Avvocato Anselmo, Stefano Cucchi sarebbe morto per epilessia, secondo l’ultima perizia medico-legale firmata dal collegio peritale presieduto dal professor Ferdinando Introna dell’Università di Bari…
Non è affatto così. Finalmente nella super consulenza richiesta dal Gip nell’inchiesta-bis, il collegio peritale afferma una verità negata per sette anni: la frattura recentissima della vertebra L3, oltre a quella più data della S4. È quello che abbiamo sempre sostenuto con i Pm e nei vari gradi di giudizio in Corte d’Assise. E c’è un secondo elemento dirompente: i medici legali hanno ammesso che Stefano subì un pestaggio, talmente violento da produrre un’invalidità permanente del 35%. Stiamo parlando di una menomazione della zona del pube: la vita di un ragazzo di 31 anni sarebbe stata irrimediabilmente compromessa. Per la prima volta, una perizia richiesta dalla magistratura riconosce il nesso causale, medico, tra le gravissime lesioni e la morte di Stefano.
Eppure in quelle 205 pagine si privilegia l’epilessia come causa della morte…
I periti di Bari fanno due ipotesi. A leggere la relazione, però, c’è scritto espressamente che, se anche il decesso fosse stato provocato dall’evento neurologico, sarebbe stato mortale unicamente per le condizioni di estrema precarietà in cui si trovava Stefano. Cioè la condizione di massima debilitazione riconducibile alle terribili percosse. Di epilessia non si muore, lo hanno detto a chiare lettere tutti i neurologi ed è insorta pure l’Associazione dei malati.
L’altra ipotesi punta il dito sugli infermieri del Pertini, peraltro assolti, scagionando i carabinieri indagati…
La perizia Introna si spinge a un’enunciazione di principio non corretta, perché di competenza esclusiva di un giudice, non di un medico. È la magistratura che deve individuare i responsabili di un reato. Sostiene Introna: Stefano sarebbe vivo, seppur invalido, se gli infermieri avessero svuotato il catetere. Verissimo, ma la legge è legge, e l’interpretazione giuridica nel nostro ordinamento spetta magistrati e secondo l’articolo 40 del Codice penale, se si nuoce all’integrità personale se ne risponde, nonostante siano state le eventuali complicanze della violenza a provocare la morte. A parte questo, dal punto di vista medico-legale Introna e la sua squadra scrivono nero su bianco che le fratture acute alla schiena, finora negate, hanno determinato la spaventosa dilatazione della vescica e quindi una brachicardia gravissima che ha fermato il cuore di Stefano. Il nesso causale con la morte dopo il pestaggio c’è ed è evidente.
In questa nuova inchiesta sono indagati cinque carabinieri per reati diversi: lesioni personali, abuso d’autorità, falsa testimonianza, false informazioni ai magistrati. Cosa accadrà?
Sicuramente la perizia Introna crea problemi per le affermazioni di principio giuridico errate, ma conosciamo la legge e, con quei dati scientifici, io ritengo che si arriverà a processo: un rinvio a giudizio per omicidio preterintenzionale, oppure alla peggio per lesioni dolose gravissime. Abbiamo fiducia nella Procura di Roma. In altri casi, dopo le conclusioni dei periti mi sarei arrabbiato moltissimo, stavolta non è così. Ripeto: con l’ultima perizia, per la prima volta dopo sette anni si riconosce una frattura recente. Noi ci eravamo opposti alla nomina di Ferdinando Introna a presidente dell’équipe dei consulenti. Addirittura il nostro perito, il professor Vittorio Fineschi, ha lasciato l’incarico. Sono sette anni che chiediamo la verità e piano la realtà dei fatti sta emergendo. Stefano stava bene quando è uscito dalla palestra dove praticava pugilato, aveva con sé ancora la borsa della palestra quando è stato arrestato mentre cedeva una bustina di hashish a un suo amico. I medici del carcere di Regina Coeli disposero con “estrema urgenza”, e per ben due volte, il ricovero al Pronto Soccorso, poi si decise l’ospedalizzazione nel “reparto protetto” del Pertini e lì Stefano è morto.
Il professor Fineschi è lo stesso medico legale che ha eseguito l’autopsia in Italia sul corpo di Giulio Regeni e ha dimostrato le torture subite per giorni dal giovane ricercatore…
Vittorio Fineschi era ordinario all’Università di Foggia, ora è alla Sapienza di Roma. Ci rivolgemmo a lui perché è tra i massimi luminari del settore, a livello internazionale hanno un numero di pubblicazioni molto superiore rispetto agli altri colleghi italiani. Da anni mi occupo di vicende nelle quali sono coinvolti agenti di polizia, carabinieri, polizia penitenziaria. Dunque so bene per esperienza, purtroppo, che quando uno Stato deve processare se stesso fa molta fatica, ma il suo livello di democrazia e civiltà si misura proprio da questo, secondo me. In Egitto sono state fornite molteplici versioni sulle cause della morte di Giulio Regeni: prima un incidente stradale, poi una rapina. Ed è successo più volte anche in Italia. Ricordo che per la morte di Federico Aldrovandi ci sono anche state condanne confermate dalla Corte di Cassazione per depistaggio nelle indagini. Stefano è stato ritratto come un drogato che se l’era cercata; in passato si è sostenuto fosse deceduto di “inazione”, cioè di fame e di sete, o ancora per estrema magrezza. Giulio Regeni, secondo gli inquirenti egiziani, sarebbe stato ritrovato in un fosso. Stefano stava bene, quando è stato arrestato, era affidato allo Stato ed è morto. Lo ha capito tutta Italia, ormai.
Ora come proseguirà l’iter della nuova inchiesta della Procura di Roma?
Il 18 ottobre esamineremo i periti, potremo far loro domande per chiarire ogni aspetto stridente della consulenza. Il gip in questo caso è una sorta di notaio. Una volta concluso l’incidente probatorio, restituirà l’intero fascicolo al sostituto procuratore di Roma, Giovanni Musarò. Noi restiamo fiduciosi.
Pubblicato giovedì 13 Ottobre 2016
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