«Durante l’inverno mia madre, con altre donne del quartiere, tagliava delle lenzuola e con dei coloranti rossi le trasformava in bandiere da appendere il Primo Maggio dove era possibile o sui ponti della ferrovia. Erano piccole azioni clandestine, anche se rischiose, ma era l’unico modo per festeggiare il giorno dei lavoratori». Sono le parole di Luciana Romoli, partigiana romana che ai tempi del regime era una ragazzina.
Il 20 aprile del 1923 il fascismo aveva infatti abolito la Festa internazionale del lavoro sostituendola con il 21 aprile, data mitica della nascita di Roma, come si legge in un comunicato ufficiale del governo di Benito Mussolini. “Vittorio Emanuele III per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia, vista la legge 23 giugno 1874, n.1968; vista la legge 19 giugno 1913, n.630; udito il Consiglio dei ministri; sulla proposta del presidente del Consiglio dei ministri, ministro dell’Interno, di concerto con il ministro della Giustizia e degli affari di culto; abbiamo decretato e decretiamo: il 21 aprile, giorno commemorativo della fondazione di Roma, è destinato alla celebrazione del lavoro ed è considerato festivo, eccetto che per gli uffici giudiziari. È soppressa la festa di fatto del Primo Maggio e tutte le pattuizioni intervenute tra industriali e operai per la giornata di vacanza in tal giorno dovranno essere applicate pel 21 aprile e non pel Primo maggio. Il presente decreto entra in vigore oggi e sarà presentato al Parlamento per essere convertito in legge. Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserito nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a Roma, addì 19 aprile 1923”.
La legge formalizzava dunque una volontà che Mussolini aveva espresso prima della marcia su Roma e della conquista del potere. Basta Primo Maggio, festeggeremo solo il 21 aprile, aveva detto in un discorso a Bologna nel 1921. Obiettivo che avrebbe dovuto rendere chiara fin da subito la vera natura del fascismo, potremmo dire la sua essenza.
“Il Primo Maggio era considerata dal fascismo una festa troppo sovversiva, troppo collettiva – spiega Ilaria Romeo su Collettiva.it, la piattaforma web della Cgil –. Meglio un’autarchica e individualista Festa del Lavoro italiano da celebrare in coincidenza con il natale di Roma. Per tornare a festeggiare come si deve lavoratrici e lavoratori italiani dovranno aspettare la Liberazione”.
Scrive Cesare Bermani nel libro “Calendario civile”, curato da Alessandro Portelli, le date per ricostruire una memoria laica, popolare e democratica degli italiani (Saggine Donzelli): “Naturalmente il fascismo proibì il Primo Maggio, vedendone con chiarezza uno dei principali punti di forza dell’idea socialista e del mondo dei lavoratori”. Ed è proprio l’autore del capitolo sul Primo Maggio a confermarci le parole di Luciana Romoli. Come quello della partigiana romana “innumerevoli sono i racconti di celebrazioni clandestine della festa e nel secondo dopoguerra la tradizione riapparve in tutto il suo vigore”.
Si possono così promulgare leggi (anche fascistissime), si possono mettere in atto tutte le forme di repressione possibile e creare un clima di paura e di terrore permanenti tra la popolazione, ma le idee di libertà non si cancellano. Dal ’23 la festa era proibita, ma continuò a vivere nei sentimenti e nei piccoli gesti di un antifascismo che è stato militare, ma anche civile, un antifascismo popolare che qualche storico ha definito “esistenziale”.
A parte le definizioni, è interessante ripercorre qualche spezzone di quel film di una festa nata ribelle e sovversiva (per l’ordine costituito) essendosi ispirata in tutto il mondo al giorno della manifestazione a Chicago il primo maggio 1886 in occasione dello sciopero generale dei lavoratori americani che lottavano per le 8 ore e per migliorare le condizioni di un lavoro basato sullo sfruttamento. Contro i lavoratori la polizia americana sparò e uccise uomini e donne disarmati, e proprio in memoria di quella strage la Seconda internazionale socialista nel 1889, con il Congresso di Parigi, proclamerà il primo maggio Festa Internazionale dei Lavoratori.
Ma gli eccidi non si fermeranno, si ripeteranno più volte anche In Italia come succederà a Milano quando nel 1898 la cavalleria del generale Bava Beccaris prenderà a cannonate i lavoratori e la gente del popolo che protestava pacificamente contro l’aumento del prezzo del pane.
Torniamo quindi ai ricordi di Luciana Romoli. «A Roma, nei quartieri operai il Primo Maggio del 1943 sventolarono le bandiere rosse che le nostre madri avevano preparato. Gruppi di ragazzi e ragazzini le avevano legate sui ponti della ferrovia dove passavano i treni da Milano e Torino, a Portonaccio, a Porta Maggiore, sui pali delle stazioni di Tiburtina, Prenestina, Tuscolana e Trastevere. L’obiettivo era quello di far vedere ai viaggiatori che a Roma l’antifascismo era vivo». Luciana, nata a Roma nel 1930 in una famiglia antifascista, ha fatto parte delle Brigate Garibaldi col nome di “Luce” e ha dedicato tutta la sua vita alla lotta contro il fascismo. Quando racconta di quegli anni eroici si commuove ancora e riesce a ricordare perfino i dettagli delle storie. Come facevano per esempio quelle donne di Roma a confezionare bandiere rosse in casa? «C’era una donna che faceva l’operaia in una fabbrica, il Lanificio Luciani a Pietralata, allora una borgata. Essendo uno stabilimento tessile disponeva di solventi e coloranti per le stoffe. Lei rubava il rosso e lo portava a mia madre».
Il racconto di Luce è confermato dalla testimonianza di un’altra partigiana, più grande allora: Giovanna Marturano, scomparsa dieci anni fa all’età di 101 anni. “Eravamo impegnati con le attività clandestine del Partito comunista. Mi ricordo il Primo Maggio 1944, durante l’occupazione nazifascista di Roma. Fu un giorno speciale quello. La città si svegliò con decine di scritte sui muri e sui mezzi di trasporto pubblici. Mi ricordo benissimo di una enorme bandiera rossa che sventolò per due giorni su un palazzo di un quartiere popolare il Prenestino, lo chiamavano il grattacielo perché era la costruzione più alta del quartiere”. La grande bandiera che era stata confezionata cucendo varie lenzuola tinte con il colorante “gentilmente concesso” dalla Luciani era stata montata in un modo che rese molto complicata la rimozione. “I fascisti avevano paura di salire fino in cima al grattacelo – raccontava Marturano – ma alla fine furono costretti dai loro capi. La bandiera sventolò fino al 3 maggio e io andavo lì sotto quel palazzo per vederla, era bellissima”.
I racconti di Luciana Romoli e di Giovanna Maturano si riferiscono ai primi maggio del 1943 e ’44. Ma il Primo Maggio resistente prese vita subito dopo la legge che lo aboliva. Nel libro sulla storia del Primo Maggio dello storico Francesco Renda troviamo un capitolo dedicato alla “festa proibita” (Ediesse, 2009). Tantissimi gli episodi che partono già negli anni Venti. “Dopo il 1926 – racconta per esempio Domenico Di Virgilio, autore del libro autobiografico, Comunista a Cerignola – si scriveva sui muri, per terra, si andava a mettere le bandiere rosse nella villa comunale, sugli alberi, negli altri punti della cittadella, a via Foggia, dove passava molta gente. Questo avveniva in generale la vigilia del Primo Maggio e nel giorno stesso della festa. Ma il festeggiamento lo si faceva o il giorno prima della vigilia, o il giorno dopo il Primo Maggio. Cioè si cercava di trovare il modo di poter festeggiare”.
Il “reportage” da Cerignola non è isolato. Nel libro di Renda c’è l’imbarazzo della scelta: da Piadena a Milano, da Torino a Bologna, gli episodi della battaglia del Primo Maggio si moltiplicavano e ognuno aveva un effetto trascinamento degli altri. Dal 1923, nonostante le minacce di arresto e repressione, il Primo Maggio continuò a vivere nella coscienza popolare e ovviamente in quella dei dirigenti politici antifascisti.
La festa clandestina si organizzò perfino tra i detenuti al confino (a Ventotene per esempio) e perfino in carcere. “L’ultimo Primo Maggio che ho trascorso in patria – racconta Pietro Nenni – fu quello del 1926. Ero in carcere a San Vittore a Milano per certi volantini clandestini. Fu una giornata di grande tensione giacché il carcere ospitava i sicari che avevano pugnalato Matteotti, Domini, Volpi, ecc. Ci fu una specie di saluto mattutino da cella a cella a base di imprecazioni contro Mussolini e i suoi sicari, di Viva il Primo Maggio e Viva Matteotti. Da una cella fu esposto un cencio rosso che mise in subbuglio la direzione del carcere. Qualche provocazione partì dai fascisti fortemente rintuzzata dai nostri”.
I fascisti facevano i duri, violenti anche con le persone più deboli, ma si coprirono anche di ridicolo. Gli episodi paradossali si moltiplicavano nel far rispettare la legge di Mussolini sulla festa proibita. Sarebbe qui troppo lungo raccontare tutta la storia del Primo Maggio clandestino. Ci saranno altre occasioni. Torniamo solo per un momento a Roma per sentire le parole di Oreste Lizzadri, antifascista e sindacalista della Cgil, che racconta il Primo Maggio del 1937 a Roma, un giorno che passò tutt’altro che inosservato: i fornaciari si astennero in massa dal lavoro, su alcuni palazzi in costruzione sventolò per qualche ora la bandiera rossa; diverse vetture tranviare, subito costrette a rientrare in deposito, erano uscite con le scritte Viva il Primo Maggio”.
“Ma l’episodio più significativo – continua Lizzadri – e più spassoso di quel Primo Maggio fu la caccia alle cravatte rosse da parte della polizia. Cittadini di ogni ceto che nulla sapevano della manifestazione, vennero fermati per strada e invitati a togliersi la cravatta e recarsi al commissariato. A nulla valsero proteste ed esibizioni di tessere fasciste o di altri documenti più rappresentativi, come quelli di sciarpa littorio o di antemarcia. Niente da fare. I più zelanti, come sempre avviene, andarono più in là, colpirono tutte le sfumature del rosso, dal rosa pallido al rosso acceso”.
Il Primo Maggio sotterraneo – dagli anni Venti, fino alla Liberazione – fu anche un grande movimento popolare contro la guerra nella quale nel frattempo Mussolini aveva trascinato l’Italia. Il Primo Maggio 1943 l’Unità, il giornale comunista fondato da Gramsci, che usciva clandestinamente durante l’occupazione, il 15 maggio scriveva: “Si opponga alla delinquenza dello squadrismo che vorrebbe ritornare in primo piano l’eroismo di un popolo che dopo vent’anni di pene e disastri vuol rinascere alla dignità di popolo libero, all’onore di nazione indipendente”.
Oggi il Primo Maggio non è più clandestino e vietato, anche se il governo in carica sembra continuare a disdegnarlo, e oggi mentre i lavoratori scendono in piazza ha convocato il Cdm per approvare “il decreto Lavoro” che taglierà il reddito di cittadinanza e con la liberalizzazione spinta dei contratti a termine creerà più precarietà. Ma se possiamo festeggiare questa giornata (si è parlato anche di “Pasqua dei lavoratori”) dobbiamo ringraziare le partigiane e i partigiani che hanno combattuto contro il fascismo e contro l’invasore nazista, quanti parteciparono alla Resistenza civile e tutti gli antifascisti e le antifasciste. Hanno reso eroico un popolo intero. Oltre a regalarci la libertà e la Costituzione ci hanno restituito il Primo Maggio. Viva il Primo Maggio.
Pubblicato lunedì 1 Maggio 2023
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