabili come veri e propri crimini di guerra. Anche a seguito delle proteste internazionali il governo ucraino sbanda il Battaglione Aidar riaggregando soltanto alcuni effettivi all’interno di altre formazioni dell’esercito.
Il Battaglione Aidar è stato finanziato – così come il Battaglione Dnipro, anch’esso responsabile degli stessi crimini dell’Aidar – dall’oligarca Igor Kolomoisky, uno degli uomini più ricchi e influenti dell’Ucraina.
Il lato russo e filo-russo
Meno note sono invece le formazioni neonaziste in forza all’esercito russo o inserite ufficialmente o meno fra le forze separatiste filo-russe.
In apertura dicevamo del Battaglione Sparta: creato nel 2014 il gruppo paramilitare è stato guidato dal russo Arsen Pavlov (conosciuto anche come “Motorola”, per il suo passato di marconista) fino al 2016, ovvero fino a quando non è rimasto ucciso in un attentato mai chiarito, del quale sono stati incolpati più soggetti, sia appartenenti al lato ucraino, come la Misanthropic Division – ovvero un gruppo internazionale aggregato al Reggimento Azov –, sia appartenenti all’altro lato, come alcuni gruppi filorussi rivali. Pavlov, che aveva ricevuto incoraggiamento e regali dal politico russo Vladimir Zhirinovsky, è stato accusato di crimini di guerra.
Negli stessi giorni della morte di “Motorola” era stato ucciso a Mosca, in maniera altrettanto oscura, il fondatore di uno dei più noti gruppi paramilitari filorussi del Donbas – Oplot, ovvero “roccaforte, baluardo”– e nel 2018 Aleksandr Zacharcenko, il nuovo comandante della stessa formazione e presidente dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Doneck, aveva perduto la vita in un nuovo attentato, anche questo di dubbia attribuzione.
Il gruppo Oplot, come altri che combattono fra i filorussi nelle regioni contese dalla Russia all’Ucraina, ha una coloritura politica ben precisa, ovvero quella del nazionalbolscevismo. Al di là delle radici storiche che risalgono alla Germania di inizio Novecento, il nazionalbolscevismo è stato reimmaginato in Russia da Aleksandr Dugin e Eduard Limonov come un rinnovato sincretismo fra nazismo e comunismo, finendo comunque per inserirsi nel frammentato mondo dell’ultranazionalismo di destra e del neofascismo e alimentare ulteriori formazioni paramilitari come le Interbrigate.
Pavel Gubarev, il predecessore di Zacharcenko alla presidenza della Repubblica Popolare di Doneck, proveniva dal gruppo paramilitare esplicitamente neonazista Unità Nazionale Russa ed era passato da esperienze politiche analoghe, rimbalzando fra nazionalsocialismo e nazionalbolscevismo. Adesso Gubarev è tornato alla vita militare, combattendo nell’esercito russo.
Unità Nazionale Russa è di particolare interesse per capire come la questione sia più antica e radicata degli effetti che vediamo ai nostri giorni. Questo partito assieme al Partito Nazional Bolscevico (che dopo essere stato bandito risorge con il nome L’Altra Russia e guidato la Limonov), l’Unione della Gioventù Euroasiatica e altri operano esplicitamente in favore di un conflitto contro l’Ucraina già dagli anni 90 e allo scoppio delle ostilità in Donbas rivendicano di aver favorito l’afflusso al fronte di migliaia di volontari. Questi uomini, inizialmente dispersi in varie unità – e infatti i simboli politici di ispirazione nazista sono stati visibili in vari gruppi filorussi come il Battaglione Batman – si sono poi riaggregati in buona parte in Oplot.
Il gruppo armato Esercito Ortodosso Russo è l’altra faccia dell’ultranazionalismo russo, quello non strettamente politico ma religioso, o per lo meno ammantato da questo carattere. Fondato nel 2014 è animato da un cruento estremismo cristiano che ha portato a rapimenti, uccisioni e violenze, come finte esecuzioni e torture, ai danni di appartenenti ad altre fedi come ebrei, protestanti, cattolici e anche membri della chiesa ortodossa ucraina.
Infine va almeno citato il Gruppo Wagner, guidato dal neonazista Dmitry Utkin, detto appunto “Wagner” e che ha visto bene di tatuarsi le mostrine delle SS sulle spalle. Questa formazione paramilitare privata, forte di alcune migliaia di uomini e dotata di unità altamente specializzate, è comparsa negli anni in vari fronti di guerra a fiancheggiare gli interessi di Mosca, in particolare in Siria, dove tutt’ora combatte in favore dell’esercito del presidente Bashar al-Assad.
L’Unione europea ha imposto misure restrittive contro membri del Gruppo Wagner per “gravi violazioni dei diritti umani, tra cui torture ed esecuzioni e uccisioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, o in attività destabilizzanti“.
Alcuni operativi del Gruppo Wagner – che è stato soprannominato “l’esercito personale di Putin” – sarebbero arrivati in Ucraina per compiere assassini mirati ai danni del presidente e del governo di quel Paese.
Fare senso delle contraddizioni
Nazisti ucraini contro nazisti russi. Il presidente ucraino – ed ebreo – che glorifica un reparto nazista e negli stessi giorni il presidente russo – che vuole “denazificare l’Ucraina” – che ne glorifica un altro, nazista anch’esso.
Le contraddizioni sembrano irrisolvibili.
Per cercare di mettere un minimo di ordine è necessario inquadrare il senso delle parole e dei simboli che vengono usati da una parte e dall’altra.
Nazionalsocialismo, come il figlioccio nazionalbolscevismo, è prima di tutto un nazionalismo, estremo e violento. La linea attraverso la quale si orienta la conflittualità è quella del confine nazionale, delle appartenenza culturali. Si è di qua o di là, ci si spara, si determinano equilibri di potere attraverso la violenza. Dunque nessuna sorpresa nel vedere nazisti contro nazisti.
E la presenza di questi gruppi armati innestati di nazismo in una situazione di guerra è questione di pragmatismo, da entrambi i lati. Né Ucraina né Federazione Russa sono naziste di per sé. Però, se da lato ucraino celebrare Stepan Bandera ha funzione primariamente antirussa, l’effetto secondario di celebrare l’ultranazionalista alleato di Hitler è una pesante ferita alla giovane e, per certi versi, ancora incerta democrazia di quella Repubblica. Il clima di guerra in Russia devasta il campo già agonizzante della libertà di espressione, impone il regresso e l’isolamento del Paese nel consesso internazionale e il regresso e l’isolamento della parte più aperta, pacifica e moderna della società russa dalla società russa nel suo complesso.
In fin dei conti ciò che a nostro avviso deve maggiormente preoccupare non sono tanto le opposte propagande di guerra, né – per quanto importanti – i simboli e le parole esplicitamente naziste usate, ma le prospettive che queste e altre situazioni determineranno nel futuro. Inoltre non è da sottovalutare la capacità di contagio anche in realtà distanti dal contesto culturale europeo, come le repubbliche asiatiche dell’ex Unione Sovietica. Analoga preoccupazione è presente per le repubbliche caucasiche, come Georgia e Armenia, dove l’influenza di gruppi estremisti filo-russi è in crescita.
In Ucraina il conflitto porterà ulteriore prestigio al Reggimento Azov. Un prestigio che, come già abbiamo visto, il Reggimento desidera reinvestire per influenzare la politica del proprio paese. E questa è solo la prospettiva meno preoccupante. Come ha sottolineato Amnesty International, la domanda vera è cosa succederà dopo la guerra, dove finiranno le armi che adesso sono nelle mani di questi gruppi politicamente legati al nazismo? Gruppi noti per le violenze verso “donne e attivisti dei diritti LGBTQI+, attivisti di sinistra, famiglie Rom” e che negli anni i governi ucraini non hanno saputo ostacolare efficacemente. Ed è bene sottolineare con forza che questi gruppi hanno fra le mani anche le armi inviate dall’Italia. E ancora, neonazisti armati, addestrati e rotti alla violenza della guerra: questo che valenza ha nella prospettiva di un’inclusione dell’Ucraina nell’Unione Europea? Per non dire – ma lo diciamo nella seconda parte di questo articolo – di come questo si inquadra nelle relazioni internazionali con le formazioni di estrema destra europee e italiane.
In Russia la questione è evidentemente almeno in parte analoga. Ma da quella parte del fronte ciò che è maggiormente rilevante è la rotta politica determinata dalla guerra di Vladimir Putin, ovvero di quella figura che ha realizzato un modello di narrazione statuale e più in generale politica e sociale ostile al “mondo moderno” e alla democrazia, che rimane un riferimento per gran parte dell’estrema destra occidentale.
Infine, per avere una percezione corretta dei fenomeni descritti fino ad adesso, è bene sottolineare che le maggiori formazioni militari descritte di entrambe le parti – come Azov, Sparta e Oplot – sono piccolissima parte dei rispettivi eserciti e pur avendo forti notazioni politiche costituiscono un’attrattiva soprattutto per il loro prestigio militare. Chi si arruola, nella gran parte dei casi, non le sceglie tanto per la loro connotazione ideologica, né poi viene selezionato sulla base di simpatie politiche di estrema destra, ma su questioni decisamente più pratiche, quali addestramento e motivazione bellica. La dimostrazione di questo è il debolissimo credito politico diretto che i partiti vicini al Reggimento Azov in Ucraina e al nazionalbolscevismo in Russia hanno ricevuto fino a ora.
In maniera simmetrica al nazionalismo ucraino che rispolvera Bandera e le formazioni che affiancarono il nazismo storico va considerato criticamente anche il valore antifascista e antinazista della retorica russa. Quell’antifascismo è in parte diverso da quello italiano e su alcuni temi decisamente opposto: qui da noi l’antifascismo è stato lo strumento di transizione fra dittatura e democrazia, in Russia invece è l’orgoglio – il giusto orgoglio – associato alla guerra patriottica che sconfigge l’invasore, ha cioè connotati nazionalistici decisamente più spiccati che in Italia e per questo è utilizzabile da chi con la democrazia ha ben poco a che spartire.
Pubblicato giovedì 7 Aprile 2022
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