Luglio, mese fatidico. 25 luglio 1943, la caduta del fascismo. Luglio 1960, la rivolta contro Tambroni. 19 luglio 1992: meno di due mesi dopo l’assassinio di Giovanni Falcone viene eliminato Paolo Emanuele Borsellino.
E poi luglio 2001, la Diaz, Bolzaneto, Carlo Giuliani. A quest’ultimo proposito dopo 16 anni parla Franco Gabrielli, oggi capo della polizia. E non ha peli sulla lingua. Afferma (Repubblica del 19 luglio) che “fu semplicemente una catastrofe”. Accenna a “responsabilità sistemiche” (oltre a quelle penali) “con un effetto paradossale, che i latini definivano summo ius, summa iniuria, massima giustizia per una massima ingiustizia”. Sostiene che “quando nella piazza viene fatto un uso abnorme della forza” la responsabilità va cercata non solo a partire dal singolo poliziotto, “ma al contrario dal funzionario o dal dirigente che ha ordinato una carica che non andava ordinata”. Aggiunge che “se io fossi stato Gianni De Gennaro” (allora capo della Polizia ndr) “mi sarei dimesso”. Sostiene di immaginare “una Polizia che non ha e non deve avere paura degli identificativi nei servizi di ordine pubblico, di una legge, buona o meno che sia, sulla tortura, dello scrutinio legittimo dell’opinione pubblica o di quello della magistratura. Una Polizia che non deve vivere la mortificazione o lo stillicidio delle sentenze della Corte Europea per i diritti dell’uomo su quei fatti di sedici anni fa”.
Il giorno dopo, sempre su Repubblica, l’avvocato Giuliano Pisapia, allora parlamentare, ricorda quell’inferno: “Chi era stato picchiato a bastonate dai black bloch e poi era stato riempito di manganellate dai carabinieri, buttato dentro un cellulare, preso a calci e ammanettato. Chi in caserma era stato obbligato a urlare “Viva il duce!”, chi era stato costretto a percorrere un corridoio in ginocchio mentre gli agenti lo ricoprivano di insulti. All’interno della caserma un medico, invece di visitare i feriti, li scherniva”.
Sul recente reintegro nelle file della polizia degli agenti condannati si esprime l’ex giudice di Corte d’Appello Roberto Settembre: “L’amministrazione ha recuperato i condannati; ha sanzionato con 47 euro il funzionario che si era tagliato il giubbotto per dimostrare che era stato aggredito”, aggiunge: “trovo scandaloso che una polizia sana – come ha affermato Gabrielli – reintegri queste persone. Una polizia sana deve togliere di mezzo soggetti che sani non sono. Ed allargo il discorso a chi inneggia ad Hitler e Mussolini”, e conclude: “la maggioranza dei torturatori è rimasta ignota”.
Perché c’è il sangue. Non solo quelli dei picchiati, feriti e torturati. Ma anche quello di Carlo Giuliani, che non ci potrà mai raccontare com’è andata in quella giornata di macelleria cilena.
Nel prevalente silenzio della politica, uno dei pochi che prende la parola è l’allora ministro Claudio Scajola a proposito delle mancate dimissioni di De Gennaro: “rifiutai convinto che in quei momenti delicati per la tenuta del Paese le dimissioni del capo della Polizia sarebbero state destabilizzanti”. Il difensore di De Gennaro. Fine del messaggio. Nulla sulle considerazioni di Gabrielli, nulla sulle responsabilità della politica.
Eppure, specialmente dopo la coraggiosa intervista al capo della Polizia, bisognerebbe sentire chiara e forte quella voce, la voce della politica, e bisognerebbe conoscere dalle istituzioni, a cominciare dallo stesso Gabrielli, come si intenda dare corpo e continuità alle sue affermazioni. Mai più Genova, ha sostenuto. Benissimo. Ma rimanga sempre il ragionevole dubbio, perché se è vero, come scriveva Gramsci, che “la storia è maestra, ma non ha scolari”, c’è sempre la possibilità che la sua lezione venga colpevolmente inascoltata.
Pubblicato giovedì 20 Luglio 2017
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