Il professor Giovanni De Luna (Imagoeconomica, Scarpiello)

Giovanni De Luna, professore di Storia contemporanea all’Università di Torino, interpellato da Patria Indipendente sulla polemica tra la senatrice Liliana Segre e il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti in merito all’abolizione del tema di storia all’esame di maturità, mette subito i piedi nel piatto. Ma va oltre la polemica contingente: «La cancellazione della traccia di storia certifica l’incapacità della classe politica di avere dei valori da trasmettere sul piano del nostro rapporto con la storia. La mia impressione è che questo progetto è il punto di arrivo di un percorso che adesso il ministero sta certificando, ed è il fatto cioè che l’attuale classe politica ha un rapporto di estraneità se non di inimicizia profonda con la storia. Insomma, l’abolizione della traccia di storia non fa che sanzionare il tipo di clima culturale che si vive nel Paese. Ma attenzione, non è una vicenda solo dell’oggi, questo clima viene da lontano. Pensiamo alle primarie che incoronarono Renzi alla guida del Pd: ebbene, chiamati a decidere quale fosse il loro albero genealogico, i dirigenti del Pd hanno squadernato sotto i nostri occhi una sorta di album Panini: chi aveva scelto Papa Giovanni, chi Nelson Mandela, chi madre Teresa di Calcutta… Insomma non sapevano da dove venivano, non avevano più una storia».

Prima repubblica

Sta dunque dicendo che l’inimicizia nei confronti della storia arriva già con la cosiddetta seconda repubblica?

Per la classe politica della prima repubblica la storia era fondamentale, il continuum in cui ci si trovava era: “riflettere sul passato per capire il presente e progettare il futuro”. Tutto è cambiato con l’arrivo della seconda repubblica e del berlusconismo: sostanzialmente i governi, sia di centrodestra sia di centrosinistra, hanno lavorato a demolire la nostra religione civile di riferimento. Una religione civile fondata sulla Costituzione e sull’antifascismo, che era in qualche modo di ispirazione, che serviva allo Stato per recintare uno spazio pubblico di memorie condivise. La scuola pubblica aveva questa funzione: era chiamata a presidiare la trasmissione del sapere storico. La scuola è nata su una delega statale molto forte. Più forte era il ruolo dello Stato, più forte era la capacità della politica di incidere sui comportamenti collettivi, sulle scelte, sulla dimensione culturale di un Paese, più forte era il ruolo della scuola. Man mano che si è indebolita la statualità, si è logorata la capacità della politica di incidere sui percorsi della storia e della memoria, la scuola ha perso appeal ed è stata scavalcata da altri canali di trasmissione del sapere storico molto più seduttivi, come i mezzi di comunicazione di massa, la televisione prima e adesso il rete web.

Seconda repubblica (fotogramma)

Professore, se la religione civile è quello spazio pubblico condiviso di appartenenza e di cittadinanza nel quale ritrovare i valori che legittimano le istituzioni, bisogna dire che il processo di “riconciliazione” iniziato nella seconda repubblica – Violante e i ragazzi di Salò, per intenderci – ha solo prodotto come risultato – avvelenato – la messa in discussione dell’antifascismo e della Costituzione repubblicana, finendo per legittimare gli sconfitti dalla storia.

La religione civile si contrassegna e si definisce nel rapporto con il passato. È un patto di memoria al quale lo Stato laico attinge per legittimare i propri valori e per proporre i simboli grazie ai quali radicarli nelle coscienze. Ebbene, la religione civile è stata distrutta nella stagione politica del centrodestra. L’unica istituzione che ha provato e prova ancora a tenere in vita quei valori è la presidenza della Repubblica. Da Pertini in poi i presidenti sono stati gli unici a recintare quello spazio. Per il resto ciò che ha fatto la classe politica è stato devastare e sostituire al paradigma dell’antifascismo e della Costituzione la dimensione vittimaria: vittime delle foibe, vittime del terrorismo, della mafia, delle catastrofi naturali…, vittime e ancora vittime. Ma le vittime non costruiscono. Le vittime sono da rispettare, chiamano in campo una dimensione totalmente privatistica del dolore, del perdono, della recriminazione. Tutti sentimenti nobilissimi ma che non appartengono ad un spazio pubblico. Mi è difficile pensare che Falcone e Borsellino siano delle vittime. Le vittime hanno una presunzione di innocenza. Falcone e Borsellino erano più che colpevoli, hanno fatto il loro dovere e la mafia li ha eliminati proprio perché erano pericolosi ai suoi interessi, altro che vittime!

(Imagoeconomica, Ai Carino)

Lega e Cinque stelle, i secondi ancor più dei primi, appaiono senza storia. Se qualcosa e qualcuno richiamano dal passato è l’egoismo spicciolo dell’Uomo qualunque, l’antipolitica, il particulare. Che sia questa la nuova “religione civile” dei sovranisti?

La Lega ha rinunciato ad ogni ancoraggio al passato dopo avere provato con Bossi a inventare una tradizione celtica. I 5stelle dal canto loro non hanno mai nemmeno provato a dire qual è il loro rapporto con il passato. Quindi siamo governati da una classe politica estranea e nemica della storia, che usa la storia soltanto come corpo contundente nelle risse politiche. Pensiamo alle giornate delle memoria sulle foibe e sulla Shoah, piegate a espedienti propagandistici da campagna elettorale. Non c’è alcuna consapevolezza dello spessore storico del passato. Tutto precipita in un immenso presente in cui gli argomenti riferiti al passato vengono usati strumentalmente come bastoni da dare addosso all’avversario. Tornando all’abolizione della traccia di storia, questa è la congiuntura politico-culturale in cui il provvedimento del governo si inserisce. Parliamo, lo ripeto, della rinuncia di fatto della scuola pubblica a incidere sulla trasmissione del sapere storico. Quella misura quindi ha una portata molto più ampia di quel che il ministro Bussetti sembra percepire.

Il governo ha motivato il provvedimento con il fatto che soltanto il 3 per cento degli studenti negli ultimi 10 anni ha scelto la traccia di storia. Come dire, prendono atto di una disaffezione degli studenti nei confronti della storia e si limitano a registrarla.

Il 3 per cento a cui fanno riferimento è lo specchio di una realtà all’interno della quale la scuola sempre meno riesce a veicolare un rapporto con il passato che sia in qualche modo costruttivo e sia capace di suscitare interesse. Però non è vero che la storia non sia più un bisogno sociale, perché fuori dalla scuola pubblica, così avvelenata dal rapporto con la classe politica, la storia la si vede eccome: i canali di Rai Storia sono tra i più seguiti, le lezioni di storia di Laterza vedono una presenza significativa di pubblico, quando si parla di storia si riempiono i teatri. La storia come bisogno culturale è tutt’altro che finita, solo che quando precipita nella scuola sconta l’appannarsi della capacità della politica di determinare degli indirizzi.

L’italiano Matteo Salvini, a sinistra l’olandese Geert Wilders e a destra la francese Marine Le Pen, tre fra i principali esponenti dell’estrema destra europea (Imagoeconomica, Sergio Oliverio)

Non proporre la storia ai giovani, tagliare le ore di lezione nelle scuole, li rende orfani del passato?

Peggio. Non proporre la storia ai giovani nella scuola vuol dire affidarla ad altri. I giovani comunque guarderanno alla storia, il problema è dove la impareranno. Non diventano orfani del passato, ma si affidano ad un passato fatto di stereotipi e semplificazioni. “Le Br sono come i partigiani”: tutte balle, però è questo il senso comune che circola sulla Rete.

Dove si trovano fake news e paccottiglia negazionista.

È vero. Nella Rete quello che va per la maggiore sono i siti negazionisti. Il fatto è che la Rete non ha bisogno di certificazioni e prove. Che è esattamente il contrario della ricerca storica. Perciò la scuola viene chiamata oggi a reggere la sfida con il linguaggio della Rete, di essere un timone per navigare in internet. Allora sì che gli studenti capirebbero che la scuola è qualcosa di vivo, che è uno strumento utile e fondamentale per riacquistare quella consapevolezza critica che è andata persa completamente. Ma per fare questo occorre tornare a investire sulla scuola pubblica, una istituzione che – anche per responsabilità del passato governo Renzi e della cosiddetta “buona scuola” – è stata svuotata di contenuti.

In commissione Cultura della Camera è in discussione una proposta di legge sull’educazione civica: una proposta dove si trova di tutto, dalla lotta alle droghe all’educazione stradale. L’editore Giuseppe Laterza l’ha definita un «fritto misto, un supermarket delle emergenze civili contemporanee privo di un solido impianto culturale». Lei che ne pensa?

Ho sempre pensato che l’insegnamento dell’educazione civica sia una bufala tremenda, anche quando è stata fatta dalla sinistra. L’educazione civica non è una materia specifica da insegnare, l’educazione civica è il risultato dell’istruzione scolastica. Più è efficace l’istruzione scolastica, più è efficace l’insegnamento delle materie, più diventi un cittadino inserito in una patto di cittadinanza e ti riconosci in alcun valori comuni. L’educazione civica è un ossimoro. Io sono per rafforzare l’insegnamento delle discipline tradizionali e consolidare il ruolo educativo della scuola che, invece, è allo sbando non solo dal punto di vista delle ore che diminuiscono, ma anche a causa del fatto che negli ultimi anni nelle nostre scuole si sono volute introdurre logiche aziendali e valori consumistici di mercato.

Giampiero Cazzato, giornalista professionista, ha lavorato a Liberazione e alla Rinascita della Sinistra, ha collaborato anche col Venerdì di Repubblica