Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo! Così, nella serata madrilena dell’11 luglio 1982, il telecronista Nando Martellini, al triplice fischio dell’arbitro Coelho, esulta per la terza – clamorosa – vittoria della nazionale italiana nella maggiore competizione calcistica a livello internazionale.
Guidati dal commissario tecnico Enzo Bearzot – un sobrio, coriaceo friulano – gli “azzurri” in quell’estate di quaranta anni fa compiono un’epica impresa sportiva, destinata a rimanere saldamente impressa nell’immaginario collettivo, molto più di quella realizzata in Germania nel 2006 dagli uomini capitanati da Marcello Lippi.
Primo campionato mondiale con ventiquattro squadre partecipanti, quel torneo si svolge tra il giugno e il luglio del 1982 in una Spagna che – lasciatasi alle spalle la lunga, cupa esperienza della dittatura franchista – si accinge a vivere la stagione caratterizzata da una celere crescita economica, dai fasti della movida e dai successi politico-elettorali del Psoe di Felipe Gonzales, uno dei più importanti esponenti del “socialismo mediterraneo”.
Intanto, nel lontano Guatemala si inasprisce la strategia della tierra arrasada (letteralmente, terra bruciata) contro gli indios e le forze dell’opposizione rivoluzionaria. Mentre volge al termine la brevissima e “singolare” guerra tra la Gran Bretagna della “Lady di ferro” Margaret Thatcher e l’Argentina dei generali per il possesso delle isole Falkland/Malvinas; l’esercito israeliano il 6 giugno penetra nel Libano meridionale, rendendosi complice, di lì a pochi mesi, del massacro di circa millecinquecento palestinesi nei campi profughi di Sabra e Shatila, eseguito con spietatezza dai miliziani libanesi del maggiore Haddad. Inoltre, si era già entrati in quella che è stata definita la “seconda guerra fredda”, causata dalla decisione della Nato di installare in Europa missili Cruise e razzi Pershing in risposta al dispiegamento degli SS-20 da parte sovietica; dall’invasione dell’Afghanistan, sul finire del 1979, a opera dell’Armata Rossa; dalla politica perseguita dal “grande comunicatore” Ronald Reagan – eletto nel 1980 alla Casa Bianca – che vede nell’Urss “l’impero del male”.
In Italia, se la commissione parlamentare d’inchiesta presieduta dalla democristiana Tina Anselmi scioglie definitivamente, in quanto “organizzazione criminale” ed “eversiva”, la loggia massonica segreta P2, al centro delle pagine più oscure e sanguinose della “notte della Repubblica” (1969-1980), la mafia in Sicilia elimina con feroce determinazione due suoi pericolosi avversari: il segretario regionale del Pci, Pio La Torre, crivellato di colpi d’arma da fuoco insieme con il suo fidato autista, Rosario di Salvo, e il prefetto di Palermo, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, assassinato insieme con la giovane moglie Emanuela Setti Carraro. Alla presidenza del Consiglio c’è un autorevole storico e giornalista, il repubblicano Giovanni Spadolini, dopo decenni di coalizioni governative a guida democristiana, mentre il Psi di Bettino Craxi, anche in polemica con il Pci di Enrico Berlinguer, si candida perentoriamente a promuovere e dirigere la modernizzazione del Paese, più che a delineare un incisivo percorso riformatore.
È in questo contesto politico, internazionale e interno, che prende le mosse l’avventura degli azzurri in Spagna. Circondata dallo scetticismo della stampa per l’esclusione dalla rosa dei convocati della mezzala talentuosa dell’Inter, Beccalossi, e del capocannoniere, il romanista Pruzzo, lasciato a casa a favore di Paolo Rossi, da pochissimo tornato a giocare dopo due anni di squalifica per il coinvolgimento nello scandalo del calcio-scommesse, la nazionale inanella all’inizio tre deludenti pareggi contro Polonia, Perù e Camerun, che le consentono, però, di qualificarsi alla fase successiva. Subissata dalle critiche e chiusasi in un rigoroso silenzio stampa, si ritrova a disputare un girone di ferro contro i campioni uscenti dell’Argentina e la favoritissima Seleção del Brasile. Smentendo i pronostici dei giornalisti più noti e accorsati, tra cui il mitico Gianni Brera, la rappresentativa italiana trafigge con i gol di Cabrini e Tardelli l’Albiceleste, la cui stella più giovane – il “pibe de oro”, Diego Armando Maradona –viene neutralizzata dall’arcigna marcatura di Claudio Gentile.
Ma il più bello deve ancora venire. Contro ogni previsione, in una gara dalle mille emozioni tale da mettere a dura prova i “deboli di cuore” (1-0, 1-1, 2-1, 2-2, 3-2), gli azzurri riescono a piegare la scintillante squadra carioca dal gioco spumeggiante e che può vantare assi del calibro di Zico, Falcão, Socrates, Éder, Júnior e Toninho Cerezo. Quella del 5 luglio 1982, allo stadio di Sarriá di Barcellona, è la partita della resurrezione di Paolo Rossi, autore di una memorabile tripletta, e della rivincita di Bearzot, che aveva continuato ad accordare una grande fiducia a “Pablito”, impostosi con le sue prodezze quattro anni prima in Argentina. Battuta la Polonia con una doppietta del redivivo attaccante, la nazionale è pronta a sfidare la vincente tra Francia e Germania Ovest, protagoniste di una palpitante semifinale, conclusasi ai calci di rigore con la sconfitta dei “galletti” transalpini di Michel Platini, raggiunti rocambolescamente sul 3 a 3 nei tempi supplementari dalle reti di Rummenigge e Fisher. Quanti fuoriclasse in quel Mondiale!
Imperniata sul blocco della Juventus (Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli, Rossi), pragmaticamente amalgamato da Bearzot con la pattuglia interista (Oriali, Marini, Altobelli, Bergomi e il neoacquisto Collovati), con Conti della Roma, Graziani e Antognoni della Fiorentina, la squadra italiana, che nel primo tempo della finale sbaglia un rigore con Cabrini, nella ripresa mette in ginocchio la Germania Ovest con un netto 3 a 1, grazie ai gol di Rossi (consacratosi capocannoniere del torneo), di Tardelli – indimenticabili il suo urlo e la sua corsa dopo aver scaraventato con un imprendibile diagonale la palla in fondo alla rete – e di “Spillo” Altobelli, servito dal funambolico Conti al termine di una travolgente galoppata sulla fascia.
Esplode incontenibile in quelle ore, per il miracolo sportivo compiuto dagli azzurri, la gioia dei tifosi italiani: da quelli che gremiscono il Santiago Bernabeu di Madrid a quelli che in tutte le città e i centri del Bel Paese si riversano nelle strade, dando vita a caroselli e cortei nella magica notte tra l’11 e il 12 luglio del 1982. Si ripetono, su scala molto più vasta e con un’inedita intensità, scene che si erano viste per la prima volta alla fine della leggendaria semifinale Italia-Germania (4-3) di Messico 70. Conservo ancora una pagina del “Mattino” di Napoli, in cui al centro di una grande foto si scorge il volto compiaciuto di mio padre attorniato da una folla che già la domenica mattina pregustava il successo sulla Germania. A rendersi impareggiabile interprete dell’entusiasmo di un intero popolo, cresciuto di vittoria in vittoria – quanti televisori a colori sono stati acquistati in quei galvanizzanti giorni! – è stato Sandro Pertini, il presidente-partigiano, il “presidente più amato”, capace come nessun altro di entrare in sintonia con i sentimenti e gli umori dei suoi concittadini, tanto nei momenti drammatici, come in occasione del terremoto del 23 novembre 1980, che devasta la Campania centrale e la Basilicata centro-settentrionale, quanto in quelli esaltanti per un’inaspettata e a lungo agognata affermazione nello sport più seguito dagli italiani.
Senza nulla togliere al valore del quarto mondiale conquistato dall’Italia nel 2006 all’indomani di uno scandalo che ha gravemente scosso l’ambiente calcistico nel suo insieme, per tanti della mia generazione quelli vissuti nell’estate del 1982 rimarranno momenti unici, irripetibili. Tuttavia, non si può tralasciare il contesto storico: un decennio che ha visto sì la fine dell’età dello stragismo neofascista in combutta con poteri occulti, nonché del terrorismo nelle sue varie declinazioni, ma anche il trionfo del privato, del “riflusso”, del disimpegno, della rinuncia a qualsiasi progetto di trasformazione radicale della società e della politica.
Una brusca inversione di tendenza che viene subito segnalata nell’ottobre del 1980 dalla sconfitta operaia e dei sindacati alla Fiat con la “marcia dei quarantamila”: quadri intermedi che invocano il ritorno immediato al lavoro. Si pongono proprio allora, con il montare dell’offensiva neoliberista sulle due sponde dell’Atlantico, le premesse del declino del “secolo socialdemocratico”, del tramonto dello Stato sociale e delle sue realizzazioni, e alla fine degli anni Ottanta, nel fatidico biennio 1989-’91, si assisterà allo sfaldamento del bipolarismo sovietico-statunitense. Con l’implosione dei regimi del socialismo reale avviatasi con l’emergere di Solidarność in Polonia nell’estate del 1980, si sarebbe aperta una nuova fase storica che probabilmente la pandemia da covid-19 scoppiata nel 2020 e la guerra tra Russia e Ucraina accesasi nel febbraio 2022 hanno provveduto già ad archiviare.
Francesco Soverina, Istituto campano per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea
Pubblicato lunedì 11 Luglio 2022
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