È molto difficile, anzi è impossibile descrivere ciò che avviene in Palestina e in Libano.
Palestina. Ormai più di un intero anno, giorno e notte senza interruzione. Missili intelligenti di tre tonnellate sventrano case, ospedali, scuole e luoghi di culto. Missili stupidi che bruciano vivi gli esseri umani sfollati negli accampamenti.
Moltitudini di donne e uomini grandi e piccoli in perenne corsa da nord a sud, da sud al centro e di nuovo a nord e ovunque vengono spietatamente trucidati. Immagini spaventose che gelano il sangue, annebbiano la mente, frantumano l’anima, polverizzano il senso e fanno soccombere le parole.
Oltre una certa soglia è ostico, persino ingrato trasformare la tragedia in parole. Nessun articolo potrà contenere tutto il racconto. Le parole si indietreggiano nell’abisso dove nascono di fronte al dolore che diventa muto e indicibile.
Un popolo viene sradicato dalla sua terra, saccheggiato del suo nome, spogliato della sua storia e cultura, e sottoposto a uno sterminio diluito nel tempo per compiere la depalestinizzazione della Palestina.
Come si fa a raccontare il dolore e la disperazione che dura così a lungo? Come si fa a raccontare la morte per fame, sete ed epidemie o per mancanza di un posto in cui curarsi? Come si fa a raccontare la solitudine di un popolo che sprofonda nella morte sotto gli occhi di tutti?
Fiumi di parole versate per distogliere l’attenzione dalla tragedia o per giustificarla. Un esercito di addetti, di esperti delle conventicole che plasmano l’opinione pubblica, e la rendono indifferente o conformista, l’invitano ad affidarsi a una cerchia “superiore” di individui onniscienti che esercitano il potere.
Scopriamo che il mondo è più che mai affollato da professionisti, consulenti, aspiranti di qualche privilegio, insomma di “intellettuali” il cui compito principale consiste nel fornire autorità e autorevolezza alla menzogna in cambio di forti profitti. Grandi poteri invisibili hanno cooptato intellighenzie a destra e a sinistra in misura straordinaria.
Quando si accetta di mentire a se stessi, poi si ricorre a tutte le categorie filosofiche per giustificare e auto-giustificarsi; Palestina terra senza popolo e gli ebrei popolo senza terra. Dare una patria al popolo ebraico vittima dell’Olocausto. Civilizzare e portare progresso alla regione… E poi essere portatore di un modello collettivo (quello del kibbutz), tanto da rendere irrilevante le sorte degli abitanti originali di quelle terre costretti a marcire in qualche campo profughi da settantacinque anni (utilitarismo morale).
La morale diventa la legge del più forte e il riferimento a un compito storico che può giustificare nel suo cammino ogni sopruso. Eppure la tragedia del Terzo Reich avrebbe dovuto insegnarci qualcosa. Quello stesso compito storico evocato nella “infinita guerra” contro l’Iraq, l’Afghanistan o in Siria, e nella meta di vittoria assoluta proclamata da Netanyahu. Ovviamente in nome della democrazia e della civiltà superiore. La scena è piena di uomini che emergono dal fondo senza fondo. Non hanno limiti e c’è sempre una giustificazione per i loro assunti. Malati di ipertrofia (falsa coscienza) tanto che di fronte all’evidenza trovano una autogiustificazione per andare oltre l’evidenza.
Tramano nel buco dove vivono, fondatori di valori basati sul nulla. Siamo in pieno nichilismo.
Un tempo si dava anche alle operazioni di pulizia etnica un nome in codice. Nel 1948 in Palestina era “Scopa”. Oggi si chiama “giorno del Giudizio”.
Ma “i fatti sono al di là dell’accordo e del consenso… I fatti sgraditi possiedono un’esasperata ostinazione che può essere scossa soltanto dalle pure e semplici menzogne”. Hannah Arendt.
La Palestina ha messo a nudo l’ipocrita illusione e menzogne costruite ad arte dalle “civiltà superiori”, dai “baluardi della democrazia e dei diritti umani”, che hanno pure mortificato il diritto internazionale.
Le immagini che giungono dalla Palestina mettono in evidenza come appare lo Stato d’Israele governato da Netanyahu, trionfante e sicuro di sé, che si è fatto forza in tutti questi anni dell’immagine della vittima per eccellenza, della persecuzione e della vessazioni di un tragico passato. Arrogante e soddisfatto delle sue conquiste, incurante e impermeabile alla sofferenza che ha inflitto e infligge, circondato e sostenuto incondizionatamente dal peggio che la cultura occidentale ha prodotto, animato da un delirio nazionalista e messianico che nasconde a malapena l’angoscia latente che il meccanismo di potere si possa inceppare.
Uno Stato retto sulla menzogna dove la cittadinanza si misura sulla appartenenza vera o presunta al cosiddetto “popolo eletto” e da un esercito forte e super tecnologico che proclama il trionfo della tecnica su ogni altro. Un male oscuro e atavico che colpisce la religione facendo smarrire la pietà e la misericordia di Dio e degli uomini. Anche la parola di Dio viene divorata da parole di pietra e di acciaio che umiliano e discriminano tutte le sue creature. Fedeli giubilano in modo pagano per la disgrazia dei loro fratelli e, in nome di Dio, augurano e preparano loro mali peggiori.
Se si guarda con attenzione non ci vorrà molto per capire che la Palestina, insieme al suo popolo, devono sopportare il peso della storia europea e la sua sporca coscienza con la quale non ha avuto nulla a che fare.
Ora come un tempo in Palestina, con il volto trasfigurato alla quale si cambia persino il nome, si intrecciano dimensioni locali, regionali e internazionali, ingarbugliando sempre di più la matassa. Elementi religiosi e nazionali, storia e narrazioni contrapposti, fatti compiuti che esprimono il delirio di potenza. Due popoli con le loro storie e le umane aspettative vengono stritolati. Qui non si salva nessuno. Cosi non c’è futuro per nessuno.
Dramma nel dramma, c’è un effetto di inesorabile allargamento del conflitto, e un effetto di trascinamento che accomuna le parti verso il fondo. Perché se il paradigma è lo stesso, se si continua a considerare la violenza come levatrice della storia, se si pensa che la pace è l’esito della guerra, se il progresso è il trionfo della tecnica e il dominio delle cose sull’uomo, se lo Stato nazionale con i suoi rituali identitari, veri o falsi che siano, non si mettono in discussione nemmeno in un contesto dove è la realtà a essere sovranazionale e interdipendente, il futuro non ci riserverà niente di nuovo e nulla buono. La violenza uccide chi la subisce e chi la fa.
Grande segno di speranza consiste nella continua mobilitazione di sempre più vasti settori della opinione pubblica in tutto il mondo, non solo in solidarietà con la Palestina ma contro la guerra e per salvare il diritto internazionale dalle potenze che lo hanno sequestrato. Molti giovani ebrei sono in prima fila. Sono i miei fratelli, dal mare al fiume unico destino. Ma ora bisogna chiedere e pretendere l’immediato cessate il fuoco.
Bisogna passare dalle parole ai fatti e boicottare ogni relazione con il prepotente! Se l’ONU ed i governi complici non lo fanno, per senso di responsabilità dobbiamo farlo in prima persona.
ANPI con la sua iniziativa di sostenere l’ospedale di Emergency a Gaza intende costituire un luogo dove il racconto sia testimonianza e alla testimonianza sia restituita l’umanità, impegno e dignità di noi tutti. Dove la nostra indignazione e lacerante senso di impotenza si concretizzano in vicinanza, in eco al dolore e una mano clemente che strappa il buio alla notte infinita e immette significati nelle parole. Per fare riemergere il volto amico di una Italia che gli scrivani e gli improvvisati politici cercano di inquinare.
Ali Rashid
Pubblicato giovedì 17 Ottobre 2024
Stampato il 21/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/patria-indipendente-anpi/fuori-fuoco/