Nel nuovo Regno d’Italia la legislazione straordinaria ed eccezionale in violazione degli articoli 24 e 71 dello Statuto Albertino fu lo strumento utilizzato sistematicamente per risolvere i problemi sociali. In proposito è sufficiente ricordare la famigerata legge 15 agosto 1863, n. 1409 “Procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle Provincie infette”, e che a colpi di decreti reali si proclamò lo stato d’assedio in Sicilia e in Lunigiana (1º e 16 gennaio 1894) per reprimere il movimento dei Fasci siciliani dei lavoratori e degli anarchici mobilitati in solidarietà. Il governo diede i pieni poteri, in qualità di Regio Commissario, nell’Isola al generale Morra e nel territorio toscano al generale Heusch.

Milano, trasferimento degli arrestati in carcere dopo i moti popolari

Nel Paese lo stato d’assedio era tornato poi a Milano il 7 maggio 1898, con pieni poteri al generale Fiorenzo Bava Beccaris, permettendogli di reprimere “i moti del pane” e le proteste del movimento operaio con un pesantissimo intervento militare (oltre 80 morti), e la stessa linea dura con esecuzioni sommarie e arresti di massa era stata adottata nella provincia di Napoli e in tutta la Toscana; il 2 gennaio 1909, lo stato d’assedio era stato proclamato a Messina in seguito al disastro sismico del 28 dicembre 1908: il sindaco Gaetano D’Arrigo Ramondini era stato destituito e sostituito dal generale Francesco Mazza, a cui vennero attribuiti pieni poteri.

Un’udienza del Tribunale speciale per la difesa dello Stato

Di conseguenza è chiaro che i “Provvedimenti per la difesa dello Stato” del 1926 non rappresentavano una novità ma una pratica costante del Regno d’Italia, confermata da Alfredo De Marsico, relatore della riforma del codice penale, quando sostenne che le nuove norme erano state sancite «col rigore della legge comune, e non con norme transeunti dettate dalle urgentizze di periodi eccezionali, che ideologie politiche, lotte di partiti, rivendicazioni di classi, passioni umanitarie possono spaziare nel campo della più vasta libertà, ma hanno un limite, uno solo ed inviolabile, la dignità e la salvezza della Patria all’interno e all’esterno».

Secondo le stime prodotte dalla storiografia, tra il 1926 e il 1943 vennero deferiti al Tribunale speciale 15.806 antifascisti

Il fascismo con l’istituzione del Tribunale Speciale non fece altro che dare normalità a disposizioni utilizzate frequentemente in casi eccezionali, in aperta violazione dello Statuto Albertino, che all’art. 71 stabiliva: «Niuno può essere distolto dai suoi Giudici naturali. Non potranno perciò essere creati Tribunali o Commissioni straordinarie».
Un momento tragico dunque per la società italiana descritto invece da Augusto Turati, segretario del Pnf, come «una poderosa, intensa, magnifica attività legislativa del fascismo».

Il ministro di Grazia e Giustizia Alfredo Rocco, autore nel 1931 del Codice penale

Quando il 5 novembre 1926, il ministro di Grazia e Giustizia Alfredo Rocco presenta al Consiglio dei ministri il disegno di legge sui Provvedimenti per la difesa dello Stato la costruzione dello Stato fascista è già molto avanti: sono stati emanati i provvedimenti fondamentali: la facoltà ai prefetti di sciogliere le associazioni segrete; la legge delega al governo per riscrivere i codici penali e di procedura penale e l’ordinamento giudiziario; la legge sui fuoriusciti, che venivano privati della cittadinanza e a cui venivano confiscati i beni; la legge sulla stampa, per cui i direttori di giornale dovevano avere il gradimento del procuratore generale, che a sua volta doveva consultarsi col prefetto; la legge che vietava lo sciopero e legittimava soltanto i sindacati legalmente riconosciuti; l’istituzione della figura del capo del governo primo ministro segretario di Stato, responsabile esclusivamente verso il re e con il potere di controllare insindacabilmente l’ordine del giorno delle due Camere; lo scioglimento dei Consigli comunali elettivi e l’istituzione del podestà e della consulta municipale di nomina regia.

Antonio Gramsci

I tempi camminano veloci: l’8 novembre 1926 è arrestato Gramsci, nonostante l’immunità parlamentare; il 9 novembre sono dichiarati decaduti i 123 deputati aventiniani e anche i deputati comunisti che non avevano partecipato all’Aventino. Lo stesso giorno viene presentato il progetto di riforma della giustizia con l’istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato.

In un’intervista alla United Press, Mussolini commenta: «La Repubblica romana ebbe parecchie decine di dittatori […], anche noi abbiamo bisogno della dittatura per riorganizzare il Paese e per ridargli il sangue perduto nell’esperimento democratico», mentre il Popolo d’Italia commenta: «Giustizia è fatta. La Camera fascista, come tutte le assemblee rivoluzionarie, non ha bisogno di opposizione: il fascismo, pensiero, anima e braccio della nuova Italia è il padrone del campo».

Il libro “Ci fu chi disse no”, realizzato dall’Anpi per le edizioni Bordeaux, raccoglie gli atti dei convegni realizzati per celebrare i dodici docenti universitari che rifiutarono di giurare fedeltà al regime nel 1931. Oltre a Francesco Ruffini furono solo 11 i professori di ateneo che si opposero al giuramento: Ernesto Bonaiuti, Mario Carrara, Gaetano De Sanctis, Giorgio Errera, Giorgio Levi Della Vida, Fabio Luzzatto, Piero Martinetti, Bartolo Nigrisoli, Edoardo Ruffini, Lionello Venturi, Vito Volterra

Il 20 novembre il provvedimento è approvato dal Senato. Nella votazione finale a scrutinio segreto, i contrari sono quarantanove e solo cinque senatori dichiarano ufficialmente il proprio dissenso, tra questi il senatore liberale Francesco Ruffini, che nel 1931 con altri dodici docenti universitari avrà il coraggio di rifiutare il giuramento che impegna i professori a formare cittadini «devoti alla patria e al regime fascista».

Roma, il Palazzo di Giustizia, anche noto come Palazzaccio, attuale sede della Corte di Cassazione era una sede del Tribunale Speciale

Il Tribunale speciale per la difesa dello Stato è quindi istituito, nel solco di una tradizione consolidata, con la legge del 25 novembre 1926 n. 2008 a cui con il regio decreto del 12 dicembre n.2008 seguirono le norme di attuazione. La legge, composta da soli otto articoli, puniva i reati previsti dal Codice penale del 1889, raccolti sotto il titolo di “Delitti contro la sicurezza dello Stato”, introducendo agli artt. 4 e 5 nuove figure, quali la ricostruzione di associazioni, organizzazioni o partiti disciolti, propaganda e attività antinazionali all’estero. La macabra novità sotto il profilo della sanzione è il ripristino della pena di morte, prevista all’art. 1 per «chiunque avesse commesso atti contro la vita, l’integrità o la libertà personale del re, del reggente, della regina, del principe ereditario e del capo del governo» e a norma dell’art. 2 ai reati di cui all’art. 104, 107, 108, 120 2 252 del c.p. L’art. 7 attribuisce la competenza a giudicare a «un Tribunale speciale costituito da un presidente scelto tra gli ufficiali generali del Regio esercito, della Regia marina, della Regia aeronautica e della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, di cinque giudici scelti tra gli ufficiali della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, aventi grado di console, l’uno e gli altri tanto in servizio attivo permanente, che in congedo o fuori quadro e di un relatore senza voto scelto tra il personale della giustizia militare».

Reparti della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, istituita nel 1923

Alfredo Rocco nella Relazione al progetto sull’istituzione del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato tra gli applausi dei deputati fascisti ha l’arroganza di affermare: «Non può né deve preoccupare il fatto che siano chiamati a farne parte ufficiali della M.V.S.N. (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale) di grado elevato. La Milizia, signori senatori, non è, come si afferma ripetendo una vecchia accusa, una milizia di parte, è una delle forze armate dello Stato, e, sempre, da che esiste, si è come tale comportata. Ma nessuna difficoltà può esservi ad accogliere il voto dell’Ufficio centrale, che per maggior garanzia, siano chiamati a far parte del Tribunale speciale consoli, che abbiano rivestito nel Regio esercito o nella Regia marina, grado di ufficiale superiore, o che siano forniti di laurea in legge».

L’istituzione e composizione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato a norma dell’art. 5 comma 3 del R.D. 12.12.1926, n, 2062 è attribuita al ministro della Guerra, che il 4 gennaio 1927 nominò il primo collegio giudicante: ne fanno parte Carlo Sanna, presidente, Orlando Frei vicepresidente, i giudici titolari, tutti consoli della MVSN: Cau Lussorio, tenente colonnello dei carabinieri; Guido Cristini, avvocato e deputato del PNF, poi presidente nel 1928 alla morte di Sanna; Alberto Garamini, tenente colonnello di stato maggiore; Giulio Mucci, colonnello di fanteria, e Antonio Tringali Casanuova, capitano di fanteria, futuro presidente del Tribunale speciale e ministro della Giustizia nella Repubblica di Salò.

L’articolo 3 della legge 25.11.1926, n. 2008 stabilisce che: «quando due o più persone concertavano di commettere alcuno dei delitti preveduti nei precedenti articoli, sono punite per il solo fatto del concerto, con la reclusione da 5 a 15 anni. I capi, promotori ed organizzatori sono puniti con la reclusione da 15 a 30 anni». Analogamente è punita l’istigazione o l’apologia di tali reati. L’art. 5 del R.D. 12 dicembre 1926, n.2062 specifica che il Tribunale speciale per la difesa dello Stato è unico per tutto il Regno, ma in caso di necessità può funzionare in più sezioni. L’art. 7 prevede l’applicazione delle norme del codice militare in tempo di guerra e che le sentenze non sono suscettibili di ricorso, né di alcun altro mezzo di impugnativa, salva la revisione. Tutti i procedimenti per i reati previsti dalla legge, in corso presso la magistratura ordinaria, vengono devoluti alla competenza del Tribunale speciale per la difesa dello Stato.

L’art. 7 del R.D. 12.12.1926, n. 2062, prevede l’intervento della difesa solo dopo il rinvio a giudizio e l’assistenza di un solo difensore scelto o tra gli ufficiali in servizio presso il tribunale o tra gli avvocati esercitanti la professione; tuttavia il presidente, sempre secondo l’art. 7, su richiesta del pubblico ministero può «escludere l’assistenza del difensore non militare». Gli avvocati difficilmente potevano sviluppare un’organica linea difensiva, in quanto oggetto di pesanti intimidazioni e si limitavano a conformarsi alle tesi accusatorie, in alcuni casi erano persino conniventi con l’accusa. In proposito, è noto il caso dell’avv. Bruno Cassinelli, difensore di Tito Zamboni, che era in realtà pagato dall’OVRA. Come ricorda Emilio Lussu: «ai fianchi di ogni imputato venivano collocati due carabinieri con la precisa consegna di imbavagliare chi tentasse di profanare la solennità della giustizia con dichiarazioni irriverenti» e ogni protesta veniva sanzionata severamente.

L’articolo 10 del regio decreto stabiliva il mandato di cattura obbligatorio e non era prevista la libertà provvisoria. Col R.D. 2 giugno 1927 n. 1050 e Rd 17 giugno 1929, n.1200 la competenza del Tribunale Speciale venne estesa alla Libia e col R.D. 27 giugno 1929, n. 1308, all’Eritrea e alla Somalia. Secondo l’articolo 8 della legge 2008, il Tribunale Speciale avrebbe dovuto durare 5 anni a partire dalla data di pubblicazione della legge sulla G.U. In realtà, come sempre succede in Italia, niente è più stabile di ciò che è provvisorio e quindi la durata del Tribunale Speciale fu prorogata nel 1931 con la legge 4 giugno n. 674 e nel 1936 col D.L. 15 dicembre, n. 2136, e nel 1941 fu prorogato a tempo indeterminato col D.L. 9 dicembre n. 1386, convertito in legge il 7 maggio 1942, n. 560. Con quest’ultima proroga emanata la competenza del Tribunale speciale venne allargata ai reati previsti dai nuovi codici penali di pace e di guerra emanati nel 1941: il tradimento, lo spionaggio, la frode e l’inadempienza in forniture militari, reati politici come l’associazione sovversiva o la propaganda sovversiva o antinazionale commessi da militari.

Il Tribunale speciale verrà soppresso col D.L. 29 luglio 1943, n. 668 e la competenza sarà trasferita ai tribunali militari. Il Tribunale speciale fu nuovamente istituito nella Repubblica Sociale col D.L. 3 dicembre 1943 n.794, con sede a Mantova. Fu nominato presidente Mario Griffini e i giudici selezionati tra gli ufficiali della guardia nazionale repubblicana. Con la fine della Rsi il Tribunale speciale fu sciolto come tutte le altre istituzioni del fascismo. Questa la tragica storia di una delle istituzioni più feroci e crudeli del regime fascista i cui giudici alla fine se la cavarono alla grande grazie all’amnistia e vissero tranquilli e sereni nell’Italia dove tutto rimane sempre uguale e i colpevoli non esistono…

Un bilancio complessivo

Un bilancio quantitativo dell’attività svolta dal Tribunale è fornito dai dati qui sotto riportati:

Deferiti al Tribunale speciale: 15.806 antifascisti  • 4.596 condannati • 988 assolti • 5.498 uomini • 122 donne • 697 minori • 3.899 operai e artigiani • 546 contadini • 221 professionisti • 238 commercianti • 296 impiegati • 164 studenti • 37 casalinghe  • 219 altri e non specificati. Sentenze emesse: • 978 per reati politici • 746 di rinvio ad altro Tribunale per reati politici • 12 su ricorsi contro il Tribunale speciale coloniale • 324 per spionaggio • 258 per reati annonari, valutari, frodi, ecc. (commessi durante gli anni di guerra) • 146 per omicidio, rapina, violenza ecc. (commessi durante gli anni di guerra) • 293 di rinvio ad altro Tribunale per sabotaggio • 7 per reati diversi • 16 archiviazioni, commutazioni, ecc. Condanne irrogate:  • 27.752 anni, 5 mesi, 19 giorni • 42 a morte (31 eseguite) • 3 ergastoli • 19 stralciati deceduti.

I presidenti del Tribunale Speciale

Il primo presidente del Tribunale speciale fu un generale: Carlo Sanna

Carlo Sanna

Fu il primo presidente del Tribunale speciale per la difesa dello Stato nominato da Mussolini. Militare di carriera, digiuno di studi giuridici è celebrato con grandi onori a Cagliari nel Cimitero monumentale di Bonaria. Il sito del Cimitero descrive l’opera con queste parole singolari: «Carlo Sanna 1859-1928 l’erore (sic) di guerra, monumento realizzato da Filippo Figari». E prosegue: «Il monumento è costituito da una prima terrazza, delimitata a sud da Viale Generale Carlo Sanna, è costruito come un’ara classica in granito rosso, di stile ionico, coronata di un serto d’alloro in bronzo che si innalza su un massiccio basamento di rocce vulcaniche di linee schematiche, ornato da clipei bronzei con iscrizioni, trasmettendo un’immagine di forza, solidità e fierezza. Nel clipeo bronzeo centrale è scritto: DVCE AI FANTI DI TRE GLORIOSE BRIGATE NELL’VLTIMA GVERRA DI LIBERAZIONE TENNE OGNI ORA IN PVGNO LA VITTORIA IN CVORE LA FIEREZZA INDOMITA DELLA STIRPE LEGANDO IL SVO NOME AI FASTI DELLE FORTVNE D’ITALIA. In fronte al loculo destro: GENERALE CARLO SANNA III GENNAIO MDCCCLIX – XVII LVGLIO MCMXXVIII.

La tomba monumentale di Sanna

Il sito ricorda che «La Grande Guerra costò alla “Sassari” oltre 15.000 perdite (2.164 caduti e 12.858 tra feriti, mutilati e dispersi). Caddero 138 Sassarini ogni 1.000 incorporati (la media nazionale fu di 104)» e conclude con toni enfatici che «Quasi per miracolo, quindi, il loro comandante poté morire nel proprio letto che ai vari combattimenti egli prese sempre parte in prima persona».

Ci limitiamo a ricordare appena che molti dei soldati che mandò all’attacco, Caduti, non hanno ricevuto sepoltura e che molti antifascisti sono finiti in fosse comuni privi di onori e di identità.

L’incisione sulla lapide

Carlo Sanna era nato a Cagliari il 3 gennaio 185. Inizia la carriera militare giovanissimo nel collegio militare di Firenze e successivamente alla Regia Accademia Militare di Fanteria e Cavalleria di Modena, da cui esce con il grado di sottotenente, assegnato all’arma di fanteria nel luglio 1879, destinato al 62º Reggimento fanteria “Sicilia” di stanza a Salerno. Partecipa alla Seconda guerra mondiale con ruoli importanti.

Il generale Sanna si era distinto nella repressione durante “il biennio rosso”

Nel febbraio 1919 assume il comando della Divisione militare di Torino e nell’aprile successivo, durante il «biennio rosso», sì distingue nella repressione. Nel marzo 1920 gli viene affidato il comando del Corpo d’armata di Ancona, dove ha l’incarico di reprimere la rivolta dei Bersaglieri e, col grado di generale di corpo d’armata quello del V Corpo d’Armata di Trieste nel novembre 1922. Le fonti parlano di simpatie per il movimento fascista tant’è che nel maggio 1923 è nominato da Mussolini presidente del Tribunale Supremo Militare e nell’aprile 1924 è eletto alla Camera dei deputati del Regno d’Italia nel “listone” fascista.

Nel 1926 la nomima a presidente del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato avviene nonostante la mancanza di una cultura giuridica. Nell’incarico arriva a dare applicazione retroattiva alle leggi speciali. Muore nel 1928.

Guido Cristini

Guido Cristini

Presidente del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato dal 1928 al 1932, quando fu allontanato dallo stesso Mussolini con una nota scritta in cui lo invitava a dare le dimissioni. È il personaggio che meglio rappresenta il perdonismo tutto italiano con cui fu risolto il passaggio dal fascismo alla democrazia. La sua storia è quella di un giovane avvocato rampante che riesce a diventare deputato grazie alla legge Acerbo, e ottiene la simpatia di Mussolini fino a diventare presidente del Tribunale speciale per la difesa dello Stato. In questo ruolo, in soli 4 anni pronunciò ben 1.725 condanne, con 8.806 anni di prigione e 9 condanne a morte tutte eseguite.

Nato nel 1895 a Guardiagrele, in provincia di Chieti, Cristini partecipa alla Prima guerra mondiale come tenente dei bersaglieri e ottiene una medaglia al valore. Alla fine del conflitto si laurea in giurisprudenza e lavora come avvocato. Scopre la politica come possibilità di fare carriera e nel 1919 fonda la sezione dei combattenti di Guardiagrele e diventa comandante della 127° legione “Monte Majella” della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Nel 1924 con l’elezione alla Camera, grazie alla legge Acerbo, è a Roma. Attivissimo, apre uno studio legale e stringe amicizia con il presidente del Tribunale Speciale, il generale Sanna, che lo propone 1° febbraio del 1927 a Mussolini come giudice in camicia nera. Quando nell’estate del 1928 Sanna muore d’infarto, il giovanissimo Cristini, a soli trentatré anni, sarà eletto presidente del Tribunale speciale ed entra di diritto nel Gran Consiglio del fascismo. È un momento d’oro per Guido Cristini: un lussuoso appartamento sul Lungotevere Michelangelo e un altro sul Lungotevere Sanzio, l’automobile, la tessera di libera circolazione ferroviaria, l’indennità di carica di cinquantamila lire, l’equiparazione ai presidenti della Corte dei conti, della Cassazione e del Consiglio di Stato. Come scrivono i biografi «avido e cinico carrierista quale fu, alla fine Cristini rimase avviluppato dalla sua stessa vita e fu il principale artefice della propria caduta». Nel 1929 Mussolini gli aveva mandato un biglietto con un ordine perentorio: «Data la vostra carica di Presidente del Tribunale speciale, ritengo opportuno rassegniate le dimissioni da quella di presidente della Cassa degli Abruzzi». Cristini obbedisce, ma continua la sua attività di affarista al punto che il prefetto di Chieti, vari informatori e l’ex tenente colonnello dei carabinieri Luigi Filippi, segnalano a Mussolini che il presidente Cristini accumulava indennità e altri privilegi con false dichiarazioni di servizio. Tra le sentenze più infami: la condanna a morte di Michele Della Maggiora, fucilato il 18 ottobre 1928. Si trattava di una persona molto semplice che viveva di espedienti. Venne accusato di aver ucciso due fascisti che lo perseguitavano. Il processo nelle mani di Cristini diventa «strage per attentare alla sicurezza dello Stato».

Michele Schirru, anarchico italiano naturalizzato statunitense, condannato a morte nel 1931 dal Tribunale Speciale fascista per aver progettato un attentato contro Mussoli

Un altro caso vergognoso fu quello di Michele Schirru, fucilato il 29 maggio 1931 perché aveva intenzione di uccidere Mussolini. La motivazione della sentenza fu che «attentare a Mussolini è attentare all’umanità, perché il Duce appartiene all’umanità. E ancora le condanne a morte di Domenico Bovone e Angelo Pellegrino Sbardellotto, gli irredentisti sloveni e croati, gli anarchici, sentenze tutte basate sulla stessa motivazione: «Chi tocca Mussolini tocca il fascismo. Chi tocca il fascismo tocca l’Italia. Chi tocca l’Italia tocca lo Stato. Chi tocca lo Stato deve morire». A rovinare l’ascesa di Cristini fu il processo ai complici di Anteo Zamboni, il ragazzo minorenne bolognese linciato nel 1926 per aver attentato alla vita del Duce. Cristini per vanagloria raccontò al gerarca Arpinati di aver fatto condannare i familiari di Anteo Zamboni, anche se innocenti, per compiacere Mussolini. Il 27 novembre 1932 il Duce informato da Arpinati ordinò a Cristini di rassegnare le dimissioni dalla carica di presidente del Tribunale speciale. Cristini riprese l’attività di avvocato fino alla fine della guerra e di vicepresidente della Corporazione vetro e ceramica.

Nell’agosto 1944 l’Alta corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo emise un mandato di cattura contro Cristini, che nel frattempo si era rifugiato in Vaticano dove aveva trovato benevola accoglienza nelle catacombe di San Callisto, a Roma. Cristini e tutti i giudici del Tribunale Speciale riusciranno a cavarsela alla grande beneficiando dell’amnistia Togliatti. Il 31 ottobre 1946 la sentenza della Corte di Cassazione riconobbe l’applicazione dell’amnistia a Guido Cristini e agli altri giudici del Tribunale Speciale. Il 1 novembre 1946 l’Unità uscì col titolo «L’amnistia non deve servire ai Cristini» e descrisse Cristini con parole di fuoco «Cristini, il criminale che ha condannato a morte decine e decine di patrioti, il responsabile dei più feroci delitti commessi dal fascismo è stato amnistiato. Nessun giornale monarchico, qualunquista liberale ha protestato contro questa palese e sfacciata violazione della legge» e l’Avanti! riportava le parole di Nenni «Se qualcuno ci avesse detto, quando votammo la legge sull’amnistia che essa avrebbe fatto uscire dal carcere i Cristini colpevoli di aver mandato in galera per decine di anni i migliori antifascisti, non io solo, ma il presidente del Consiglio, ma il ministro Cattani avremmo protestato con indignazione, invece siamo a questo punto, contro lo spirito e il testo di legge. Ora noi non possiamo tollerare un tale stato di cose».

In proposito, lo storico Pablo Dell’Osa ha ripreso la tesi di Nenni secondo cui il problema consisteva «nell’equivoca dizione del decreto, le condizioni e le ipotesi in esso prospettate in modo che sembra fatto apposta per offrire le più ampie e soggettive interpretazioni, che non potevano portare che alle conseguenze che tutti deprecano, come la scarcerazione di Cristini, di Tamburini, di Asvero Gravelli. Bisognava ascoltare il nostro suggerimento. Con precise norme interpretative poteva e può tuttora, impedire scarcerazioni che offendono ogni elementare senso di giustizia. Si faccia almeno oggi quel che non si è voluto fare ieri».

Archivio fotografico Anpi nazionale. Manifestazione in sostegno a partigiani processati

La questione in realtà era molto complessa perché l’amnistia serviva anche ai partigiani che finiti sotto processo per i più svariati motivi non potevano certo rifugiarsi in Vaticano e rischiavano pene severissime dai giudici che erano gli stessi del precedente regime. Del resto la cosidetta amnistia Togliatti fu scritta da Gaetano Azzariti, uno dei giuristi più importanti del regime fascista, presidente della Commissione sulla razza durante il regime fascista, ministro di Grazia e Giustizia nel primo governo Badoglio e infine presidente della Corte Costituzionale dal 1957 al 1961.

L’Italia dei gattopardi, quella dove tutto resta uguale e comanda il deep state aveva scelto il perdonismo. I socialisti Pietro Nenni e Sandro Pertini cercarono di porre sotto accusa la Cassazione che aveva deciso a favore di Cristini e degli altri giudici del Tribunale Speciale, ma non ci fu niente da fare. Cristini come tanti fascisti visse tranquillamente da uomo libero a Chieti a coltivare le sue rose fino all’età di 84 anni. Per molti partigiani la vita fu molto più dura.

Antonino Tringali Casanuova, il terzo presidente del Tribunale speciale per la difesa dello Stato

Antonino Tringali Casanuova

Fu il terzo Presidente del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato, succedendo a Guido Cristini. Il suo nome fu inserito nell’elenco CROWCASS (Central Registry of War Criminals and Security Suspects) compilato nel 1947 dagli Alleati anglo-americani, relativo alle persone ricercate dalla Jugoslavia per crimini di guerra.
Nasce a Cecina 11 aprile 1888 in una famiglia aristocratica che gli permette di avere una buona istruzione. Nella Prima guerra mondiale ricopre il grado di capitano nella compagnia Lupi di Toscana, e ottiene una medaglia al valor militare. Finita la guerra aderisce al fascismo e diventa un protagonista dello squadrismo che combatte le leghe operaie e contadine e Volterra. Nel 1922 partecipa alla Marcia su Roma e diventa sindaco e poi podestà di Castagneto Carducci. Nel 1927 fu nominato giudice del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato, nel 1928 assunse la carica di vicepresidente e nel 1932 di presidente e membro di diritto del Gran consiglio del fascismo e Luogotenente Generale MVSN. Consigliere della Provincia di Pisa è poi preside di quella di Livorno. Fedelissimo di Mussolini, nell’ultima seduta del Gran consiglio del 25 luglio 1943 vota contro l’ordine del giorno Grandi, arrivando a minacciare i firmatari. Dopo l’8 settembre, aderisce alla Repubblica Sociale Italiana e nel settembre 1943 è nominato Ministro di Grazia e Giustizia. Il 4 novembre 1943 muore improvvisamente a Cremona, sede del ministero, i funerali vennero celebrati a spese dello Stato.

Vinicio Ceccarini


NOTE

Vinicio Ceccarini, Il Tribunale Speciale per la difesa dello stato, Istituto Storico della Resistenza della Spezia, La Spezia, 1977.
A. Dal Pont, A. Leonetti, P. Maiello, L. Zocchi, Aula IV. Tutti i processi del Tribunale speciale fascista. Anppia, Roma, 1961.
Mimmo Franzinelli, Il tribunale del duce, Mondadori, Milano, 2017.
Tribunale speciale per la difesa dello Stato, Decisioni emesse, Roma, SME- Ufficio Storico, 1981-87.
https://www.fondazionersi.
Luca Irwin Fragale, La Massoneria nel Parlamento. Primo novecento e Fascismo, Morlacchi Editore, 2021.