Avvocato Anselmo, la Procura di Roma ha notificato la chiusura della cosiddetta indagine bis sulla morte di Stefano Cucchi. Secondo gli inquirenti il ragazzo è stato ucciso…
È stato omicidio. Finalmente è stato riconosciuto e siamo tutti molto emozionati. Fin dall’inizio abbiamo sostenuto che Stefano era morto di botte, calci e pugni. Al momento dell’arresto era un giovane in perfette condizioni di salute, appena uscito dalla palestra. Ed è stato restituito cadavere alla famiglia. Era talmente evidente da essere quasi imbarazzante, eppure abbiamo dovuto lottare sette anni per far riconoscere questa semplice verità. Il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, e il pm Giovanni Musarò hanno fatto un lavoro eccezionale.
Per anni con Ilaria, il padre e la mamma di Stefano avete detto di sentirvi soli…
Siamo stati soli, non lo siamo più.
Quindi ritenete corretti gli attuali capi di accusa?
L’omicidio preterintenzionale per tre carabinieri e la calunnia per altri due militari, tra gli altri capi di accusa, fotografano esattamente quanto è successo. Sono i fatti. Con le loro affermazioni menzognere hanno fatto accusare e processare le persone sbagliate. Questo contesta la Procura. Si dovrà tornare in giudizio, naturalmente, dove discuteremo dal punto di vista medico-legale qual è stata precisamente la causa della morte, ma non dimentichiamo – e lo dico soprattutto a quanti lamentano il mancato rispetto dei diritti di garanzia per gli accusati – che nelle intercettazioni dei cellulari, non sapendo di avere i telefoni sotto controllo, gli indagati per omicidio hanno confessato il pestaggio e pure affermato di essersi divertiti.
La morte per epilessia avanzata dai periti in incidente probatorio è stata dunque esclusa?
È stata valutata ogni cosa. D’altronde, gli stessi periti avevano scritto di non aver assistito a una morte per epilessia in cinquant’anni.
Secondo la Procura sono stati alterati i verbali relativi all’arresto di Stefano al fine di “coprire” il violentissimo pestaggio, e intanto l’inchiesta sembra ulteriormente allargarsi…
Tra i capi di accusa di cui dovranno rispondere due dei cinque carabinieri c’è anche il falso in atto pubblico. L’ulteriore sviluppo riguarda le testimonianze da noi trovate e consegnate a magistrati inquirenti: si riferiscono a un coinvolgimento diretto, almeno nella conoscenza dei fatti, di due marescialli dell’Arma, padre e figlio. Ci aspettavamo la loro iscrizione nel registro degli indagati, per il momento però quest’ultima vicenda non rientra nell’indagine appena conclusa. Vedremo come andrà avanti.
Emergerebbe però una catena enorme di bugie e omissioni. Dopo poche ore la formalizzazione dell’accusa per l’omicidio di Stefano, il Comandante generale dei carabinieri, Tullio Del Sette, ha affermato di essere accanto alla magistratura…
Non voglio far polemiche. Ora registriamo una svolta nell’inchiesta, ci sarà la richiesta di rinvio a giudizio e ci sarà un processo: io spero che l’udienza preliminare si possa celebrare prima dell’estate. Siamo tornati ad aver fiducia nelle istituzioni democratiche. Accogliamo con favore la presa di posizione del generale Del Sette. Forse poteva arrivare prima, ma è vero che questi nuovi fatti si conoscono da poco. Il problema però va ben oltre la morte di Stefano. Molto spesso, purtroppo, quando rappresentanti dello Stato si trovano coinvolti in situazioni di abuso e violazione dei diritti umani – e ci scappa il morto – si nascondono dietro la divisa. Con rammarico devo aggiungere, sovente sono aiutati da colleghi e sindacati di categoria.
“Bisogna resistere resistere resistere e aver fiducia”, ha scritto Ilaria su Facebook per commentare la chiusura della nuova inchiesta…
Lo ripeto da sempre. Lo Stato quasi mai è accanto alle famiglie delle vittime, costrette a sopportare attacchi durissimi, a mettere in piazza il loro dolore per restituire dignità ai loro cari. Si processano le vittime, si è colpevolizzato Stefano: “se l’era cercata”. Come se chiedere conto della violenza di una singola persona in divisa significasse accusare l’intera Arma o corpo di Polizia. Così con un’operazione mediatica si vorrebbe obbligare l’opinione pubblica a una scelta di campo del tutto falsata: con chi state? Con il tossico, l’ubriacone, l’immigrato o, per fare un esempio, con l’Arma dei carabinieri? Secondo la Costituzione, la responsabilità penale è personale e la legge dovrebbe essere uguale per tutti. Anche per chi, responsabile di un abuso indossi una divisa, un camice, una toga. Invece…
Avvocato Anselmo, lo scorso ottobre le è stato conferito il Premio Borsellino 2016 “per la battaglia in difesa delle vittime degli abusi delle forze dell’ordine” e per aver sensibilizzato le persone sulla mancanza del reato di tortura nel nostro ordinamento. Nel caso di Stefano avrebbe potuto essere applicato?
In Italia i processi per violazione dei diritti umani sono difficilissimi. Non si riesce a varare una legge consona sul reato di tortura per l’opposizione costante di tutti rappresentanti delle forze di polizia. Con il progetto di legge licenziato dalla Camera si dovrebbe provare l’elemento di sudditanza psicologica, il dolo, l’intenzione di far male. Una norma di questo tipo difficilmente sarebbe applicabile. Non lo sarebbe stata nel caso della scuola Diaz, né della caserma di Bolzaneto.
Tutti e cinque i carabinieri per i quali la procura ha formulato capi di accusa nella vicenda di Stefano Cucchi sono ancora in servizio…
Già. Dobbiamo prenderne atto. Uno di loro, inoltre, mostrandosi su Fb in divisa, non si astiene neppure dal mancare di rispetto alla famiglia Cucchi: una sorta di chiamata alle armi che sembra venire dal passato, da decenni fa. Se qualcuno, in via cautelare, togliesse la divisa a chi adotta simili comportamenti sarebbe meglio. Ilaria non li chiama più carabinieri, li chiama “signori”.
Pubblicato giovedì 2 Febbraio 2017
Stampato il 21/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/interviste/nome-della-morte-stefano-omicidio/