È difficile fare un quadro generale, completo in ogni suo particolare, del grande moto antifascista che, prendendo le mosse da Genova e dalla sua lotta contro il provocatorio congresso missino, ha scosso nelle ultime due settimane tutto il Paese; che quel moto è stato veramente così generale, così spontaneo, così vasto per la partecipazione e per l’adesione fra i più diversi strati della cittadinanza da non poter essere compendiato nelle poche righe che la tirannia dello spazio ci lascia a disposizione. Cercheremo perciò di darne una visione complessiva, rifacendoci a quelle che ne sono state veramente le tappe salienti.
Era una provocazione il congresso del MSI
Tutto è cominciato da Genova, quando la popolazione del capoluogo ligure e della intera regione si è sollevata come un sol uomo contro il tentativo dei neofascisti di svolgere il loro provocatorio raduno in una città Medaglia d’oro della Resistenza e di farlo presiedere da quel criminale di guerra – Carlo Emanuele Basile – che quindici anni fa seminò la Liguria di lutti ordinando il massacro e la deportazione di decine di migliaia di antifascisti e di cittadini. Tutto è dunque cominciato da Genova; anche se in realtà alla base della lotta di Genova vi è stato qualcosa che preesisteva ai fatti delle scorse settimane, vi è stata in altri termini la coscienza che il congresso del MSI a Genova, nel momento in cui il MSI è diventato partito di governo, per la prima volta dopo la Liberazione, avrebbe rappresentato una svolta decisiva verso un’involuzione apertamente fascista dello Stato italiano.
E così Genova e la Liguria si sono mobilitate, sono insorte, hanno gridato il loro NO al fascismo e al congresso missino. E a nulla è valso che il governo e la sua polizia si mobilitassero in forze per difendere i loro sostenitori in camicia nera. La città è stata posta quasi in stato d’assedio, sono stati fatti affluire reparti di polizia e di carabinieri in assetto di guerra da tutta l’Italia settentrionale, sono stati distesi per le vie cittadine chilometri e chilometri di filo spinato; ma il 30 giugno, con il grandioso sciopero generale provinciale e con la possente manifestazione che, grazie all’intervento brutale e massiccio della polizia, ha visto il centro di Genova trasformarsi in un vero e proprio campo di battaglia, si è vista la misura esatta della reazione popolare e antifascista contro la provocazione missina. Respinto l’attacco della polizia, i genovesi hanno fatto intendere chiaramente alle autorità e ai dirigenti del MSI che, ad onta dello apparato di forze schierato nelle vie della città, il congresso non si sarebbe comunque tenuto. Ed è venuto allora il ripensamento dell’ultima ora, e il congresso non si è fatto. Genova antifascista aveva vinto; e dalla città che aveva espulso dalle sue vie i provocatori neofascisti partiva un appello rivolto a tutti gli italiani: sia sciolto il MSI, sia posto fuori della vita politica della nazione il neofascismo.
A questo punto, dopo che i neofascisti – in conseguenza dello scacco subìto – avevano minacciato di ritirare il loro appoggio al governo, quest’ultimo ha deciso di correre ai ripari dimostrando al MSI di poter riscuotere la sua fiducia, di essere ancora un governo «forte» capace di prendersi la rivincita, anzi di trarre vendetta dei fatti di Genova.
Mercoledì 6 luglio il Consiglio della Resistenza aveva indetto un comizio antifascista a Porta S. Paolo per celebrare la vittoria di Genova e riprendere l’appello alla messa al bando del fascismo. Contro quella manifestazione si è scatenata la provocazione del governo. Proibito all’ultimo momento il comizio, sugli antifascisti e sui parlamentari che nonostante tutto forti dei diritti democratici sanciti dalla Costituzione avevano voluto recarsi a deporre una corona sulla lapide dei caduti delI’8 settembre, si è scatenata la furia della polizia di Tambroni. Squadroni a cavallo, camionette della Celere, carabinieri appiedati, idranti sono stati impiegati in ripetute ininterrotte cariche contro il piccolo corteo di parlamentari e cittadini e successivamente contro l’intera popolazione di Testaccio, scesa nelle vie a gridare la sua esecrazione per le violenze degli agenti. Sedici anni dopo essa ha dovuto rivivere i tempi dell’occupazione nazista, con le razzie per le strade e i rastrellamenti casa per casa, effettuati da agenti con la grinta dell’occupante e con le armi spianate. Il bilancio è noto: decine e decine di feriti, fra cui alcuni parlamentari.
Giovedì 7 luglio da ogni parte d’Italia si è levata massiccia la protesta con assemblee e manifestazioni dovunque e con scioperi generali in varie città. Proprio durante uno di questi scioperi, a Reggio Emilia, la provocazione governativa ha toccato la sua seconda sanguinosa tappa: quando già la folla, scesa nelle strade a manifestare il suo sdegno per l’aggressione poliziesca di Roma, rifluiva verso le sue case, anche a seguito dell’invito rivolto da alcune macchine del Consiglio della Resistenza munite di altoparlante, la polizia si è scatenata sulla folla ed ha aperto il fuoco a sangue freddo, obbedendo evidentemente al deliberato ordine di reprimere con la forza delle armi ogni diritto di manifestazione di pensiero. Cinque cittadini sono rimasti sul selciato, a segnare con il loro sangue il cammino di questa grande battaglia antifascista.
Il Paese è sceso in sciopero generale
Contro il brutale eccidio si è subito levata la possente protesta di tutto il Paese, con il grande sciopero generale di venerdì, funestato purtroppo anch’esso da nuove vittime della repressione poliziesca. A Milano, a Torino, a Genova dove lo sciopero si è svolto in maniera totale, dove decine di migliaia di manifestanti si sono riversati nelle strade la polizia non ha osato intervenire ed è rimasta nelle caserme o ai margini delle manifestazioni. In altre località, le provocazioni sono state evitate grazie al senso di responsabilità degli antifascisti: così a Livorno dove mentre la città era letteralmente paralizzata da un grandioso sciopero un inizio di scontro fra manifestanti e carabinieri in via Grande è stato sedato dall’intervento dei dirigenti antifascisti, guidati dalla medaglia d’oro Giotto Ciardi e da Luciano Montelatici; così a Firenze dove al termine di una manifestazione svoltasi in Palazzo Vecchio e regolarmente autorizzata dalla prefettura, la polizia si è ancora una volta scagliata contro la cittadinanza e solo dopo l’intervento degli esponenti della Resistenza presso il questore le cariche sono cessate. Ma a Palermo, a Catania, il governo nonostante la protesta di tregua del senatore Merzagora, ha avuto quello che cercava, ha avuto altro sangue; ed altri quattro cittadini sono stati assassinati (fra cui una donna che stava al balcone della sua casa, in via Rosolino Pilo, e che là è stata raggiunta da un colpo di mitra).
La lotta ora non è ancora finita, perché il governo clerico-fascista, il governo che si è posto fuori della legalità costituzionale, ancora siede al Viminale, sostenuto dagli epigoni delle brigate nere. Ma in tutto il Paese il moto di sdegno e di protesta si va sempre più estendendo; e da questo punto di vista particolarmente significative sono le prese di posizione delle amministrazioni locali, organi dell’autogoverno democratico della cittadinanza. Il comune di Santa Fiora, il comune di Bolzano, la provincia di Massa Carrara, il comune di Bari, il comune di Grosseto ed altri ancora hanno già preso pubblicamente posizione approvando documenti che suonano condanna del fascismo e delle violenze poliziesche.
In tutta Italia si susseguono intanto le manifestazioni di protesta; a Torino, a Roma, nell’università e nei quartieri popolari, a Venezia, Arezzo, Mantova, Pescara, Carrara, Catanzaro, La Spezia, Napoli – particolarmente significativa per la partecipazione della popolare figura di Peppino De Filippo –, Cremona, Milano, Bari, Ravenna, Ferrara, Modena, e in decine di altre località da cui non ci sono pervenute ancora esatte notizie.
Si moltiplicano le manifestazioni
Si moltiplicano inoltre in tutto il paese decine di iniziative per esprimere l’adesione di tutta la popolazione alla condanna del Governo Tambroni e allo scioglimento del MSI.
Così a Torino i docenti universitari torinesi hanno chiesto la massa al bando del MSI, unendo la loro voce a quella dei loro colleghi di Genova e di Padova che lo avevano già fatto in precedenza.
La lettera dopo aver espresso una decisa condanna contro il tentativo di provocazione rappresentata dal MSI dice: «Questa manifestazione di solidarietà vuole anche essere un ammonimento a vigilare contro il pericolo che rinascano forme politiche definitivamente condannate, un richiamo alla necessità che ciascuno si impegni a prendere posizione contro ogni minaccia alle istituzioni democratiche, ed una denuncia delle colpevoli connivenze di coloro che detengono il potere e che pretendono di rappresentare la maggioranza del popolo italiano.
Noi chiediamo che le leggi di cui l’Italia dispone siano usate per mettere fuori della legalità il M.S.I.».
Di notevole interesse anche l’appello delle donne intellettuali romane, sottoscritto per primo da un gruppo di autorevoli e note esponenti di tutte le correnti politiche. Anche l’UNURI ha fatto sentire la sua voce mentre dal Centro di Ricerche nucleari di Ginevra, fisici, ingegneri e tecnici italiani hanno inviato al Consiglio Federativo della Resistenza una nobile lettera che tra l’altro dice: «Chiediamo che si giunga alla formazione di un governo che si ispiri sinceramente agli ideali di progresso democratico che furono prima quelli della Resistenza e poi quelli posti a fondamento della Costituzione della Repubblica Italiana; che le attività fasciste siano severamente stroncate e le organizzazioni politiche fasciste siano messe, secondo la Costituzione, fuori legge; che le manifestazioni antifasciste non siano in alcun modo impedite e represse; che i responsabili dei sanguinosi incidenti dei giorni scorsi siano severamente puniti».
(Da Patria indipendente n. 14 del 17 luglio 1960)
Pubblicato giovedì 20 Luglio 2017
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