Qual è l’eredità di Quino, il fumettista cittadino del mondo? Mafalda, la sua creazione diventata icona, ha ancora qualcosa da raccontare e spiegare. Un’immagine forte, di rottura, figlia di un’epoca di grandi evoluzioni sociali e culturali. Mafalda nasce nel 1964 e, negli anni fino al 1973, in cui le sue strisce apparvero quotidianamente, catturò l’attenzione dei lettori di mezzo mondo. Arrivò in Italia nel ’68 e attirò immediatamente su di sé l’attenzione. Già al momento del suo debutto, il parallelismo con i Peanuts fu immediato: certo, si trattava, in entrambi i casi, di bambini a fumetti, ma le modalità con cui affrontavano la vita erano estremamente diverse. Mafalda non conosce il mondo “dei grandi”, a differenza di Charlie Brown e soci, che a volte sembrano ricalcare (involontariamente?) le dinamiche degli adulti che, comunque, rivestono un ruolo abbastanza marginale. Mafalda, nel suo essere sempre contro, non manca di fare i suoi sgambetti retorici a tutti – adulti e non – che la circondano, compresi i suoi genitori e le sue frequentazioni quotidiane, come Susanita, antagonista ideale (e ideologica) della bambina.
Una caratteristica, questa di essere sempre controcorrente, che valse a Mafalda l’immediata fama di rompiscatole. E, in effetti, la sua figura “rompe” anche gli schemi. Quino, che dopo il golpe in Argentina si recò in Italia per un periodo, temeva che la sua creatura sarebbe diventata una desaparecida in terra natia. E non è difficile crederlo: la sua assenza di freni inibitori, quando si trattava di muovere una critica, sarebbe stata a dir poco invisa al governo militare. Buenos Aires, successivamente, le ha tributato il suo doveroso omaggio con una targa commemorativa posta sull’edificio in cui “nacque” e con diverse statue che la raffigurano nelle sue pose riflessive, sparse tra le vie della capitale argentina.
Nonostante il clima rivoluzionario e contestatore che accompagnò Mafalda al suo arrivo in Italia, questo personaggio non passò inosservato ma, anzi, non mancò di suscitare riflessioni, ponendosi, insieme, come antesignana e figlia del suo tempo. Umberto Eco la definì “un’eroina arrabbiata”: una descrizione che potrebbe apparire dissonante per una bambina di sei anni, con i capelli folti e arruffati. Ma il fermento interiore di Mafalda è quello di un’adulta. Le sue sono riflessioni esistenziali, domande apparentemente ingenue: considerazioni fulminanti, a volte da lasciare senza fiato. Osserva il mondo cambiare, giorno dopo giorno, si pone e pone agli adulti attorno a lei interrogativi di stringente attualità. E Mafalda è, a tutti gli effetti, un modello nuovo di donna, seppure… in miniatura! Mettere in discussione il mondo intorno a sé è un tratto distintivo dei bambini, certo, ma la lucidità con cui sa mettere a sistema la società e le istituzioni (apparentemente) inamovibili richiama molto alla memoria un approccio contestatore.
Per la generazione di suoi “coetaei”, ma anche per le leve a venire, Mafalda è stata riferimento, interlocutrice ideale, depositaria di malesseri e disagi spesso poco ascoltati, sottaciuti, che si affollano nella mente di un preadolescente. Questa bambina sui generis non è il teen-ager che si rinchiude nella sua cameretta, sconfortato perché nessuno lo capisce: lei gioca a scacchi con il pensiero comune. E, inutile specificarlo, fa scacco matto. È questa la grande forza di un personaggio che non invecchia per età anagrafica (rimane sempre cristallizzata nei suoi turbolenti sei anni) e per vivacità intellettiva, capace, come sono sempre i bambini, di porre domande profondissime in modo cristallino. E pensare che Mafalda fu inizialmente abbozzata come “testimonial” di una pubblicità di elettrodomestici: Quino propose questa figura all’azienda, che, però, rifiutò. L’anno successivo, il “papà” perfezionò la sua creatura, che ebbe successo in quasi tutto il mondo, per essere tradotta in ben 35 lingue e letta quotidianamente da milioni di appassionati (e, col senno di poi, quanto sarebbe stata antitetica Mafalda nel pubblicizzare l’oggetto del desiderio delle casalinghe nel boom economico?).
Al pari di altri protagonisti dei fumetti, Mafalda si è fatta portatrice del dissenso del suo creatore, ma l’ha saputo trasporre in una sfera del tutto nuova: quella dell’infanzia. Una consapevolezza così lucida di temi come l’omologazione, la politica e la vita la rendono un unicum che non può non essere di ispirazione.
Non è un caso, quindi, che la ragazzina scarmigliata abbia avuto modo di esprimere il suo dissenso anche nei confronti di questa o quella figura politica. Ad esempio, emblematico fu il caso del 2009, quando Silvio Berlusconi apostrofò Rosy Bindi come una donna «più bella che intelligente». Una affermazione sessista che smosse l’opinione pubblica, compreso il compianto Quino, che pubblicò su Repubblica una striscia in cui, una inedita Mafalda, replicava con le parole di Bindi: «Non sono una donna a sua disposizione». Una vignetta che destò clamore mondiale, al punto da essere pubblicata anche su Clarìn, il maggior quotidiano nazionale argentino, sul quale Mafalda si stagliava a tutta pagina e inveiva, estremamente contrariata, verso una figura fuori campo.
L’opera di Quino, sostanzialmente legata alla figura della sua Mafalda, ma ricca anche di produzioni squisitamente satiriche e politiche, è stata prolifica e mai banale. Anno dopo anno, vignetta dopo vignetta, la sua enfant terrible del libero pensiero, è diventata un punto di riferimento. Quino ha saputo creare una immagine femminile nuova, determinata, di rottura: contemporanea e, insieme, atemporale, acuta osservatrice del mondo circostante e dei cambiamenti in corso e anticipatrice del nuovo. Il suo stupor mundi incessante e il suo acume critico restano la cifra stilistica di un personaggio che, probabilmente, si spera, non smetterà mai di parlare alle nuove generazioni, tanto quanto al “fanciullino” interiore degli adulti, troppo spesso messo a tacere in favore dell’accettazione delle convenzioni.
«Gli eroi son tutti giovani e belli», cantava Francesco Guccini: e sì, Mafalda, nonostante la sua estetica non canonica, resterà giovane e bella per sempre. Un’eroina, a suo modo: una Giovanna d’Arco fatta di chine, pronta a sfoderare le armi della parola e della sua tagliente ironia per rischiarare la strada e sgombrare il cammino dal pensiero omologato. E la perdita di Quino, che ha colpito il mondo degli appassionati di fumetto, ma non solo, trova consolazione nel fatto che la saggezza e l’ironia della sua Mafalda sopravvivranno e, molto probabilmente, incontreranno ancora dei bambini (senza limiti di età anagrafica) a cui alleviare il fardello dell’incomunicabilità e dell’incomprensibilità del mondo “fuori”.
Letizia Annamaria Dabramo
Pubblicato venerdì 2 Ottobre 2020
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